Ezio Micelli  
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IL FUTURO? È NELL'IPER-METROPOLI


Commento al libro di Maurizio Carta



Ezio Micelli


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Il futuro è scomparso dall’orizzonte culturale del nostro Paese. L’Italia “lo ha cancellato non solo dalla produzione istituzionale (…) e dal dibattito politico, ma anche dalle discussioni da bar, dai temi della maturità, dalle discussioni dei social network” (p. 10). Maurizio Carta, con le quasi quattrocento pagine del suo ultimo libro – Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019) – ritorna invece sul tema senza timori di sorta. Si rivolge al futuro per le implicazioni che la sua rimozione porta con sé. Se non siamo in grado di ragionare sul futuro, a dominare il dibattito collettivo saranno “il presente immobile e sterile della tecnocrazia”, con le parole di Bregman (p. 38), o le retrotopie di Bauman (p. 371), immaginari di un passato mai avvenuto, inconsistenti nella loro povertà fattuale quanto pericolosi per la frustrazione che portano con sé.

Il ragionamento sul futuro è occasione di una serrata dialettica tra scenari di un mondo possibile e un presente da ripensare alla radice. Memore delle parole di Morin - “la prima difficoltà di pensare il futuro è di pensare il presente” (p. 11) - l’autore si muove tra critica e proposta e trascura deliberatamente la dimensione tecnica delle norme e degli strumenti. Refrattario a ogni grande riforma per via esclusivamente legislativa, poco interessato all’impiego delle norme esistenti e al loro celato potenziale, l’autore propone una nuova cornice di senso che impegni chi è chiamato a disegnare e amministrare il futuro delle nostre città. Il futuro ha bisogno di regole nuove. Prima occorre definirle insieme, poi - è questo l’assunto - passeremo in rassegna gli strumenti del caso.

 

Parte dalla struttura, Carta, con proclami importanti: “prima di tutto serve un nuovo capitale globale” (p. 40). I nodi sono chiaramente esplicitati e riguardano le diseguaglianze profonde dei territori e le sfide che il tema ambientale pone all’agenda collettiva. “Utopia del reale” (p. 39) che trova nell’Europa e nei paesi del Mediterraneo privilegiato banco di sperimentazione, l’evoluzione del capitalismo deve servire a un nuovo benessere centrato sulla riduzione delle diseguaglianze. La ricchezza di un modello di sviluppo a carattere multisettoriale e basato sulla forza dei “distretti produttivi transnazionali e sulle filiere di cooperazione che hanno fatto la storia del modello d’impresa italiano” (p. 39) deve traguardare nuovi assetti territoriali, contraddistinti da una più equa distribuzione delle risorse.

Sul tema Carta ritorna costantemente. Sono i territori marginali, le aree interne - il Mezzogiorno e la Sicilia sopra tutte - e le città medie i luoghi al centro della sua riflessione. Le megalopoli della grande concentrazione di ricchezze e di opportunità - la stessa Milano, con le debite proporzioni - non sono mai evocate se non con la distanza di chi sa che là ha sede il problema più che la soluzione. La grande città celebrata da Glaser (p. 52) rappresenta eventualmente un modello al negativo, la cui attrazione inchioda a un presente dal quale occorre prendere le distanze.

La sfida ambientale rappresenta il secondo aspetto su cui è necessario confrontarsi. Siamo entrati nell’Antropocene, ci ricorda l’autore, la fase della storia in cui “l’umanità sbaraglia tutte le altre specie viventi e diventa la più potente forza che determina l’ambiente” (p. 57). Ora abbiamo due scelte. La prima è quella di restare nella sua variante “erosiva, estrattiva, pervasiva, ineguale e conflittuale”, il Paleoantropocene. La seconda è di optare per il buon Antropocene, con le parole di Rockstom, in cui “l’umanità smette di essere il problema, progetta e mette in atto la transizione verso lo sviluppo sostenibile (p. 59). Sfida epocale, quest’ultima, alla quale siamo chiamati non solo dalla scienza, ma anche dalle voci della cultura religiosa più alta e più capace di dialogo con la cultura laica. Il riferimento alla Enciclica Laudato Si’ segnala convergenze inedite, a sostegno di agende collettive audaci quanto condivise.

