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UN ANNO E MEZZO DI DOMINAZIONE FASCISTA


Matteotti: numeri, fatti e documenti contro la propaganda



Jaka Makuc


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Pubblicato su PANDORA RIVISTA

La pubblicazione di Un anno e mezzo di dominazione fascista segna una tappa decisiva per gli studi su Giacomo Matteotti e, in senso lato, per una rivalutazione storica e sociale del profilo politico del deputato socialista[1].

Come viene osservato in sede di prefazione al volume da Angelo G. Sabatini, negli ultimi anni è stata riservata sempre più attenzione alla rilettura della figura e dell’opera di Matteotti, che pare suscitare interesse non solo in ambito specialistico, ma anche presso la stampa più generalista e la società civile. Un esempio concreto di questa progressiva e auspicata Matteotti-Renaissance può essere rintracciato proprio nella doppia ripubblicazione, nel 2019, del celebre scritto Un anno di dominazione fascista, per gli editori Rizzoli (con una prefazione politicamente significativa di Walter Veltroni) e Garzanti (all’interno del volume Contro il fascismo, prefazione di Sergio Luzzato). Iniziato nell’autunno del 1923, questo lavoro costituisce una delle pochissime opere strutturate lasciateci da Matteotti: concepito inizialmente come opuscolo, presto la documentazione raccolta consentì la stesura di un testo più ampio. In meno di 100 pagine, Matteotti restituisce una ricostruzione documentatissima e impietosa degli esiti di “un anno di dominazione fascista”: attraverso un’analisi meticolosa – a tratti perfino ridondante – dei dati economici, statistici; degli atti di violenza e di sovversione, i meriti rivendicati dal governo fascista vengono relativizzati e di fatto invalidati:

Il suo intento, come ebbe poi modo di precisare nella brevissima premessa all’opera, era quello di contrapporre concretamente «numeri», «fatti», e «documenti», alla tendenziosa propaganda mussoliniana che si studiava proprio allora di consolidare il potere, accreditando in Italia e all’estero l’immagine salutifera di un fascismo sorto provvidenzialmente in armi per restaurare l’autorità e la dignità dello Stato contro il «sovversivismo bolscevico» e per risanare l’economia del Paese condotta a rovina dalla politica «demagogica» dei governi liberali e dall’irresponsabile «disordine scioperaiolo»[2].

L’opera, stampata nel febbraio del 1924, venne da subito messa al bando: essa si diffuse pertanto in un clima di semiclandestinità che ne precluse quella diffusione capillare che si verificò solo dopo la morte di Matteotti: in poco più di un mese, andarono vendute oltre 20.000 copie e lo stesso Piero Gobetti propose a Turati di ristampare questo «atto di accusa completo, fatto alla luce dei bilanci, e insieme una rivolta della coscienza morale»[3]: tra il 1924 e il 1925 il testo fu tradotto in francese, inglese e tedesco, sugellandone così la notorietà internazionale.

Questa breve ricostruzione ci consente di inserire Un anno e mezzo di dominazione fascista in un quadro di senso più chiaro. L’uscita del volume si è resa possibile grazie al recente ritrovamento di carte inedite conservate presso l’Archivio della Camera dei Deputati, che ha contribuito alla pubblicazione del testo insieme alla Fondazione di studi storici “Filippo Turati” di Firenze e alla Fondazione Giacomo Matteotti di Roma. Con l’apparizione di questo scritto, viene perciò ufficialmente conclusa l’edizione critica delle Opere di Giacomo Matteotti in 13 tomi, a cura di Stefano Caretti. Credo valga la pena rimarcare l’importanza di questo fatto, per almeno due ragioni. La prima riguarda la vicenda editoriale stessa degli scritti matteottiani: benché già alla fine degli anni Cinquanta si fosse profilata una possibile edizione critica dell’opera di Matteotti per l’editore Einaudi (che lasciò però cadere molto in fretta il progetto), si ebbe un primo importante segnale di attenzione verso i testi di Matteotti solo nel 1970, quando Sandro Pertini (allora Presidente della Camera) promosse la pubblicazione di tutti i discorsi parlamentari. Ma l’edizione critica in cui si inserisce Un anno e mezzo poté essere cominciata solo nel 1983, presso l’editore pisano Luciano Lischi (e ora conclusa con la Pisa University Press): l’attività di sistematizzazione a cura di Stefano Caretti si snoda perciò attraverso un arco temporale lungo quasi quarant’anni[4].

