Silvia Vegetti Finzi  
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PER UNA CULTURA DELLA SEPARAZIONE


Preservare le relazioni affettive quando la famiglia si infrange



Silvia Vegetti Finzi


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Relazione pronunciata al convegno
GENITORI SI DIVENTA
DIRITTI E RESPONSABILITÀ
Un dibattito e un confronto tra punti di vista diversi
organizzata da: Casa della Cultura, Papà separati APS Sezione Milano, Famiglie Separate Cristiane, Donne nella separazione - Mamme separate
Casa della Cultura 26 febbraio 2022

 

Prima di affrontare i problemi psicologici della separazione familiare vorrei soffermarmi su una riflessione preliminare che formulo con una domanda: perché mentre i matrimoni calano vertiginosamente e le convivenze diventano sempre più precarie e superficiali le separazioni suscitano un impatto emotivo così forte da costituire in casi estremi un’emergenza sociale?

Una contraddizione che nell’epoca del disincanto della ragione calcolante e ultimamente dell’apatia m’induce a definire la separazione coniugale “l’ultima passione”.

Con il termine “passione” intendo il potenziale espressivo che per secoli ha rappresentato il modello più potente dell’affermazione di sé delle relazioni interpersonali e del rapporto tra l’individuo e la società.

Analizzare gli stati passionali ci può aiutare a comprendere la complessità della separazione familiare che è anche divisione di sé e riorganizzazione del mondo interno oltre che del mondo esterno.

Per Aristotele che riflette sul teatro drammatico la famiglia è il luogo della tragedia e la sua implosione comporta uno stato passionale contraddistinto da sette caratteristiche:

1) una situazione relazionale. La passione rimanda sempre all’alterità. Nei conflitti coniugali e nelle separazioni l’altro è il coniuge, il con-sorte, colui o colei con cui si condivide la sorte.

2) avviene un disimpasto delle due forze vitali, l’amore e l’odio, e mentre l’amore unisce l’odio divide. Scopo della loro miscela è di stabilire e mantenere la giusta distanza. Cito ancora una volta i porcospini di Shopenhauer che se stanno troppo vicini si pungono se stanno troppo lontani hanno freddo.

3) vi è patos nella passione dolore; per quanto vi sia nell’opinione pubblica una sua banalizzazione - “ che sarà mai ormai si separano tutti i figli lo danno per scontato!” - La sofferenza è una costante del crollo del sistema familiare in quanto vengono meno per tutti sicurezze, abitudini, punti di riferimento, memorie e progetti. Per i più fragili costituisce un vero e proprio trauma.

4) elementi razionali e irrazionali configgono, motivazioni positive si mischiano a impulsi incontrollati. Possono emergere pregiudizi che si sottraggono al pensiero critico e atteggiamenti negativi indotti da conflitti che risalgono a generazioni precedenti. La passione diviene ingestibile quando emozioni negative quali la collera e il rancore si trasformano in odio, uno stato d’animo che pietrifica i rapporti e si sottrae al dialogo.

5) coinvolgimento del corpo. Gli stati passionali trapelano nei gesti, nelle espressioni, nei toni della voce, nel grido e nel pianto. Se le loro tensioni non vengono mentalmente comprese, contenute ed elaborate possono sfuggire al controllo ed esprimersi in disturbi psicosomatici o in casi estremi in atti di aggressività e di violenza contro se stessi e gli altri, spesso l’altra.

6) importanza del coro. Intorno agli attori si dispongono comprimari, comparse spettatori. In particolare i nonni

7) potere trasformativo delle passioni: dopo nulla sarà più come prima

L’eccesso che contraddistingue le passioni, i residui irragionevoli che le turbano, hanno sempre suscitato interventi antipassionali quali la religione, il diritto, l’educazione, l’etica, la medicina. Interventi che cercavano non solo di sopprimere ma di incanalare le passioni proponendo un buon uso del loro potenziale trasformativo. Ora invece nel fuoco del conflitto coniugale i contendenti sono mentalmente soli, privi di valori di riferimento non sanno come mantenere e disfare i rapporti familiari, come accordarsi nel crescere i figli, perché non esistono modelli ideali, narrazioni condivise. Tanto che talvolta ascoltando le loro parole sembra di assistere a film diversi.