 

Che forma hanno le città del buon Antropocene? Carta muove dalla constatazione che l’Italia si ritrova a vivere la fase post metropolitana dopo aver mancato la stagione delle grandi concentrazioni urbane (p. 211). Perso l’appuntamento con la stagione delle grandi polarità organizzate secondo un disegno di grande scala - il riferimento è al Progetto 80 mai attuato - si tratta ora di non mancare l’appuntamento post-metropolitano. Il modello immaginato è quello di una Italia iper-metropolitana, “formata da sistemi di sistemi insediativi in grado di interpretare le varie forme di agglomerazione urbana”. Un paese che fa della pluralità delle sue forme insediative un punto di forza, un’Italia “pluralmente metropolitana” perché capace di declinare “in modi differenti le forme spaziali, sociali ed economiche dell’insediamento umano” (p. 216).

Le varianti su cui ragiona Carta sono due. La prima è quella del super organismo, a una scala tra la regione e gli enti locali, in cui convivono parti dense e parti che lo sono meno, relazioni di specializzazione funzionale, la molteplicità di attrezzature e infrastrutture urbane. La seconda invece è quella dell’arcipelago urbano. La varietà dei contesti - urbani e rurali, densi, radi e molto radi - restituiscono all’arcipelago una geometria meno riconoscibile. Il ritmo e il tempo della vita in questa seconda fattispecie sono più lenti. Riflettono metabolismi di comunità interessate a cercare nuove relazioni con città e territori, la cui crescita non appare esclusivamente ancorata alle metriche dello sviluppo economico e sociale tradizionalmente intesi. Le città medie, le aree interne, le dorsali costiere del nostro Paese ritrovano nell’arcipelago forme di sviluppo che non siano un’improbabile brutta copia delle grandi città metropolitane, ma nemmeno che cerchino rifugio nella rarefazione assistita delle aree interne. Il tema è come trasformare quest’agenda in un coerente quadro di azione normativo e amministrativo. Carta si sofferma in diversi punti del decimo capitolo (pp. 211 e ss.), ma appare evidente come le soluzioni normative e amministrative siano un tema ancora largamente da esplorare e consolidare.

 

L’architettura della iper-metropoli è un progetto di recupero. Fa del riuso e del re-cycle la propria bandiera. Assume la circolarità delle risorse come proprio paradigma, considerando la riduzione del consumo di suolo punto irrinunciabile. Detroit è la città da cui imparare (pp. 67 e ss.). La città americana è, tra le numerose sperimentazioni in corso, quella più avanzata. Dopo essere stata la capitale americana (e del mondo) dell’automobile, a partire dagli anni ’80 Detroit conosce un inesorabile declino trasformandosi nel simbolo delle shrinking cities. La città in anni recenti intraprende un percorso di rigenerazione che mette in luce come non vi sia alcuna ineluttabilità nel declino urbano. Facendo leva sul design, sulle arti, sulla manifattura innovativa e sull’agricoltura urbana, Detroit ritrova un proprio peculiare sentiero di sviluppo. La città mette in gioco il capitale sociale residuo e trasforma il patrimonio esistente secondo logiche di riuso adattivo capace di reinventare nuovi luoghi da spazi abbandonati.

Detroit insegna al nostro Paese come sia possibile un percorso di sviluppo senza crescita. Come sia possibile far leva sul proprio capitale sociale rinunciando all’idea che “dal declino di possa uscire esclusivamente attraverso una fibrillazione esterna” (p. 75). Come solo assumendo una cornice profondamente diversa sotto il profilo valoriale sia possibile identificare strategie e azioni per una reale rigenerazione dei luoghi. Detroit come le tante periferie del nostro Paese: la lezione della città americana racconta una storia di riscatto che sul riuso e sul recupero della città esistente elabora una strategia vincente.