Questo dato, oltre a testimoniare indirettamente quel «debito morale» che la sinistra italiana sconta, come giustamente ha scritto Walter Veltroni, nei confronti di Matteotti[5], trova una felice consonanza proprio con la succitata Matteotti-Renaissance rilevata da Sabatini. Se infatti è innegabile che la figura storica di Giacomo Matteotti (e non più solo il “Martire”) stia attirando sempre più interesse da parte della società civile e del mondo politico, allora la conclusione dell’edizione critica delle Opere – che potremmo in effetti qui chiamare Matteottiana – acquista una caratura di significato maggiore proprio per il felice contesto in cui si inserisce: la riscoperta della vita e dell’opera di Giacomo Matteotti può ora avvalersi della totalità – sistematizzata tematicamente – dei suoi scritti, garantendo così una comprensione più unitaria e razionale del suo riformismo attuoso ma teoricamente robusto e persino peculiare. Questa nuova stagione di studi su Matteotti si prospetta quindi, come avevo anticipato a inizio recensione, decisiva: in grado non solo di retrocedere la morte del segretario del PSU alla sua vita, ma anche di diffondere nel tessuto sociale la reale consistenza politica del suo “pensiero pratico” proprio a partire dall’esigenza diffusa di conoscerlo e ripensarlo.

Se dunque collochiamo Un anno e mezzo all’interno dell’opera complessiva di Matteotti, possiamo notare come questo si riveli essere non uno scritto d’occasione (per quanto drammatica l’occasione fosse allora), ma il risultato di un’attività politica e di pensiero rigorosa e concettualmente impalcata, in cui confluiscono con chiarezza le principali coordinate del socialismo matteottiano.

Nonostante la pubblicazione del volume resti legata al ritrovamento nell’Archivio della Camera, era già noto che Matteotti si era adoperato per un ampliamento di Un anno, almeno dall’aprile del 1924: lo testimoniano le lettere scritte al segretario dell’Internazionale socialista Friedrich Adler e il carteggio di Turati: le nuove carte danno dunque corpo a un progetto la cui esistenza era tutt’altro che ignorata[6]; purtroppo, l’assassinio di Matteotti il 10 giugno del 1924 porrà fine al proposito di una riedizione ampliata, in cui doveva essere sottoposto alla medesima inquisizione politica l’operato del governo fascista nell’anno allora corrente. Ed è proprio questa determinazione ostinata alla registrazione dei “fatti” a comporre il senso più genuino di Un anno e mezzo: il bisogno di continuare a cronometrare la degenerazione del Paese diem ex die, di elevare la quotidianità inconsapevole alla propria effettiva concretezza storica. L’essenza di Un anno e mezzo riposa allora nell’idea stessa del proprio compito: il progetto di un’analisi della “dominazione fascista” deve andare avanti nonostante i rischi comportati; è il proposito sotteso a questo testo, non la sua realizzazione effettiva, a realizzarne l’importanza, anche ideale.

La struttura del volume si esempla pertanto su quella di Un anno e resta pressoché inalterata: tre sezioni tematiche, dedicate a confutare i proclamati successi del fascismo sul piano dell’economia generale del Paese, della legislazione tributaria e sociale, della politica d’ordine attuata dal governo attraverso la violazione di diritti civili – anche di recente conquista – e di violenze diffuse. Lo stile di Matteotti è incalzante e caustico: attraverso un metodo di lavoro puntiglioso e talvolta asettico, Matteotti contrappone a dichiarazioni e articoli di esponenti fascisti (puntualmente riportati) cifre, dati, numeri e statistiche che svuotano di concretezza i proclami di quelli che già nel 1921 chiamava “criminali”[7].

