Giangiacomo Schiavi  
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SEMBRA SMARRITA. MA INDIETRO NON SI TORNA


Che Milano è, oggi? Intervista a Salvatore Veca



Giangiacomo Schiavi


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I giovani della movida. I taxi fermi. Le piste ciclabili. Il vuoto del centro storico. La crisi dei negozi. Lo smart working. I bar sul marciapiede. La pantomina del Piccolo Teatro. Il sindaco amletico. Le idee di cambiamento. La svolta green. Le eterne periferie. I vecchi soli. Il modello usurato. La sanità da aggiustare. La reputazione da rinnovare. Tutti si chiedono che Milano è, oggi?
«Oggi Milano è una città smarrita. Come fosse sorpresa e ferita. Per chi vive come partecipante alla sua vita urbana, la sensazione prevalente è un misto di incertezza e senso di perdita. Per chi assume il ruolo dell’osservatore, la scena ha qualcosa di perturbante…».

Salvatore Veca, filosofo, scrittore, voce di una citta che non si arrende. Di Milano ha conosciuto gli alti e i bassi, dal boom alla contestazione, gli anni della creatività e quelli della paura, la Milano da bere e quella da evitare, la stagione di Mani Pulite e quella dell’Expo. C’è qualche momento del passato che si avvicina alla fase post Covid?

«A volte penso agli anni che hanno seguito Tangentopoli, in cui si aveva netta la percezione di una Milano “disanimata”».

Si tornerà come prima? Molti considerano banale e retorico dire che dalla crisi usciremo migliori.
«Sono convinto che sarebbe solo un male tornare come prima. Nel “prima” vi sono tutte le premesse e le precondizioni dello tsunami della pandemia con il suo enorme ammontare di sofferenza».

Vede una svolta imminente nel modo di vivere la città?

«Mi sembra che si stia diffondendo la percezione della necessità e dell’urgenza di una svolta significativa nei modi della nostra convivenza urbana. Non dimentichiamo che la severa esperienza della pandemia ha messo in luce, in modo crudo e netto, una ampia gamma di deficit sia dell’urbs, sia della civitas».

In che senso?

«La prima coincide con la struttura “fisica” della città, con le sue forme, con le sue articolazioni. Urbanisti e architetti hanno aperto uno spazio di ricerca e di confronto delle idee e hanno avviato esercizi di immaginazione di forme urbane alternative. La seconda chiama in causa la cultura di cittadinanza, il senso del nostro stare insieme. Il senso della comune appartenenza a una comunità urbana aperta e inclusiva. Covid 19 ci ha messo davanti agli occhi gli effetti delle disuguaglianze intollerabili che erodono il legame civico e rendono ipocrita la solenne promessa dell’eguale status di cittadinanza. Ecco un secondo e decisivo fronte delle politiche del cambiamento. Le politiche dell’urbs devono andare in tandem con le politiche della civitas».

Il centro storico tornerà attrattivo come prima o ci sarà un modo nuovo di vivere la città?
«Gli esercizi di immaginazione urbana devono avere come tema centrale una visione policentrica di Milano, in cui l’immagine della periferia lasci il posto a quella del quartiere. Ogni quartiere offre a chi abita la città il suo “centro”».

Lei come immagina questa nuova centralità?

«Basta pensare alle decisive questioni della medicina territoriale che devono riguadagnare la virtù della prossimità e dell’accessibilità per la popolazione del quartiere. O al fondamentale requisito della prossimità per l’educazione: per la scuola. Dobbiamo ridurre, passo dopo passo, l’esperienza della condanna alla solitudine urbana. Soprattutto tenendo conto della struttura demografica della città».

La svolta ecologica sembra essere il driver per il futuro di Milano. Sara in grado Milano di darsi una politica ambientale esemplare?

«Non so quanto e quando saremo in grado di conseguire l’esito, ma so che dobbiamo a tutti i costi impegnarci nella direzione della transizione ecologica».

Milano capitale della sostenibilità non è un ossimoro? Con il traffico, lo smog….

«La transizione ecologica non è una passeggiata. È un insieme di processi economici, tecnologici, etici e culturali che richiedono la virtù della lungimiranza e una lucida attenzione alla distribuzione di costi e benefici nel tempo per la nostra comunità urbana».

Un’altra parola chiave sembra essere questa: sostenibilità. C’è una definizione di sostenibilità che possano capire tutti i cittadini?

«Quando facciamo una scelta oggi, dobbiamo tener conto delle sue conseguenze non solo nel nostro presente, ma anche nel futuro che toccherà le generazioni che vengono dopo di noi. In termini accademici, la sostenibilità è una risposta a una domanda di giustizia intergenerazionale. Aggiungo che la sostenibilità è certamente economica, ma non è solo economica. È sociale, è culturale, è etica».

C’è un filo che Milano deve riprendere come lascito dell’Expo?

«Sono molto affezionato alla Carta di Milano che presentammo all’inaugurazione di Expo 2015 e vorrei sottolineare che la sua elaborazione andò di pari passo con la definizione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu. Il tema del diritto fondamentale a cibo sano e adeguato è strettamente connesso a una prospettiva incentrata sulla giustizia ambientale come giustizia sociale. E questa è oggi un’idea guida per immaginare il futuro urbano post Covid».

C’è attesa per le scelte politiche dei prossimi mesi: la prima riguarda la ricandidatura del sindaco Sala. Le vicende legate alla sanità hanno intaccato un modello di efficienza che ha funzionato fino a ieri. Anche per lui «reinventing Milano»?

«Il sindaco Sala ha messo a fuoco con chiarezza, nel corso del suo primo mandato, il tema della città sostenibile e condivide l’idea che questioni di giustizia ambientale coincidono con questioni di giustizia sociale. Questa prospettiva, che trovo fondamentale per Milano e il suo futuro, è stata elaborata da Beppe Sala sia sul piano locale sia sul piano internazionale. Allo stesso modo, questo ha importanti conseguenze sulla questione dello svantaggio sociale che caratterizza la divisione, come diceva il grande urbanista Bernardo Secchi, fra la città dei ricchi e la città dei poveri».

Ed è lo squilibrio tra le due città il rammendo più urgente per Milano?

«Questa visione sociale integra quella della Milano come città innovativa e creativa, come città della scienza, della più avanzata tecnologia e della cultura cosmopolita, da cui Sala ha preso le mosse come sindaco. È semplicemente l’altra faccia della medaglia. Il progetto si è definito nel tempo e nell’esperienza, è stato messo alla prova dai tempi terribili di Covid e aspetta solo una sua realizzazione nel secondo mandato…».

Lei è fiducioso nella capacità di Milano di riemergere, come insegna la sua storia…

«Questa, almeno, è la mia convinzione meditata. Spero coincida con le ragioni e le motivazioni di Beppe Sala».

 

6 agosto 2020

© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere della Sera

 


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11 AGOSTO 2020