Francesco Indovina  
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COME COMBATTERE LA SEGREGAZIONE URBANA


Commento al libro di Ismael Blanco e Oriol Nel·lo



Francesco Indovina


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Il modo migliore di cominciare questa recensione probabilmente sarebbe stato quello di trascrivere il sommario del libro*. Così facendo sarebbe balzato subito all’occhio che quello di Ismael Blanco e Oriol Nel·lo – Quartieri e crisi. Segregazione urbana e innovazione sociale in Catalogna (ed. it. a cura di Angelino Mazza e Raffaele Paciello, INU Edizioni, 2020) – non è solo un saggio, ma un testo articolato e corale che dà conto di un progetto di ricerca che inizia nel 2013 – ed ancora non può dirsi concluso – che ha coinvolto istituzioni e competenze su un tema di grande rilievo per chiunque si occupi di progetto e politiche urbane e territoriali, quello della segregazione spaziale: una questione che è anche misura della capacità di innovazione sociale e dell’incisività delle politiche pubbliche.

I due temi, segregazione spaziale e innovazione sociale nelle politiche urbane, sono stati affrontati, sia sul piano metodologico sia su quello analitico, a partire dalla “misurazione” del fenomeno nella realtà catalana. Un lavoro di notevole portata scientifica i cui risultati, tuttavia, travalicano questo ambito per sfociare in quello della politica, suggerendo azioni di governo per intervenire o modificare i processi in atto, anche attraverso politiche di rigenerazione urbana. Ismael Blanco e Oriol Nel·lo chiariscono infatti che lo scopo di questo lavoro non è solo accademico-scientifico, ma muove dall’ambizione “di contribuire, per quanto possibile, ad orientare le politiche pubbliche e a dare impulso ai movimenti di cittadinanza”. Una ricerca dalle aspirazioni nobili, dunque, che – com’è nella tradizione della migliore urbanistica – tradisce un forte impegno civile sulle questioni urbane presenti e future.

Non è questa la sede per affrontare in dettaglio le questioni metodologiche (indicatori, parametri, ecc.) che nei vari contributi raccolti nel libro vengono sviluppate. Queste meriterebbero seminari specifici per coglierne e trasmetterne, con maggior frutto, la portata. Su questo aspetto sottolineo solo che in questo lavoro le questioni di metodo, al di là di ulteriori approfondimenti, sono state trattate con la dovuta attenzione, che i risultati appaiono convincenti e che la documentazione presentata è ricca e ben organizzata. In questo commento preferisco invece soffermarmi sulle indicazioni complessive che derivano dalla ricerca e su come queste sono sintetizzate nelle sue conclusioni. Prima di addentrarmi nella riflessione, tuttavia, pare necessaria una precisazione. Mentre se si parla di segregazione spaziale il concetto appare chiaro, meno limpido è quello di innovazione sociale, sia per le diverse situazioni politiche a cui possiamo fare riferimento sia, forse, per una diversa articolazione del conflitto sociale che caratterizza la città contemporanea. In questo testo con questa espressione si intendono “quelle iniziative orientate a soddisfare, attraverso la cooperazione tra le persone, le esigenze a loro correlate: ad esempio la casa, l’energia, le telecomunicazioni e l’alimentazione”.

Va detto che l’analisi dell’innovazione sociale, nella ricerca, non si presenta come qualcosa di astratto, ma fa riferimento a risultati che si basano su informazioni raccolte a proposito di ben settecento iniziative – identificate e mappate –, sulle risposte a questionari somministrati a un campione rappresentativo di persone coinvolte in questi stessi programmi, nonché sulle considerazioni raccolte dagli operatori. Un lavoro di scavo nella realtà concreta di rilevante impegno, uno sforzo di comprensione paragonabile a quello sulla segregazione spaziale per il quale, circa il contesto preso in considerazione, esisteva già una notevole quantità di dati. Il terreno comune a due grandi questioni – da una parte quella della segregazione urbana e dall’altra quella dell’innovazione sociale – sembra, agli autori, quello più adatto per affrontare il futuro di città e territori. Di certo è il punto di forza di questo lavoro e di questa pubblicazione. E credo che questo approccio possa essere condiviso.

