Agostino Petrillo  
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LA CITTÀ CHE SALE


Commento al libro di Carlo Cellamare



Agostino Petrillo


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La questione della produzione di città dal basso torna ciclicamente almeno da mezzo secolo a ripresentarsi come problema per la sociologia, l’urbanistica e la politica. E lo fa in maniera discontinua, per non dire carsica: ci sono state infatti fasi di entusiasmo per il tema, con esaltazioni a volte anche acritiche di tutto quello che si muoveva in termini di attivismo urbano e delle realtà che sorgevano bottom up, alternate a fasi di relativo disinteresse e freddezza. Anche da parte della ricerca più engagée l’attenzione negli ultimi anni, più che alle dimensioni della “partecipazione dal basso”, è stata spesso rivolta alla governance neo-liberista nel contesto più generale della “città imprenditoriale” trascurando di esplorare a fondo il mondo delle realtà di base. Per non parlare delle strumentalizzazioni politiche del tema in chiave di partecipazionismo, magnanimamente concesso dall’alto e con finalità prettamente consultivo-elettoralistiche. Il recente volume di Carlo Cellamare, Città fai-da-te. Tra antagonismo e cittadinanza. Storie di autorganizzazione urbana (Donzelli, 2019) riapre il discorso e lo attualizza in maniera estremamente interessante, segnalando il dischiudersi di un’epoca nuova.

Cosa viene dopo la città neo-liberista, cosa cresce nei suoi interstizi, negli spazi abbandonati dalle istituzioni e trascurati dalle policies? Proseguendo un encomiabile lavoro di mappatura e di esplorazione già intrapreso con i colleghi del Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale della Sapienza, e presentato in diversi volumi precedenti in cui ricadevano anni di indagine sul campo, Carlo Cellamare ci offre uno spaccato delle variegate realtà che abitano la metropoli romana. Si succedono in questa panoramica spazi occupati, luoghi di produzione artistica, periferie parzialmente autogestite, quartieri autocostruiti. Spazi tutt’altro che liminali, ma che invece mostrano in maniera icastica la consistenza e la tenace persistenza di quel che io ho altrove chiamato la “intelligenza delle periferie”, la capacità di autorganizzazione che nasce dalla molteplicità delle forme che assume la periferia contemporanea. I cosiddetti “luoghi dell’abbandono” spesso non sono tali per chi ci vive, e mostrano la capacità di produrre forme nuove di uso e di gestione degli spazi urbani. Così possiamo scoprire quanto sia importante la cultura nelle periferie non solo attraverso le esperienze dei teatri occupati, ma anche in una realtà spesso agli onori della cronaca e stigmatizzata in negativo come Tor Bella Monaca. E allo stesso modo possiamo seguire il moltiplicarsi delle iniziative di autorecupero, di riuso di spazi rimasti vuoti, inutilizzati. Svincolandosi dalle secche del dibattito sui “beni comuni”, di cui segnala i limiti, l’autore ci mette di fronte a realtà sorprendenti di riappropriazione e di riprogettazione degli spazi. Le “città immaginate” in queste pagine prendono forma concreta, divengono reali, ci parlano di modalità “altre” di organizzare la propria esistenza, al di fuori dagli schemi ristretti di una strutturazione della vita urbana ossessionata dall'economia, dal controllo e dalla sicurezza. Certo esiste una fragilità di queste strutture basate sulla cooperazione sociale volontaria e sulla collaborazione faccia a faccia, ma esiste anche una loro sorprendente continuità e capacità di durare nel tempo e una loro oggettiva crescita quantitativa che viene ben documentata nel testo.

Tuttavia, la sterminata periferia romana non è solo il luogo dei movimenti e delle aggregazioni giovanili, ci sono anche le aree dell’autocostruito e dell’abusivismo. Come si diceva un tempo “non è tutto rosso quel che si muove”, e scopriamo così che la “città fai da te” è anche quella che cerca di realizzare degli standard di vita borghesi, o quantomeno imitativi di quelli borghesi, o che cerca una qualsivoglia soluzione abitativa mediante l’abusivismo. Particolarmente interessanti sotto questo profilo sono le pagine dedicate alla zona della Borghesiana che svelano un mondo inedito in cui: “l’abusivismo costituisce una forma di upgrading sociale”, un quartiere fatto di casette monofamiliari e a volte vere e proprie villette che costellano una periferia irregolare, frutto di un lavoro di selfmade housing che si è protratto in alcuni casi per decenni. Un abitare, come già suggerisce il toponimo, borghesizzante, nato inseguendo un “miraggio proprietario” altrimenti destinato a rimanere irraggiungibile nella perdurante crisi abitativa. Una scelta che mostra però di aderire a modelli sociali e familiari divenuti obsoleti, in cui la dimensione antropologica del costruire anche il “piano per i figli” palesa la sua sconfitta nella nudità dello unfinished, del non completato, del cemento rimasto nudo, mentre i figli sono andati a guadagnarsi la vita altrove.

