Silvia Vegetti Finzi  
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LA PSICOANALISI HA UN FUTURO?


È intatto il bisogno di dar senso al nostro essere nel mondo



Silvia Vegetti Finzi


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Premessa

Difficile rispondere a una domanda sull’avvenire della Psicoanalisi nel momento in cui il futuro stesso sembra collassato, quando si vive sull’orlo di una catastrofe globale che esaspera la paura e cancella la speranza, perdita che Kierkegaard considera una “malattia mortale”

 

IL PRESENTE

Mi chiederei prima di tutto se la Psicoanalisi (Ps.) ha un presente tenendo conto che viviamo in una nebulosa di offerte terapeutiche dove si va dalle società storiche che - proseguono la tradizione, mantengono una certa ortodossia, preservano la memoria del padre fondatore e la storia del Movimento psicoanalitico - a psicoterapie di impianto psicoanalitico, convalidate da corsi istituzionali, sino a fantasiose contaminazioni di metodi e teorie. Di quest’ultime, credo, non terremo conto.

Occorre poi distinguere tra Ps. intensiva, che si attua nello studio professionale attraverso il colloquio tra medico e paziente, e Ps estensiva che si rivolge alla società e alla cultura.

In questo momento, almeno a Milano, la domanda di psicoterapie eccede l’ offerta per cui non c’è crisi nel settore professionale mentre, di contro, latita la parola psicoanalitica nell’ambito della riflessione collettiva. Che cosa ci dice la Ps. a proposito della violenza alle donne, dell’inverno demografico, dell’immigrazione, del genocidio? Poco, forse niente mentre la prima generazione di psicoanalisti si è a più riprese interrogata su temi di attualità come il “Perché la guerra?”.

Nonostante il “mondo di ieri”, dopo due guerre mondiali sia radicalmente cambiato, i consigli freudiani sulla tecnica della psicoanalitica risultano ancora funzionali. Tra questi sottolineo l’importanza di privilegiare i vissuti attuali, l’hic et nunc, anche a scapito dell’ analisi dei sogni e dell’anamnesi.

Fermo restando l’essenziale: la parola, la funzione del desiderio, la ricostruzione e la costruzione del passato, l’interpretazione dei sogni e delle resistenze, l’unicità delle energie fisiopsichiche ( libido), sono state introdotte col tempo molte varianti della cura tipo.

Mi sembra che, come Maria Montessori ha posto l’alunno al centro dell’insegnamento, la Ps. post freudiana ha assegnato al paziente il protagonismo dell’analisi trasformandolo così da analizzato ad analizzante.

Molteplici sono le prove della capacità di un sapere, nato nel secolo scorso, di sopravvivere nel terzo millenio. Lo rivelano le sue capacità di adattamento: la disponibilità a superare il Lockdown imposto dalla pandemia con dispositivi di comunicazione a distanza, di calendarizzare le sedute secondo le esigenze di pazienti ad alto indice di mobilità, di sospendere la richiesta di astinenza nel caso di giovani assuefatti all’uso di droghe leggere e soprattutto di abbattere le resistenze di molti pazienti che giungono in analisi con convinzioni personali desunte dalla diffusione di massa di una cultura psicanalitica sempre meno controllata.

Lascia ben sperare la diffusione globale della psicoanalisi ( di cui è portavoce Lorena Preta). anche se siamo agli esordi del confronto tra culture remote e diverse.

In particolare nella tarda modernità è avvenuto, cosa che Freud non aveva previsto, uno spostamento nell’ architrave edipico patriarcale che comporta l’emarginazione del padre (l’evaporazione lacaniana) e la centralità della madre.

Le conseguenze morali, nei figli, derivano in gran parte dal passaggio dall’odio per il padre al senso d’inadeguatezza rispetto alle attese eccessive della madre, dal “non devo” al non posso, nel senso di non “ce la faccio”, dalla colpa alla vergogna.

Con conseguente indebolimento del divieto dell’incesto (Legge del Padre) e il diffondersi di una incestuosità diffusa.

Per altro la competitività del capitalismo avanzato provoca la disgregazione delle forme associative. S’indebolisce tanto il senso di appartenenza alle istituzioni quanto la partecipazione alle aggregazioni movimentiste. La vita diventa una gara di tutti contro tutti anche se l’eccellenza è, per definizione, eccezionale.

L’individualismo favorisce l’egocentrismo, l’egoismo proprietario dell’Io e del Mio, modalità identitarie che la Ps. analizza nelle varianti del narcisismo.