Un esempio efficace dell’andamento del testo è dato dal primo capitolo della Parte terza, intitolato Le cronache dei fatti. Qui, Matteotti elenca sistematicamente, in una sorta di cronistoria che si snoda pressoché per tutt’Italia, le violenze fasciste perpetrate dal novembre del 1922. Di seguito, qualche esempio di carattere squisitamente impressionistico:

Scandiano (Reggio Emilia) – Il socialista Romoli Umberto, venuto a diverbio con alcuni fascisti, è colpito da un proiettile di rivoltella che gli spacca il cuore.

Balsorano – La maestra Zega Agata deve ingerire olio di ricino per non aver partecipato ad un corteo fascista.

Turro (Milano) – Antonio Furiosi, obbligato da una squadra fascista per due volte a bere l’olio di ricino, è gravemente bastonato per aver denunciato la violenza subìta.

Calcinato (Brescia) – L’ex sindaco socialista Bianchi Francesco è costretto dai fascisti ad ingoiare mezzo litro d’olio di ricino.

Cologno (Monza) – I fascisti invadono i locali della cooperativa di consumo asportando la merce e gli strumenti della banda musicale. Invadono le abitazioni dei socialisti Daniele Arosio e Alfredo Perego, li fanno alzare dal letto, li conducono al fascio, li percuotono e sottraggono loro il portafogli. Invadono l’abitazione di Mario Pocovini e gli asportano il fucile da caccia.

Pavia – Gli industriali rag. Giorgi e ing. Carminati sono costretti da fascisti a trangugiare olio di ricino.

Como – Gruppi di fascisti provenienti da Varese irrompono nei locali della Camera del lavoro, fracassano mobili, distruggono incartamenti e registri e causano un danno di 40 mila lire. L’impiegato della Mutua muratori Gasparatti è bastonato a sangue.

Milano – Il meccanico Pavesi Marco, che trovavasi in un caffè, è barbaramente ucciso con un colpo di rivoltella da un milite fascista per non aver voluto sottostare alla imposizione di alzarsi.

Corticella (Bologna) – Per rappresaglia i fascisti bastonano alcuni lavoratori[8].

L’elenco qui solo accennato si svolge per un totale di 128 pagine. Matteotti commenta:

I fatti sopra elencati non rappresentano che una parte e un esempio delle manifestazioni dell’illegalismo fascista, continuate nel primo anno di governo fascista. L’illegalismo è ormai piuttosto un fatto permanente che specialmente in alcune zone d’Italia si è sostituito a qualsiasi legge e a qualsiasi garanzia e organo della legge, imponendosi ai cittadini con la violenza o ormai anche solo con la minaccia[9].

L’attenzione che Matteotti riserva al tema della legalità non è contingente: di formazione giuridica, il brillante lavoro di laurea in diritto penale sulla recidiva (che resta un classico sul tema) lo aveva infatti avviato a una precoce carriera accademica presso l’Alma Mater di Bologna: la passione politica gli impedirà tuttavia di proseguire l’attività di ricerca in università, ma il paziente stile analitico maturato durante gli anni di studio rimarrà una costante del suo metodo di lavoro.

È proprio attraverso il tema della legislazione che Matteotti può constatare l’indubbio slittamento del Paese verso forme drastiche di autoritarismo. Nel gennaio del 1924, appare su “Critica Sociale” un articolo dal titolo Dopo un anno di dominazione fascista, in cui Matteotti propone, ricalcandone struttura e temi, un agile sunteggio di Un anno. Pressoché all’inizio si legge:

Mai come in questo periodo la legge [corsivo anche nel testo] è divenuta una finzione, che non offre più nessuna garanzia per nessuno […]. Nessun cittadino sente sopra di sé la vigilanza di uno Stato; ognuno sente solo la minaccia di un partito che è padrone dello Stato, cosicché chi è membro del partito crede se stesso lo Stato; chi è avverso al fascismo, è costretto a confondere lo Stato nella sua avversione contro il partito dominante[10].