Si rivolgono allora alla Legge nella logica radicale di colpa e punizione e/o ai Centri di mediazione familiare nella logica moderata del sacrificio individuale per il bene comune.

La separazione prevede quindi due percorsi, giuridico e psicologico, che sebbene differenti dovrebbero dialogare tra loro tenendo sempre presente l’interesse prioritario dei figli.

Lo slogan “Come marito e moglie ci si può separare ma si resta genitori per sempre” non costituisce un punto d’arrivo ma di partenza. Indica quello che dovrebbe avvenire non come.

Il conflitto se non è distruttivo può svolgere una funzione positiva modificando situazioni disfunzionali. Come insegna il pedagogista Daniele Novara occorre imparare sin da bambini a stare nel conflitto utilizzandone le potenzialità eversive e ricostruttive.

La separazione se condotta a buon fine ci dà la possibilità di stipulare nuovi patti dove gli ex coniugi siano in grado di collaborare per il bene dei figli.

 

"Padri e madri si diventa" dichiara il titolo di questo convegno, mai da soli però, ma nell’ambito di un contesto che può promuovere o disincentivare la genitorialità. Generare è un fatto intimo privato e nello stesso tempo pubblico perché riguarda la comunità, il presente e il futuro della società,

Ora la famiglia in crisi è immersa in una società anch’essa in crisi

Premetto che i rapporti coniugali si svolgono sullo sfondo di un plurisecolare conflitto tra i sessi. È significativo che primo codice giuridico della nostra civiltà, l’Enuma Elish 1700 a C, si apra con il mito cosmogonico più antico dove il principio maschile sottrae con violenza al principio femminile la Madre Terra il potere di generare. Imposizione che ritroviamo in molti miti olimpici e che si accompagna come solo ora possiamo comprendere al dominio della natura e allo sfruttamento incondizionato delle sue risorse. Negando la madre neghiamo la nostra dipendenza al tutto.

Tornando a noi per quanto riguarda la famiglia occidentale i tempi sono tre cronologicamente successivi ma tutti presenti nella mente ove spesso configgono, il non tempo dell’inconscio, il tempo lungo del patriarcato il tempo breve della tarda modernità.

1) il “non tempo dell’Edipo”,si tratta di un triangolo immaginario rappresentato nell’inconscio ai cui vertici si collocano padre- madre-figli correlati tra di loro da sentimenti positivi e negativi. La geometria della famiglia è garantita dal divieto dell’incesto non amare la madre non odiare il padre! Una Legge non scritta e non detta che stabilisce il massimo di distanza (possiamo sposare chiunque salvo le persone che sin dalla nascita ci sono più care, i genitori, i fratelli, i congiunti di primo grado). Paradossalmente là dove regna il massimo di prossimità è imposto il massimo di lontananza. Nello svolgimento della famiglia che va dall’ endogamia all’esogamia coesistono forze centripete e centrifughe per cui la famiglia è di per se stessa un luogo potenzialmente conflittuale.

2) Il tempo lungo del Patriarcato, tutto il potere al padre detentore della patria potestà, autorità normativa e punitiva tanto nei confronti dei figli quanto della moglie.

3) Il tempo breve della famiglia affettiva tendenzialmente paritetica.

La famiglia moderna non ha ancora 50 anni. Soltanto mezzo secolo rispetto alla famiglia patriarcale la cui organizzazione che coincide con la civiltà si perde nella notte dei tempi. La famiglia che contraddistingue la nostra epoca nasce infatti negli anni 70 in un clima di contestazione dell’autoritarismo nella società e nella famiglia.