La terapia è il campo sperimentale della psicoanalisi, il luogo dove l’universale si personalizza e corpo e anima dialogano attraverso il sintomo e la parola. Se la relazione di cura offre la possibilità di cogliere le contraddizioni del tempo in cui viviamo, di dar parola al malessere della civiltà, perché non aprire la “ galera terapeutica” ( Freud) alle domande del mondo?

Questi scarni cenni sull’attualità ci dicono che la psicoanalisi è viva e che sarebbe capace di intervenire sui processi del mondo se osasse esprimersi, tentare, sbagliare, ammetterlo e ricominciare.

Non so se ha un futuro ma si comporta “come se” ci fosse un futuro possibile, un avvenire desiderabile.

Prima di spostarmi, come richiesto, nell’ambito della profezia, vorrei osservare che l’uomo occidentale è un soggetto plasmato dalla psicoanalisi. Introducendo nella nostra identità l’inconscio, la psicoanalisi provoca mutamenti, non solo nella stanza d’analisi, ma nella nostra antropologia.

Così come non possiamo non dirci aristotelici (Kant), cristiani (Croce), copernicani (Freud), altrettanto non possiamo non dirci freudiani. Consapevolmente o meno, siamo modellati dal suo pensiero, condizionati dalle sue ipotesi.

La parola è sempre performativa tanto nello studio psicoanalitico quanto nella società.

 

IL FUTURO

Purtroppo non conosco il futuro, ma posso tentare una disamina del processi che favoriscono o oppongono al permanere e al progredire del sapere e del saper fare psicoanalitici.

Più facile individuare quelli negativi.

 

FATTORI SFAVOREVOLI

Innanzitutto le attuali modalità di comunicazione: il prevalere, soprattutto tra i giovani, dello spazio virtuale rispetto a quello reale, il primato della conoscenza visiva a scapito di quella verbale, le suggestioni dei messaggi telematici, il potere della tecnica, anonima e impersonale.

Il diffuso ricorso a rimedi farmacologici induce la fretta di ottenere risultati, un’ impazienza che si contrappone ai tempi lunghi della psicoanalisi, al suo mirare non tanto alla soppressione del sintomo quanto alla ricerca della verità.

Sullo schermo del futuro si sta ingigantendo la minaccia dell’intelligenza artificiale, la paura che ci sostituisca sino a dominarci, come noi abbiamo fatto con l’addomesticamento degli animali.

Benché dissimili, sono processi antagonisti nei confronto di una esperienza intima, soggettivante, ad alto indice di responsabilità personale, come la psicoanalisi.

Altro ostacolo, la crisi della cultura umanistica. La psicoanalisi pertiene, a mio avviso, all’ambito delle discipline storico-filosofiche. Nonostante le speranze di Freud, nel contesto biologico si esaurisce in quello artistico, filosofico e letterario fiorisce.

Lo dimostra il successo ottenuto da Lacan introducendo il pensiero freudiano nell’ambito dello strutturalismo francese ( Saussure, Lévy Strauss) e della Fenomenologia hegeliana letta da Kojève.

Nelle Facoltà di Psicologia, la Psicologia Dinamica (termine per indicare l’insegnamento della storia e delle teorie psicoanalitiche) è diventata un optional mentre si affermano il comportamentismo, la statistica, la neurofisiologia. Un paradosso rispetto alle aspettative della maggior parte degli studenti, che aspirano a diventare psicoterapeuti in libera professione.

 

FATTORI FAVOREVOLI

Per quanto riguarda i trend positivi, citerei innanzitutto, come avviene in tante competizioni, l’assenza di concorrenti.

Innanzitutto l’eclisse della religione, delle sue promesse di salvezza, che Freud considera “illusioni” e la progressiva secolarizzazione del mondo.

Più recentemente la crisi della metafisica sostituita dalla filosofia analitica di stampo anglosassone.

Se è vero che la Ps. s’iscrive nel plurisecolare percorso del mandato socratico “Conosci te stesso !”, ripreso da Agostino con l’introversione della verità, chi è ora in grado di ricevere il testimone di questa tradizione? Non certo la Filosofia che, osserva Agamben, si è trasformata da ancella della teologia ad ancella delle scienze.

Eppure, in ultima analisi, permane intatto il bisogno di dar senso e valore al nostro essere nel mondo, il desiderio di affrontare, come direbbe Cacciari, le “prime e ultime questioni”. A chi obbietta che la Ps. non dà risposte, direi che essa offre, nonostante il diniego freudiano, una weltanschauung, una visione del mondo e un’etica che, senza essere prescrittive, possono dar senso alla nostra esistenza e orientarne il cammino.