Si constata qui – dunque ben prima delle note “leggi fascistissime” – la ferma volontà del partito fascista non già di sostituirsi semplicemente allo Stato, ma di arrivare a coincidere con esso; in Un anno e mezzo (come del resto in Un anno) d’altronde si legge:

L’essere fascisti è insomma una seconda e più importante cittadinanza italiana, senza la quale non si godono i diritti civili e la libertà del voto, del domicilio, della circolazione, della riunione, del lavoro, della parola, e dello stesso pensiero[11].

L’irreggimentazione della vita politica del Paese si declina dunque in una riconversione forzata dello spazio statale, che diventa ora tale solo in quanto fascistizzato: non vi è Stato se non come Stato fascista. La dimensione della spazialità politica viene perciò saturata dalla prassi autoritaria, che rivendica per sé l’adibizione a un potere dispotico perché chiamato a totalizzare la dimensione pubblica: “governare” significa adesso “dominare”, e la dominazione sottomette quel che prima stava sopra anche al governo stesso. La legge è pertanto svuotata del proprio ruolo di garanzia e subordinata alle logiche dell’ottenimento e mantenimento forzato del primato politico. Ma che conseguenze immediate comporta questo abuso per l’Italia? Il regime giustifica la violenza attraverso la propaganda di una ripresa economica eccezionale successiva alla grave crisi post-bellica. Matteotti problematizza così la situazione:

Ma la soppressione delle civiche libertà, la confusione della legge con l’arbitrio, dello Stato col partito, hanno essi almeno servito per quella restaurazione economica e finanziaria che doveva salvare l’Italia dal baratro[12]?

Opponendo ai proclami di regime «cifre» e «indici dei fatti economici e finanziari», Matteotti dimostra come la ripresa economica del Paese fosse iniziata già durante gli esecutivi liberali successivi al conflitto mondiale e che i risultati proclamati dal fascismo siano riconducibili all’andamento generale dell’economia nazionale degli ultimi anni[13]:

Ciò dimostrerebbe più esattamente che col fascismo quasi nulla è mutato nell’economia italiana, e sono semplicemente continuati il modo di miglioramento e l’opera di ricostruzione di quello che la guerra ha distrutto. Di nuovo c’è questo solo: la ricostruzione avviene quasi tutta a spese delle classi inferiori e a vantaggio delle più ricche[14].

La ripresa economica cui si continua ad assistere durante “l’anno fascista” è quindi strutturale, e attua anzi una redistribuzione delle ricchezze «nella quale si sono avvantaggiati i capitalisti e gli speculatori a danno dei proletari e della piccola borghesia»[15]. È proprio in questa lettura del dato economico che emerge il carattere propriamente socialista (e direi riformista) dell’opposizione politica di Matteotti. Il modello economico fascista sgretola le conquiste dei lavoratori sotto l’interesse dei grandi capitali e rivela con ciò il proprio carattere reazionario[16]:

Mentre si preannuncia la sostituzione di una rappresentanza del lavoro ai vecchi organi costituzionali, si sono distrutte di fatto, a una a una, tutte le migliori conquiste della legislazione operaia[17].

«Voi volete ricacciarci indietro» dirà Matteotti nel celebre discorso-denuncia del 30 maggio 1924, che rimane, ancora oggi, il più importante mai pronunciato nel nostro Parlamento: indietro da cosa? Da una dimensione morale del vivere comune, per la quale nessun prezzo – neppure la vita trascorsa a perseguirla – è troppo caro:

Di modo che, anche se l’Italia potrà superare brillantemente la prova finanziaria ed economica di questo periodo, ne rimarrà come conseguenza più grave e più dolorosa un ritorno addietro di più che trent’anni nella educazione civile e politica e nella formazione del carattere morale del popolo italiano[18].