Così emerge una città nuova che nasce all’incrocio tra una crisi sociale più generale e tutta una serie di motivazioni e di aspirazioni individuali tra loro diverse. La “città che sale”, come mi piace chiamarla, è il frutto indistinguibile sia di pratiche difensive individuali sia di progettazione collettiva, si sviluppa sulla frontiera sempre più labile tra necessità materiale e spinta politica, disegnando e proponendo anche involontariamente idee di convivenza e di trasformazione sociale. Ma allora che cosa significa parlare di “abitare informale” in un contesto di questo genere, in cui le amministrazioni sono spesso lontane o assenti? Qui il libro entra nel merito di alcune questioni teoriche fondamentali. Chi fa la città? Di chi è la città? Chi stabilisce quello che è “formale” e quel che è “informale”, e in che modo la “città fai da te” offre strumenti per ripensare la democrazia e la politica? Se l'informale si palesa come il luogo della trasformazione reale della città: “il luogo... dell'innovazione, della produzione dei significati sociali fuori da un controllo diretto... una società istituente”, in che modo le culture del conflitto e del cambiamento sociale che in essa abitano e che la esprimono possono sottrarsi alla marginalità, pesare nelle scelte e nelle decisioni che riguardano la città più in generale?

Per l’autore questo sarà possibile solo mediante un passaggio dalla “resistenza” alla organizzazione, creando realtà in grado di incidere sul diritto, di trasformare le istituzioni. Il libro pone quindi questioni centrali per la teoria e la riflessione sull’urbano e rappresenta al contempo una sorta di sfida per politici e tecnici che vogliano meglio comprendere come e fino a che punto una città come Roma sta cambiando. Ma fino a che punto Roma è un caso a sé stante, e fino a che punto rappresenta invece l’epitome di quanto accade anche in altre metropoli? Il quesito rimane aperto finché studi analoghi non verranno prodotti anche su altre grandi città. Dalle pagine di Carlo Cellamare emerge in ogni caso tutto il peso specifico del “margine” della città nel produrre oggi mobilitazione sociale, egli mostra inoltre con chiarezza il profilarsi di una dialettica tutta nuova tra una normatività che pretende di stabilire cosa si può fare e cosa non si può fare da un lato, e un progressivo accumulo di strutture e di soggetti che fanno riferimento a movimenti di emancipazione dall’altro. L'insieme dei casi che qui si presentano propone dunque la questione dei “limiti” di una gestione neo-liberale dell’urbano che pare avviarsi al tramonto, e disegna con nettezza la crescente forza materiale e simbolica della città “fai da te”. Eppure l’eterogeneità delle realtà qui descritte lascia a tratti la sensazione che la molteplicità delle voci che si levano da queste pagine rischi di rappresentare ancora solo una sommatoria formale di resistenze, che rimangono tra loro isolate e in fondo per ora scarsamente efficaci su di un piano di rivendicazione più ampio. Tanto più viene da chiedersi quante delle realtà descritte, in particolare quelle che vivono di una intensa interazione sociale, usciranno indenni dai tempi del virus e del distanziamento, pur senza volere in alcun modo sottovalutare le capacità della autorganizzazione e della inventiva sociale...

L'idea centrale che ritengo di condividere con Carlo Cellamare è in ogni caso quella della necessità della nascita di istituzioni stabili di rivendicazione collettiva, che diano visibilità e “rappresentanza”, anche in forme non canoniche, alle forze che agiscono producendo meccanismi di socializzazione, facendo città. Ma qui, su questo intreccio tra intelligenza sociale diffusa, autorganizzazione e politica bisogna ancora lavorare molto, se si vuole realmente dare una voce non episodica alla “città che sale”.

Agostino Petrillo

 

 

 

N.d.C. - Agostino Petrillo è professore associato di Sociologia dell'Ambiente e del Territorio al Politecnico di Milano.

Tra i suoi libri: La città perduta. L'eclissi della dimensione urbana nel mondo contemporaneo (Dedalo, 2000); con Sandro Mezzadra (a cura di), I confini della globalizzazione. Lavoro, culture, cittadinanza (Manifestolibri, 2000); Max Weber e la sociologia della città (Franco Angeli, 2001); Città in rivolta. Los Angeles, Buenos Aires, Genova(Ombre corte, 2004); con Stefano Padovano, Sociologia (Vallardi, 2004; 2008); Identità urbane in trasformazione (Coedit, 2005); con Paolo Bossi e Emilio Guastamacchia, Progetti di infrastrutture nella regione urbana (Franco Angeli, 2006); Villaggi, città, megalopoli (Carocci, 2006); con Cesare Blasi e Gabriella Padovano, Nomadismo. Il futuro dei territori (Maggioli, 2011); con Laura Longoni (a cura di), Fiumara. Il nuovo polo urbano e la città(Ledizioni, 2012); Peripherein. Pensare diversamente la periferia (Franco Angeli, 2013); con Sonia Paone e Francesco Chiodelli, Governare l'ingovernabile. Politiche degli slum nel XXI secolo (ETS, 2018); con Paola Bellaviti (a cura di), Sustainable Urban Development and Globalization. New strategies for new challenges (Springer, 2018); La periferia nuova. Disuguaglianza, spazi, città (Franco Angeli, 2018).

Per Città Bene Comune ha scritto: Oltre il confine, commento al libro di Luca Gaeta (15 giugno 2019).

Sul libro oggetto di questo commento, v. anche: Gabriele Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te? (21 febbraio 2020).

N.b. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

19 GIUGNO 2020

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020:

A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)

F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)

G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)

P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)

V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)

E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)

A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)

G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)

C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)

G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle
donne.it, 2019)

F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)

R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)

L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)

A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)

P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)

W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)

L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)

 

 

 

 

 

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