Concluderei, riprendendo il quesito iniziale: “ritroveremo la psicoanalisi nel prossimo futuro?” usando un’espressione di Calvino: “ se saremo in grado di portarcela”.

Che fare? Tanti sentieri, come mostra l’aggiornata biografia freudiana di Peter-Andrè Alt, (“Sigmund Freud il medico dell’inconscio”, Hoepli 2022) sono rimasti interrotti e molti quesiti inevasi.

Lo ammette lo stesso Freud quando in “Compendio” del 1938, nel suo ultimo saggio scrive: “In tutto il suo mistero si erge dinnanzi a noi il dato biologico della duplicità dei sessi, elemento ultimo del nostro sapere, caparbiamente irriducibile ad altro. La psicoanalisi non ha contribuito in alcun modo al chiarimento di questo problema …”

Un compito evidentemente attuale e urgente che vale la pena di riprendere.

La riflessione psicoanalitica procede attualmente nell’ambito delle istituzioni psicoanalitiche con lezioni, incontri, supervisioni, pubblicazioni rivolgendosi però quasi esclusivamente ai suoi membri, in particolari agli allievi in formazione.

Manca, a mio avviso, la partecipazione alla cultura diffusa, una presa di posizione sugli eventi, la condivisione all’impresa di chi s’impegna a decodificare i messaggi e interpretare il destino della nostra epoca.

Eppure la Ps. possiede in proposito strumenti formidabili.

Viviamo in una condizione di angoscia diffusa, suscitata da una crisi globale che, non riuscendo ad afferrare nel suo insieme, a operarne una sintesi, ci lascia disorientati e incerti. Cominciamo a dubitare delle capacità della ragione, sulle quali Freud poneva tante speranze.

Assistiamo sgomenti a uno sciame di fosche minacce: il diffondersi di guerre parziali prefigura un latente conflitto mondiale e il conseguente ricorso ad armi atomiche. Il susseguirsi di catastrofi climatiche e l’esaurimento delle risorse naturali stanno provocando incontenibili migrazioni continentali. Si prevedono ulteriori pandemie e un inesorabile calo della natalità.

Forse è troppo per le nostre capacità di comprensione, spiegazione e motivazione. Di fronte alla molteplicità e alla complessità degli eventi, all’ambivalenza e contraddizione delle cause che li determinano, ci vorrebbe una visione olistica, analisi complessive, punti di vista decentrati, capaci di ricomporre gli sparsi frammenti della psiche e del mondo. Invece persino un concetto totalizzante come “globalizzazione” si sta sgretolando, sostituito da quello di de-globalizzazione mentre il verdetto di Fukuyama di “fine della storia” minaccia la possibilità di prevedere il futuro, di formulare progetti e utopie. Senza un “prima” non ci sarà un “dopo”.

La psicoanalisi insegna a partire da noi, dal mondo interno ancor prima della sua proiezione sul mondo esterno e a tradurre le emozioni in comprensioni e argomentazioni.

Se la saggezza, derivante da più di due secoli di pratica dell’ascolto, non riesce ad accogliere e decifrare le domande di aiuto e di conforto che si levano da un’umanità malata, rischiamo di affidarci a personalità carismatiche, talora psicotiche, che promettono tutto e il contrario di tutto.

Eppure la psicoanalisi possiede la capacità di dire l’indicibile, di condividere il possibile, di agganciare, senza false promesse, la paura alla speranza. Se solo volesse, uscendo dal privato, esporsi al dialogo e al confronto con la cultura diffusa, con la società! Freud non ha avuto esitazione ad analizzare la politica, il razzismo, i pregiudizi della sua epoca anche se non sempre a riconoscere i propri.

Quando il Logos tace e la ragione si arrende ai suoi limiti, Freud ricorre, come in “Totem e Tabù”, al potere visionario e profetico della mitologia.

Scrive pertanto, a conclusione del “Disagio della civiltà” del 1929: “ Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali che, giovandosi di esse, sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione.

E ora c’è da aspettarsi che l’altra delle due “potenze celesti” Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi con il suo avversario, parimenti immortale.

Ma chi può prevedere se avrà successo e quale sarà l'esito?”

 

Tavola rotonda organizzato dalla Casa della cultura e dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso

LA PSICOANALISI HA UN FUTURO?

Silvia Vegetti Finzi, Giacomo Marramao, Lucio Russo

 

 

 


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19 GENNAIO 2024