In dieci anni è accaduto un processo rapidissimo di secolarizzazione ed emancipazione che ci ha lasciati disorientati, basta pensare che la contraccezione sicura ha separato la sessualità dalla procreazione e la fecondazione artificiale la procreazione dalla sessualità.

Il più incisivo è senz’altro il divorzio. Oggettivamente è una scelta intenzionale protratta nel tempo legittimata dalle istituzioni. Soggettivamente un’esperienza ad alta perturbazione che implica fantasie, emozioni, rimorsi, rimpianti e talora ripensamenti. Tutto si complica quando la divisione coinvolge i figli.

Ora la maggior parte dei bambini sono figli del desiderio, pochi, amati da genitori e parenti, iperprotetti, cresciuti in un universo prevalentemente femminile: la mamma, la nonna, la pediatra, la maestra, le professoresse. Il padre? “Non c’è mai” è la risposta più consueta.

In una società capitalista il lavoro tende a essere fagocitante e la vittima designata per motivi di priorità economica e professionale è quasi sempre il padre.

In assenza del padre le decisioni fondamentali che riguardano i figli vengono quotidianamente esercitate dalle madri con un effetto di logoramento ma anche di attaccamento prolungato oltre i limiti fisiologici. Mentre un tempo spettava al padre regolare ed eventualmente punire le trasgressioni di ragazzi e ragazze ora nessuno dei due genitori sembra disposto a suscitare la loro ostilità. Come sostiene lo psicoterapeuta Matteo Lancini “Non si pratica più la cultura del no”. E la figura del padre è in crisi totale. Se l’atteggiamento permissivo di entrambi i genitori non crea troppi problemi finché i figli sono bambini, le spinte evolutive degli adolescenti all’indipendenza, spesso anarchiche e provocatorie, richiedono ai padri un intervento normativo che non sono preparati a esercitare.

È qui che la famiglia paritetica si fa conflittuale

D’altra parte è comprensibile che i figli si schierino dalla parte della madre e rifiutino una figura paterna che improvvisamente ha cambiato atteggiamento nei loro confronti. Già Platone si chiedeva tra il medico e il pasticcere chi preferiranno i bambini? Il problema come sempre è a monte e riguarda la società e la famiglia.

Le madri attuali sono donne emancipate, consapevoli dei loro diritti, indipendenti, economicamente tentate come osserva Anna Oliverio Ferraris di capovolgere a loro favore il potere patriarcale.

Mentre dagli anni ’80 le donne, anche grazie al Movimento femminista, hanno preso atto dei cambiamenti e si sono impegnate in processi di autocoscienza, ascolto e condivisione, gli uomini sono rimasti per lo più isolati, incapaci dopo secoli d’interdizione non solo di esprimere ma di riconoscere sentimenti ed emozioni condizionati dagli pseudo valori della virilità.

“Il vero uomo non piange”, “L’uomo che non deve chiedere mai!”. Mito del maschio selvaggio.

Propongo in proposito di sostituire la terminologia “maschi e femmine” con “uomini e donne” termini più capaci di dar conto della storia della nostra “ amicizia inquieta” per utilizzare il titolo di un saggio di Nadia Fusini.

Di fatto negata la loro componente femminile gli uomini si trovano in difficoltà di fronte a partner che non corrispondono alle loro madri che reclamano forme di libertà che fanno paura perché mettono in crisi la loro identità. La generazione di padri “che ha fatto il 68” costituisce per la prima volta l’anello fragile della catena familiare.

Le cose vanno meglio con i loro figli agli attuali genitori perché hanno accettato di condividere con mogli e compagne l’attesa, la nascita e l’ allevamento dei bambini. Come non si era mai visto prima entrano in sala parto, spingono la carrozzina, indossano il marsupio, si divertono a giocare anche con i più piccoli, scoprono il piacere anche fisico di accudire i bambini e di crescere con loro.

Il pericolo è che nella progressiva omologazione si perda l’identità di genere che venga meno la differenza sessuale. Negli anni novanta è emersa e per fortuna svanita la figura del “mammo” una funzione ambigua che non corrisponde all’immaginario romantico femminile, al sogno d’amore delle giovani donne.