A livello internazionale, quello della segregazione spaziale – anche dove appare poco studiato ovvero dove ci sono meno evidenze della sua esistenza come si potrebbe dire del nostro paese – affonda le sue radici nella questione urbana e, una volta conosciuto, apre delle voragini nella nostra idea di convivenza. Più articolata, si potrebbe dire, appare la questione dell’innovazione sociale. In questo caso le esperienze dei diversi paesi non sempre convergono sugli strumenti, anche se fanno riferimento a bisogni comuni. Per questo aspetto anche il confronto con l’Italia è meno facile. Questo sia perché qui da noi operano grandi istituzioni/associazioni, per esempio di tipo religioso, che tentano di venire incontro ai più pressanti bisogni della popolazione più debole. Sia per l’esistenza di una tradizione di “lotte sociali”, che assumono un carattere rivendicativo, e per la presenza di un sindacalismo forte che in qualche modo è – ma soprattutto è stato nella seconda metà del Novecento – investito della questione urbana e delle condizioni di vita delle fasce sociali più deboli.

Un aspetto importante dei risultati di ricerca, che Ismael Blanco e Oriol Nel·lo mettono in luce, non attiene solo la dimensione in termini assoluti del fenomeno della segregazione spaziale che, in Catalogna, è in continuo aumento anche in questo nuovo secolo, ma il fatto che non riguarda soltanto i gruppi sociali più deboli. Questa, infatti, si manifesta per il “confinamento” tanto di quelli più svantaggiati quanto di quelli che godono di migliori condizioni economico-culturali-sociali. Banalizzando il concetto, si può dire che poveri e ricchi tendono a isolarsi in propri territori e che le aree miste, quei tessuti plurali di cui storicamente è ricca la città europea, tendono a ridursi. Gli autori mettono altresì in evidenza che questo fenomeno non caratterizza solo diversi quartieri delle città, ma investe i comuni dell’area metropolitana. Così alcuni di questi finiscono per 'specializzarsi', per così dire, per i cittadini a più alto reddito, “dove la possibilità di somministrare servizi di qualità è maggiore per la più alta capacità fiscale dei suoi residenti e la presenza di necessità sociali meno intense”. Altri, al contrario, tendono a essere maggiormente attrattivi per cittadini con maggiori difficoltà economiche. Tale situazione, oltre a determinare una geografia polarizzata della società, mette in seria difficoltà le politiche pubbliche: quelle locali appaiono strutturalmente insufficienti ad affrontare il problema; quelle più generali finiscono per rafforzare le diseguaglianze. L’azione locale, per quanto sostenuta e ben giocata, non è in alcun modo sufficiente ad affrontare lo squilibrio. Piuttosto, sarebbero necessarie politiche sovralocali (regionali o nazionali) capaci di contrastare “l’ineguale capacità dei comuni di far fronte alle necessità delle loro popolazioni”. Ma queste stentano a decollare.

Per quanto riguarda le pratiche sociali innovative – quelle che per lo più prendono corpo dal basso in forma autorganizzata – nel libro si sottolinea non solo il loro forte incremento, ma anche il fatto che queste si traducono in forme di organizzazione sociale alternative a quelle esistenti. Il loro proliferare affonda le sue radici nel movimento degli “indignados”, nell’accentuarsi della crisi economica e nell’avvento delle politiche di austerità. Queste pratiche si manifestano con un alto tasso di politicizzazione, evidente nella loro capacità di mobilitare e catalizzare energie ma soprattutto negli obiettivi che pongono. “Gli orti urbani, i gruppi di consumo, gli spazi autogestiti non sono solo, e nemmeno in primo luogo, spazi di soddisfacimento delle esigenze fondamentali. Sono – sottolineano Blanco e Nel·lo – forme di sperimentazione, riflessione e rivendicazioni di nuove forme di vita comune che prendono forza in un contesto di crisi sociale e politica profonda”. Alcune di queste iniziative interagiscono con le istituzioni locali; altre rivendicano la loro piena autonomia. E se la loro distribuzione in generale è correlata ai tassi di popolazione, c’è un punto che merita essere sottolineato: queste prendono vita più numerose e funzionano meglio dove il tessuto sociale si caratterizza per uno status socio-economico medio. Mentre sono meno presenti nelle zone caratterizzate da fasce sociali più deboli. Questo tratto del fenomeno fa emergere da una parte come le iniziative di azione sociale innovative possano determinare un aumento degli squilibri tra le diverse zone e i diversi comuni; dall’altra evidenzia l’impossibilità di fare affidamento soltanto su questo tipo di iniziative restando essenziale un’azione pubblica.

