Pino Landonio  
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L'ALFABETO DELLA GUERRA


Una “operazione speciale” d’invasione e di terrore



Pino Landonio


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A come Armi. Fin dal primo giorno è sorta la discussione se dare o non dare armi all’Ucraina. Nel primo caso significava consentirle di difendersi, prolungando il conflitto. Nel secondo, obbligarla alla resa. Oggi le posizioni di pacifisti o realisti si sono, se possibile, radicalizzate. Alla parola delle armi si rischia di sostituire l’arma delle parole.

B come Biden. Da premier tentenna (vedi il ritiro dall’Afghanistan) al decisionista propugnatore della guerra prolungata. Quale è il vero Biden? Ai posteri l’ardua sentenza.

C come Cina. Il convitato di pietra. Amica di Putin, ma non interessata a che il conflitto duri a lungo. Finora defilata. Se ci sei batti un colpo, verrebbe da dire.

D come Donbass. La causa, apparente, del conflitto. Come fu Sarajevo nella prima guerra mondiale. Ma ora che quasi tutto il Donbass è in mano russa, perché la guerra continua? Chiedere a Putin…

E come Europa. Seppur faticosamente ha ricostruito una propria unità, prendendo decisioni comuni, sia sulle armi che sulle sanzioni. Che sia l’occasione, finalmente, per un salto di qualità della sua natura politica, a partire da un sistema comune di difesa?

F come Fake news. La guerra, come noto, è la fucina massima delle fake news. Certamente Zelensky non ne è immune. Ma chi ne è l’impareggiabile maestro è certamente Putin, a cominciare dalla ostinazione di chiamare “operazione speciale” quella che è, a tutti gli effetti, una guerra.

G come Guerra. E se non lo è questa, che cosa è mai una guerra?Parafrasando Putin una “operazione speciale” d’invasione e di terrore, dove la popolazione civile paga il prezzo di gran lunga più pesante.

H come Haker. L’attacco cibernetico o informatico è stato largamente impiegato sia prima che in tutte le fasi dell’attuale conflitto, da una parte come dall’altra. Per quanto non decisivo per le sorti finali, rappresenta però una spina nel fianco fastidiosa e spesso dolorosa.

K come Kaliningrad. Segnatevi questo nome. L’enclave russa tra Polonia e Lituania, sul mar Baltico, potrebbe rappresentare, alternativamente, o la miccia per un allargamento pericolosissimo dell’attuale conflitto, oppure la sede più naturale per una trattativa che porti finalmente se non alla pace, almeno a un cessate il fuoco.

I come Italia. Il ruolo del nostro Paese è stato fin qui abbastanza marginale. E tuttavia, va ricordato, agli occhi di Putin doveva rappresentare l’anello debole del fronte occidentale, grazie ai molteplici buoni rapporti con i vari Berlusconi e Salvini che, fino a prova contraria, fanno parte del governo. Così non è stato, e almeno di questo possiamo essere grati al premier Draghi.

J come Johnson. Boris è stata la prima vittima collaterale del conflitto. Dopo essersi segnalato come “falco“, più di Biden e di tutto il fronte occidentale, convinto assertore della lotta ad oltranza fino alla vittoria da parte dell’Ucraina, è stato azzoppato e costretto alle dimissioni da una faida interna al suo stesso partito. Chi di spada ferisce…

L come Lukashenko. È l’alleato più fedele di Putin. Si manterrà neutrale, anche se punto di appoggio delle operazioni russe, o finirà per dover scendere in prima persona nel conflitto? Non è una questione di poco conto per il rischio di allargamento dello stesso.

M come Macron. Nell’immediato pre-conflitto e nelle prime fasi dello stesso è stato l’unico leader europeo a tentare un dialogo con Putin, in virtù del proprio ruolo di presidente pro-tempore della UE. La sua mediazione non ha portato a nulla. Per sua debolezza o per la determinazione di Putin? La seconda ipotesi è la più accreditata.

N come NATO. È uscita finora nettamente rafforzata dal conflitto. Dopo essere stata data per indebolita se non addirittura comatosa dagli stessi alleati europei, è stata rivitalizzata da Putin, al punto da rappresentare un punto di riferimento anche per Paesi, come Finlandia e Svezia, da sempre orgogliosi della loro neutralità.

O come Odessa. È un altro snodo decisivo della guerra. Odessa è il porto ucraino piu’ importante sul Mar Nero. Come Mariupol lo era sul Mar d’Azov. È a Odessa che si combatte la battaglia del grano. Conquistare Odessa vorrebbe dire per Putin stritolare letteralmente l’Ucraina.

P come Putin. Che dire? Ora che lo abbiamo conosciuto nel suo vero volto non possiamo che condividere quello che vent’anni fa diceva di lui la Politovska, tra le prime sue vittime. Ma P anche come Pace. Finora l’ossimoro di Putin. Dovremmo scomodare Tolstoi e il suo Guerra e Pace per capire forse i due antipodi.

Q come Quando. Quando finirà? Onestamente non lo sappiamo. Zelensky ipotizza l’autunno, dopo che l’esercito ucraino avrà ripreso fiato e terreno. Ma Putin, dall’altra parte, si ostina a dire che “finora abbiamo scherzato”. Se così fosse dovremo prepararci a un lungo inverno di fuoco…

R come Russia. La grande Russia: ecco il vero sogno di Putin. Riunificare sotto un’unica egida le tre Russie degli zar: la Rus di Kiev, la Russia bianca di Minsk e la Russia di Mosca. Un sogno imperiale: ma si realizzerà? E a quali costi?

S come Stragi. E terrore. Il vero volto della guerra. A Bucha come a Mariupol, a Kramatorsk come a Kherson o Zaporiszka, ovunque una mattanza, con i civili a fare da vittime sacrificali. Aveva, anche in questo, perfettamente ragione Gino Strada, nel suo ultimo lavoro, postumo.

T come Tregua. Un sogno, una chimera, un leviatano? Lontanissima per ora. E chi ne sarà il garante? Perfino la voce di Papa Francesco relegata in sordina, silenziata. Per non dire delle Nazioni Unite, del tutto o quasi estranee al conflitto. Come se non le riguardasse. O dobbiamo contare su un dittatore come Erdogan? In che mani, verrebbe da dire…

U come Ucraina. La conoscevamo appena sulla cartina. Oggi tutti sanno dov’è Kiev e Odessa e Mariupol. Perfino il Donbass, e la Crimea. Quando la geografia guadagna la stessa dignità della storia è il caso di preoccuparsi.

V come Vittoria. Parola sinistra, in questo caso. Sia che la agiti minacciosamente Putin, sia che la rivendichi (ma come?) Zelensky. Guardiamoci dalla ricerca della vittoria, da qualsiasi parte venga. Dobbiamo ricercare, per entrambi i contendenti, la non sconfitta, o la non resa, se vogliamo una via di uscita davvero perseguibile.

Z come Zeta. È il simbolo, sinistro, posto sui carri armati russi. Un simbolo che evoca immagini nefaste del passato. Per chi diceva di voler “denazificare“ l’Ucraina, una patente tutt’altro che rassicurante.


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22 LUGLIO 2022