Di fatto come mostra l’infant observation madri e padri anche se fanno le stesse cose non si sovrappongono in quanto svolgono una funzione diversa. Mentre la madre contiene e trattiene il padre allontana ed emancipa. Vedi l’immancabile “vola vola” con cui i papà concludono accudimenti e giochi con i più piccoli.

L’importante è che entrambi riconoscano che nell’eguaglianza dei compiti svolgono funzioni complementari.

Mentre all’inizio della vita l’attaccamento esclusivo del figlio alla madre è un impulso originario, progressivamente subentrano altre forme d’interazione sociale tra cui fondamentale il rapporto col padre. Per il bambino padre è colui che la madre riconosce come tale. Un’attribuzione che il partner deve meritarsi ottenendo la stima e la fiducia della madre e attraverso di lei quella del figlio. Il distanziamento che per assumere il suo posto il padre compie nella diade originaria deve essere per quanto possibile un atto d’amore verso entrambi. Sentendosi valorizzata come donna la madre può cedere quote del legame originario senza sentirsi deprivata. Questo atteggiamento risulta fondamentale nel momento della separazione coniugale quando si affronta l’ossimoro di dividersi restando tuttavia congiunti senza sapere come sciogliere la contraddizione. Mancano ai padri forme di condivisione e di narrazione della propria storia, parole per ammettere il dolore, la fragilità, la debolezza che contraddistinguono la condizione umana.

Storicamente il padre autoritario avrebbe dovuto lasciare il posto al padre autorevole che si fa apprezzare e amare dal figlio non solo per il suo fare ma per il suo essere. Ma poiché questo non sempre avviene si scivola inavvertitamente nell’autoritarismo del “devi amarmi sono tuo padre!”.

Da mezzo secolo, infranti gli stampi della tradizione, donne e uomini stanno sperimentando nuove modalità di relazione e di convivenza procedendo a vista in un perpetuo patteggiamento. Reso più difficile dal fatto che la famiglia è un organismo vivo che muta secondo le stagioni della vita scandite soprattutto dall’evoluzione dei figli dal loro diventare adulti. Se nell’infanzia prevale l’angoscia d’abbandono, la latenza è contraddistinta da sensi di colpa e fantasie di riparazione, mentre l’adolescenza è dilaniata dal dilemma tra schierarsi con l’uno o con l’altra dei genitori oppure allontanarsi dalla famiglia d’origine col rischio di perdere il senso di continuità che protegge da derive identitarie.

Bambine e bambini crescono accanto sin dall’asilo ma non sono educati alla relazione tra i sessi a riconoscere l’eguaglianza nella differenza né a scuola né a casa. E nel silenzio prosperano stereotipi e pregiudizi.

Oltre ai tempi storici di lunga e breve durata dobbiamo tener conto dell’emergenza Covid.

Il lockdown ha esasperato i conflitti e fatto emergere nuclei nevrotici latenti.

Se non è mai stato facile essere genitori ora è più difficile che mai e nel momento il cui l’impianto familiare crolla sorge una domanda d’aiuto che solo in alcuni casi trova adeguata risposta.

Prima di entrare nel merito, premetto che dopo aver svolto consulenze per il Tribunale per i minorenni cercando con gli strumenti della sensibilità e della diagnostica clinica di comprendere anche lo stato d’animo dei più piccoli e dopo aver letto circa duecento testimonianze di figli di genitori separati dagli undici ai quarant’anni posso sostenere che bambini e adolescenti desiderano crescere con entrambi i genitori e che qualsiasi cancellazione di queste figure fondamentali minaccia il loro sviluppo. Anche da adulti l’assenza o la lontananza di uno dei due è fonte di nostalgia e di rimpianto.