La domanda cruciale a cui Ismael Blanco e Oriol Nel·lo provano a rispondere riguarda le caratteristiche di questa azione pubblica. In questo – mi pare di poter dire – facendo riferimento anche all’esperienza della ley du barrios, attivata in Catalogna quando Nel·lo dirigeva la pianificazione di quella regione: un’esperienza che, com’è noto, ebbe notevoli risultati positivi. Secondo Blanco e Nel·lo le politiche pubbliche dovrebbero fare tesoro di cinque raccomandazioni.

La prima di queste, denominata Bisogno, fa riferimento al fatto che la segregazione spaziale urbana e territoriale è determinata appunto da 'bisogni' di sussistenza essenziali che costringono le fasce sociali più svantaggiate a concentrarsi in quartieri o comuni che spesso non dispongono di adeguati servizi (scuola, salute, verde ecc.) determinando così un peggioramento nella vita di queste fasce della popolazione. Un criterio di giustizia sociale imporrebbe una distribuzione meno polarizzata in ambito urbano e territoriale e, ove questa fosse già avvenuta, politiche di riqualificazione che vadano nella direzione di migliorare i contesti dotandoli almeno delle infrastrutture e dei servizi essenziali. Questo – può apparire paradossale ma non lo è – senza preoccuparsi del fatto che tali miglioramenti, determinando una valorizzazione immobiliare, possano costituire un’ulteriore spinta alla segregazione mettendo in modo processi di espulsione dei soggetti o delle famiglie maggiormente in difficoltà e non in grado di sopportare i nuovi livelli di spesa (della casa in primis). Assumere a priori questa preoccupazione significherebbe legarsi le mani all’inattività e gli esiti della legge citata in precedenza indicano che ci possono essere modi di operare caratterizzati da intelligenza politica e istituzionale che possono efficacemente ridurre gli effetti negativi della segregazione spaziale senza particolari controindicazioni.

La Cooperazione costituisce la seconda delle raccomandazioni di Blanco e Nel·lo. Questa assume particolare rilevanza se fosse vero, come è vero, che i comuni dove è più accentuato il fenomeno della concentrazione delle fasce sociali più deboli sono quelli con più bassi livelli di risorse e una ridotta base fiscale. Una politica di rigenerazione se da un lato non può non essere locale nella sua promozione, conformazione e attuazione, dall’altro ha la necessità di adeguate risorse ed energie messe a disposizioni da tutte le amministrazione dello Stato. È cioè necessaria cooperazione a tutti i livelli della pubblica amministrazione finalizzata a massimizzare i risultati in condizioni di risorse limitate.

Per essere efficaci le politiche dovrebbero poi, secondo gli autori, caratterizzarsi per la loro Trasversalità: è noto che tra i fattori che incidono maggiormente sulla qualità di un quartiere o di un centro urbano ci sono gli spazi pubblici, la vitalità commerciale, le attrezzature urbanistiche, ecc. Qualsiasi intervento in questi ambiti dovrebbe essere trasversale, appunto, ovvero riguardare diversi aspetti della vita dei contesti e, al tempo stesso, coinvolgere differenti settori dell’amministrazione, il cui coordinamento appare strategico.

Il Coinvolgimento dei cittadini costituisce un’altra delle raccomandazioni fondamentali per la riuscita delle politiche pubbliche. Quello che appare necessario evitare a tutti i costi è la passività dei cittadini rispetto ai processi di rigenerazione urbana. Al contrario si sottolinea l’opportunità di fare dei cittadini i protagonisti di questi processi.

Infine, l’ultima raccomandazione riguarda la Valutazione. Una valutazione continua – osservano Blanco e Nel·lo – permettebbe di ricalibrare gli interventi avviati, introducendo strada facendo quei correttivi che ne garantirebbero il risultato voluto. L’importanza di tale raccomandazione appare evidente anche e soprattutto in questa fase storica in cui quartieri, città e territori sono investiti da fenomeni esogeni, come la pandemia, del tutto imprevedibili che rischiano di mandare in fumo azioni di lungo periodo su cui si sono già investite significative risorse.

Per concludere, il volume di Ismael Blanco e Oriol Nel·lo pare importante e utile per affrontare problemi cruciali della città e del territorio contemporanei. Questo, tanto sul fronte dell’analisi di un particolare fenomeno – quello della segregazione spaziale – quanto su quello della sua soluzione attraverso politiche sociali adeguate, fondate sull’esperienza e soprattutto sull’equità.