Favara, piccola città in provincia di Agrigento, diviene il contrappunto alla grande Detroit (pp. 335 e ss). Nella Sicilia dal riscatto sempre atteso, Favara diventa il cigno nero, l’evento inatteso che mette in luce la ricchezza di un percorso possibile, fatto di riuso adattivo e nuovi interventi contemporanei, di attenzione all’heritage e di architettura contemporanea.

 

Maurizio Carta non fa l’urbanista, è urbanista. “Amo l’urbanistica - scrive nei capitoli finali del libro (p. 343) - ho con essa un rapporto carnale prima che mentale”. E nell’urbanistica praticata oggi Carta non si ritrova. Con le parole prese a prestito da Jane Jacobs, Futuro “è un attacco contro gli attuali metodi di pianificazione e ristrutturazione urbanistica” che si propone di “introdurre nuovi principi, diversi e addirittura opposti a quelli che oggi vengono insegnati dappertutto, nelle scuole di architettura e di urbanistica” (pp. 343-344). Innovazioni incrementali e affinamenti all’ordinamento attuale sono meri palliativi a una crisi strutturale della disciplina. Lasciando i toni morbidi che caratterizzano le pagine del libro, l’autore è tranchant: “va abbandonata con decisione qualsiasi morfina tecnocratica, rifiutando l’ideologia consolatoria di qualche aggiustamento procedurale e di qualche ampliamento del partenariato pubblico-privato” per rifondare la disciplina sui concetti di limite, ambiente e creatività (p. 53). La rifondazione disciplinare non è tema solo speculativo. L’intellettuale capace di promuovere il rinnovamento dei saperi della disciplina è deliberatamente gramsciano. Non è tempo di intellettuali astratti e neutrali: “dobbiamo avere il coraggio di mescolarci attivamente alla vita pratica come costruttore, organizzatore, e persuasore permanente” (p. 12).

Contro la rivoluzione anestetizzante della mediocrazia, la presa del potere dei mediocri annunciata da Alain Deneault, Carta propone una discontinuità dei saperi disciplinari unita al recupero della dimensione politica dell’urbanista. Chiama al rinnovamento dei saperi e delle pratiche, indica la strada dell’impegno e della militanza, come Geddes esortava nel suo manifesto più di un secolo fa. “No more masterplan”, scriveva lo stesso Carta in un suo libro di qualche anno fa. L’interesse generale, principio costitutivo dell’urbanistica (p.16), non sta più nelle pratiche consolidate, si trova altrove, in un territorio dai confini ancora incerti e con regole ancora da scrivere. Un’agenda che riguarda tutti: accademie, amministrazioni, professionisti. Sempre che si voglia davvero abbandonare “la tossicità dei tempi che viviamo” e che si abbia a sufficienza “speranza, intraprendenza e cambiamento” (pp. 372-373), le vere e necessarie risorse per un diverso presente.

Ezio Micelli

 

 

 

 

 

N.d.C. – Ezio Micelli è professore ordinario di Estimo presso l’Università IUAV di Venezia. La sua attività di ricerca si concentra sui mercati immobiliari urbani e sugli strumenti di valutazione di piani e progetti.

Attualmente è responsabile scientifico del Master U-Rise sui temi della rigenerazione urbana e dell’innovazione sociale. Ha ricoperto diversi incarichi istituzionali attinenti l’attività scientifica e, in particolare, è stato Assessore allo sviluppo del territorio e gli sportelli dell’edilizia privata del Comune di Venezia (2010-2013)

Tra le ultime pubblicazioni: Does Sustainability Affect Real Estate Market Values? Empirical Evidence from the Office Buildings Market in Milan (Italy), Sustainability, 11, 12, 2019; Condannati al riuso. Mercato immobiliare e forme della riqualificazione edilizia e urbana, Aestimum, 74, 2019; From sources of financial value to commons: Emerging policies for enhancing public realestate assets in Italy, Papers in Regional science, 11, 2018

.N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

08 MAGGIO 2020

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020:

A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)

G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)

C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)

G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle
donne.it, 2019)

F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)

R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)

L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)

A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)

P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)

W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)

L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)

 

 

 

 

 

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