A ogni età i figli partecipano in modi diversi alle tensioni della famiglia e desiderano che i loro timori prima di tutto quello di essere abbandonati siano riconosciuti ed esplicitati Una constatazione che invita al dialogo e all’ascolto.

Nella fase del conflitto le coppie chiuse in una bolla emotiva, tutte prese a rivendicare le proprie ragioni e a colpevolizzare il partner, tendono a escludere i figli che spesso rimangono abbandonati a se stessi in preda a paure ingigantite dalla fantasia. Mentre i genitori possono rivolgersi a parenti, amici e consulenti, bambini e adolescenti restano soli. I genitori credono così di proteggerli, di agire per “il loro bene”. Ma nel conflitto i figli ci sono già, ci sono da sempre e occorre innanzitutto riconoscerlo. Come suggerisce Françoise Dolto “dite quello che fate e fate quello che dite”.

Se ai più piccoli basta un tenero abbraccio con i più grandi è necessario instaurare un dialogo che dia parole al dolore e iscrivere la frantumazione della famiglia in una storia che li rassicuri sul senso e il valore della loro vita e sulla permanenza delle figure di riferimento. Tutti desiderano avere la conferma di essere stati desiderati e che l’amore parentale non li abbandonerà mai.

Quando i figli vengono compresi più che il problema costituiscono la soluzione.

La loro capacità d’intuire sin da piccoli le motivazioni delle tensioni familiari le eventuali conseguenze e le possibilità farvi fronte svolgono un significativo effetto mediatore.

Mentre i genitori in conflitto sono attratti dal passato i figli aprono al futuro, la loro spinta evolutiva prefigura un domani desiderabile e possibile.

Attraverso i figli l’Io dei coniugi delusi e arrabbiati si apre al “noi” della genitorialità.

Mentre come coniugi invocano i Diritti! Come genitori sono disposti a riconoscere le loro responsabilità. Da una prospettiva giuridica si passa così a una prospettiva etica.

Nella fase della separazione poi i figli si trovano tra due fuochi e nei casi peggiori vengono utilizzati come ostaggi. Inchiodare il figlio a fianco di un genitore contro l’altro rischia di bloccare il loro sviluppo emotivo e relazionale. Papà e mamma sono presenze mentali oltre che reali e va fatto tutto il possibile per preservarle per far sì che non si sabotino a vicenda. Un bambino, terminato il disegno in cui si ritrae tra i genitori, commenta “sono contento perché ho ancora il mio papà e la mia mamma e li ho fatti sorridenti perché ciascuno è contento quando c’è l’altro”.

Anche i nonni sono coinvolti in questo dramma. Posti al centro delle giovani famiglie alle quali in questi anni offrono sostegno economico, aiuto organizzativo e supporto affettivo, è impossibile impedire che prendano posizione che si schierino a fianco dei propri figli anche se la loro interferenza risulta spesso ambivalente.

Non esiste ancora una cultura della separazione. Pensieri e parole per dire le emozioni che ne conseguono. In confronto al fiume di parole che la nostra civiltà ha dedicato all’amore manca un lessico dei sentimenti negativi del disamore. Un silenzio sconcertante.

Analfabeti emotivi dobbiamo imparare a esprimere bisogni e desideri, riconoscendo che i sentimenti positivi non si possono prescrivere ricorrendo a obblighi e sanzioni e che per essere amati occorre saper essere amabili. Il verbo amare con conosce l’imperativo.

Solo la compassione e l’apprezzamento di sé aprono il cuore e la mente all’altruismo, alla capacità di prenderci cura di noi stessi e degli altri.

Chi riesce a perdonare e a preservare le relazioni affettive anche quando il sistema famiglia si è infranto trova il premio che merita nel benessere dei figli nel vederli crescere diventare adulti esprimendo le proprie risorse attuando le loro potenzialità.

Come direbbe Gaber “Non pretendete di vincere. Pensate al bene dei figli e aprite il cuore e la mente. Il resto è niente”

 

VIDEO INTEGRALE DEL CONVEGNO

 


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04 MARZO 2022