Francesco Indovina

 

 

 

* Introduzione, Ismael Blanco e Oriol Nel·lo
La segregazione urbana: aspetti teorici e contesti attuali, Carles Donat
Lo studio della segregazione urbana: approccio metodologico, Eduard Jimènez e Carles Donat
La segregazione urbana in Catalogna, Oriol Nel·lo
Un approccio sociale all’innovazione sociale, Quim Brugué e Rubén Martínez
Delimitare e mappare l’innovazione sociale, Helena Cruz e Rubén Martínez
L’innovazione sociale in Catalogna: un’analisi socio spaziale, Ismael Blanco e Helena Cruz
Conclusioni, Ismael Blanco e Oriol Nel·lo
P
ostfazione all’edizione italiana, Per un futuro possibile delle politiche pubbliche, Angelino Mazza e Raffaele Paciello.

 

 

N.d.C. - Francesco Indovina, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica all'Università IUAV di Venezia, dal 2003 insegna alla Scuola di Architettura di Alghero (Università degli Studi di Sassari). Da sempre è fautore di un approccio interdisciplinare agli studi sulla città e il territorio coniugato a un saldo impegno civile. È autore di numerose pubblicazioni e ha fondato e diretto i periodici "Archivio di studi urbani e regionali" e "Economia urbana" (già "Oltre il Ponte"); dirige inoltre la collana di Studi urbani e regionali edita da FrancoAngeli.

Per Città Bene Comune ha scritto: Si può essere "contro" l'urbanistica? (20 ottobre 2015); Quale urbanistica in epoca neo-liberale (3 febbraio 2017); Pianificazione "antifragile": problema aperto (23 giugno 2017); Una vita da urbanista, tra cultura e politica (24 novembre 2017); Non tutte le colpe sono dell'urbanistica (14 settembre 2018); Che si torni a riflettere sulla rendita (8 febbraio 2019); Un giardino delle muse per capire la città (4 ottobre 2019); È bolognese la ricetta della prosperità (20 marzo 2020).

Del libro di Francesco Indovina Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017) hanno scritto in questa rubrica: Marcello Balbo (7 settembre 2018); Patrizia Gabellini (26 ottobre 2018); Oriol Nel·lo (7 dicembre 2018).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

27 NOVEMBRE 2020

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

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G. Consonni, Città: come rinnovare l'eredità, commento a: G. Piccinato, Il carretto dei gelati (Ed. Roma TrE-Press, 2020)

L. Piccioni, La critica del capitalismo da Salzano a Nebbia, commento a: G. Nebbia, La terra brucia, a cura di L. Demichelis (Jaca Book, 2019)

M. Bolocan Goldstein, Spazio & società per ripensare il socialismo, commento a: B. Sala, Società: per azioni (Einaudi, 2020)

M. Landsberger, L'architettura moderna in Sicilia, commento a: G. Di Benedetto, Antologia dell’architettura moderna in Sicilia (40due edizioni, 2018)

M. Balbo, Trasporti: più informazione, più democrazia, commento a M. Ponti, Grandi operette (Piemme, 2019)

F. C. Nigrelli, Senza sguardo territoriale la ripresa fallisce, commento a: A. Marson (a cura di), Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (Quodlibet, 2019)

G. Pasqui, La Storia tra critica al presente e progetto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)

F. Lazzari, Paesaggi dell'immigrazione in Brasile, commento a: D. Rigatti, E. Trusiani, Architettura e paesaggio in Serra Gaúcha (Ed. Nuova Cultura, 2017)

F. de Agostini, De carlo e l'ILAUD: una lezione ancora attuale, commento a: P. Ceccarelli (a cura di), Giancarlo De Carlo and ILAUD (Fondazione Ordine Architetti Milano, 2019)

P. O. Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura, commento a C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)

A. Mela, La città e i suoi ritmi (secondo Lefebvre), commento a: H. Lefebvre, Elementi di ritmanalisi, a cura di G. Borelli (Lettera Ventidue, 2019)

P. Baldeschi, La prospettiva territorialista alla prova, commento a: (a cura di) A. Marson, Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (Quodlibet, 2019)

C. Magnani, L'architettura tra progetto e racconto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)

F. Gastaldi, Nord vs sud? Nelle politiche parliamo di Italia, commento a: A. Accetturo e G. de Blasio, Morire di aiuti (IBL, 2019)

R. Leggero, Curare l'urbano (come fosse un giardino), commento a: M. Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto (Ponte alle Grazie, 2019)

E. Zanchini, Clima: l'urbanistica deve cambiare approccio, commento a: M. Manigrasso, La città adattiva (Quodlibet, 2019)

A. Petrillo, La città che sale, commento a: C. Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)

F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)

G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)

P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)

V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)

E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)

A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)

G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)

C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)

G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle
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F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)

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S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)

L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)

 

 

 

 

 

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