L’arretramento delle conquiste civili significa retrocedere sul piano non solo del lavoro, ma anche della civiltà[19]: è in questo nesso costitutivo che si sviluppa il socialismo di Matteotti, singolare pedagogia politica incaricata di educare il popolo alla concezione di una politicità che non può essere altro che moralità: il “fatto”, il “numero” diventa così autentico mezzo didattico, che “il maestro” – come veniva bonariamente chiamato durante gli anni di dura militanza nelle campagne del Polesine – sa restituire a una dimensione di senso che trascende la cronaca per farsi strumento politico, opportunità di comprensione della realtà storica che ci circonda; del suo cambiamento, verso l’unica direzione che Matteotti conoscesse: avanti.

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[1] Per una ricognizione agevole del pensiero di Giacomo Matteotti, mi sia consentito rimandare al mio La morale nella politica. Considerazioni intorno al pensiero pratico di Giacomo Matteotti, «Pandora Rivista» (online), 12. 04. 2018.

[2] S. CARETTI, Introduzione, in G. MATTEOTTI, a cura di S. CARETTI, Scritti sul fascismo, Nistri-Lischi, Pisa, 1983, p. 15. Nell’introduzione qui citata, oltre a offrire una lettura critica del testo, Stefano Caretti ricostruisce attentamente le vicende editoriali e il contenuto di Un anno di dominazione fascista, che qui possono essere solo profilate.

[3] Ivi, p. 19.

[4] Una ricostruzione assai più esauriente è offerta proprio da Stefano Caretti nell’introduzione al volume. Cfr. G. Matteotti, a cura di S. CARETTI, Un anno e mezzo di dominazione fascista, Pisa University Press, Pisa, 2020, pp. 21-28.

[5] Questione su cui non mi è qui possibile dilungarmi per evidenti ragioni di economia testuale, ma che ritengo essere di particolare interesse.

[6] La volontà di Matteotti di proseguire la propria inchiesta politica veniva rilevata da Stefano Caretti già nel 1983. Cfr. Scritti sul fascismo, op. cit., pp. 16-18.

[7] G. MATTEOTTI, a cura di S. CARETTI, Lettere a Velia, Nistri-Lischi, Pisa, 1986, p. 366.

[8] Cfr. Un anno e mezzo di dominazione fascista, op. cit., rispettivamente pp. 180, 183, 185, 186, 193, 227, 272, 283.

[9] Ivi, pp. 307-308.

[10] G. MATTEOTTI, Dopo un anno di dominazione fascista, in Critica sociale, a XXXIII, n. 1, 1-15 gennaio 1924, pp. 5-7, in G. MATTEOTTI, a cura di S. CARETTI, L’avvento del fascismo, Pisa University Press, Pisa, 2011, p. 290.

[11] Un anno e mezzo di dominazione fascista, op. cit., p. 131.

[12] Dopo un anno di dominazione fascista, op. cit., p. 291.

[13] Matteotti offre un rigoroso raffronto tra i dati economici in Italia del 1923 e quelli degli anni precedenti in Un anno e mezzo di dominazione fascista, op. cit., pp. 49-60.

[14] Dopo un anno di dominazione fascista, op. cit., p. 291.

[15] Ibidem.

[16] «[…] così in tutto il trattamento verso le classi operaie la dominazione fascista ha dimostrato il suo indirizzo reazionario», cfr. Ivi, p. 294.

[17] Ivi, p. 295.

[18] Ibidem.

[19] Si arresta quel «movimento ascensionale della civiltà» che tanta importanza riveste nel pensiero teorico di Matteotti; per un approfondimento, mi sia nuovamente consentito rimandare al mio succitato articolo su questa rivista.


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12 GIUGNO 2020