Aldo Tortorella  
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LE RADICI DELLA CASA DELLA CULTURA


Nella Resistenza e nella Milano antifascista del dopoguerra



Aldo Tortorella


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Debbo innanzitutto scusarmi perché per ragioni indipendenti dalla mia volontà non ho potuto essere questa sera con voi come avrei vivamente desiderato dato che questa ricorrenza annuale, assai giustamente tenuta in vita, ricorda persone e fatti che sono parte essenziale di un passato anche mio, un passato ormai lontanissimo, ignoto o dimenticato dai più, vilipeso oppure odiato da alcuni. E il nome di Grazia Curiel, compagna di Usiglio, mi è particolarmente caro poiché è quello dell’amata sorella di Eugenio, assassinato dai fascisti a porta Magenta, studioso di filosofia, docente universitario di fisica, discriminato perché ebreo, capo del Fronte della Gioventù in cui io militavo nella resistenza. Può accadere e forse accade spesso che gli anziani o i vecchi come me possano confondere lo slancio vitale della loro età giovanile con un tempo in se stesso felice. Non mi ritengo immune da questa sindrome, ma sono aiutato dal fatto che se penso al mio personale passato vedo una sterminata distesa di riunioni ora ansiogene ma più spesso soltanto doverose e per lungo tempo avvelenate dal fumo - eredità, appunto, dei riti iniziatici della famosa età giovanile il cui acume si era spinto addirittura durante la resistenza a suggerire anche a me, partigiano di città senza tessera annonaria, di fumare la paglia dopo un pezzo di pane integrale alla segatura di legno.

Quell’inizio di primavera di 78 anni fa quando Ferruccio Parri pronunciò il discorso inaugurale della casa della cultura era stato da poco sostituito da De Gasperi alla presidenza del consiglio dopo 5 o 6 mesi di governo con ira di quelli, tra cui ero anche io, che lo avevano avuto a capo della Resistenza e ne conoscevano la storia di antifascista militante. Era il primo segnale di quello che verrà l’ anno dopo quando la DC ruppe l’unità antifascista e comunisti e socialisti vennero esclusi dal governo. Parri parlò avendo a fianco il mio carissimo professore Antonio Banfi, ed era arrivato a piedi alla sede di via Filodrammatici dopo una lunga passeggiata con Raffaellino de Grada, socio fondatore, che sarà un eminente critico e docente di storia dell’arte, mio primo contatto con un dirigente clandestino del PCI con cui avevo partecipato a creare precocemente il Fronte della gioventù milanese.

Non c’era ancora stato il referendum istituzionale e l’elezione della assemblea costituente, la città era ancora piena di macerie, di miseria e di lutti della guerra fascista e già incominciava la campagna per i dispersi in Russia, come fosse colpa dei comunisti se a migliaia erano caduti e perduti nel gelo terribile di una ritirata disastrosa, soldati mandati al macello dalla banda di Mussolini. Pare che l’unica colpa dei fascisti sia stata la partecipazione al genocidio degli ebrei. Quella fu il culmine della vergogna e dell’infamia. Ma il fascismo volle anche dire dieci anni di guerra, dall’Etiopia, alla Spagna, alla Grecia, alla Francia, alla Russia a fianco dei nazisti con centinaia di migliaia di morti, più i civili sotto le bombe, più i delitti e le stragi contro i popoli aggrediti.

Tuttavia quello era il tempo della speranza. L’idea del fronte degli intellettuali era nata da gli incontri di Banfi, Curiel e Vittorini durante la Resistenza e la Casa della cultura ne era in qualche modo la continuazione. Grande il bisogno di recuperare il tempo perduto con l’incultura del fascismo chiusa ai rapporti con il mondo. Banfi aveva collaborato con Bompiani per la collana Idee nuove che era stata una finestra sulla contemporaneità. Ma era un episodio, sebbene non il solo, in un mare di retorica sulla romanità e lo strapaese. La psicoanalisi era vietata: Cesare Musatti, studioso e interprete di Freud, doveva insegnare psicologia sperimentale. Di Marx e di Labriola si sapeva solo attraverso la confutazione di Croce. La donna era concepita come funzione riproduttrice dei futuri soldati. Il razzismo in quanto culto della propria etnia e disprezzo per gli altri a partire dagli africani precede la persecuzione degli ebrei e la partecipazione al genocidio. Si usciva da un periodo di ignoranza e di arretratezza. Perciò erano fondate la speranza ed era giusta la esaltazione della libertà della cultura come laica esigenza della piena liberazione umana. In contrapposizione alla visione crociana la cultura secondo la lezione di Banfi implicava le scienze dette di fatto, e le conseguenti tecniche, senza alcuna subordinazione rispetto al sapere umanistico. E la sistematica del pensiero in Banfi portava a riconoscere e capire le ragioni di ognuna delle posizioni ideali storicamente date, affidando la scelta tra di esse alla consapevolezza e alla responsabilità di ciascuno.

Perciò la casa della cultura poté essere subito l’incontro tra persone di ogni tendenza politica e culturale e di ogni campo del sapere. Forte era la presenza degli intellettuali del partito d’azione assieme ai socialisti, ai comunisti, ai repubblicani, ai liberali di sinistra. Non mancava la interlocuzione con i democristiani della Resistenza. Era il tempo della piena affermazione dell’esistenzialismo nella versione di Sarte che inclinerà verso il marxismo. Ma la Chiesa era ancora dominata dal conservatorismo di Pacelli, Pio XII, e ben presto dovrà iniziare la lotta contro la censura. Il fervore delle discussioni, della presentazione di libri, dell’intervento di ospiti stranieri era anche accompagnato dalla piacevolezza del luogo, munito anche di un ristorante di cui dicevano bene ma io ricordo poco per mancata frequentazione.

Il clima era completamente diverso all’inizio degli anni ‘50 quando vi è la rinascita qui dove siamo, in via Borgogna numero 3, dopo lo sfratto dalla palazzina di via Filodrammatici voluto dal governo dal governo dato che la proprietà era di una azienda pubblica. Si passava in cantina ma in un luogo tutto nuovo, figlio della ricostruzione, in un edificio allora simbolo della modernità, centrale come prima e forse più. Ma era caro e bisognava comprare. La sottoscrizione delle quote da mezzo milione non riusciva ed esponeva a troppi rischi futuri. Come spiegò Ignazio Usiglio il principale autore dell’acquisto con una formula che impedirà qualsiasi rivendicazione privata. Anche lui e la sua famiglia era stata perseguitata come quella dei Curiel e si era avvicinato ai comunisti come Grazia anche per l’esempio e il pensiero di Eugenio, teorico della democrazia progressiva. Impegnò gran parte dei suoi averi saccheggiati dai fascisti. Non si trattava di una elargizione caritativa ma di un atto politico di resistenza nella nuova realtà della guerra fredda. Alla direzione dei servizi segreti americani c’era Allen Dulles che aveva trattato per la ritirata dei nazisti dal nord Italia ma era anche quello che aveva finanziato per milioni di dollari di capitalisti americani l’ascesa di Hitler al potere. E nell’Urss, scomparso Zdanov, non era cessato lo zdanovismo e la caccia ai deviazionisti amici di Tito. La contrapposizione faceva venir fuori il peggio da entrambe le parti Non si può capire bene il significato della nuova nascita della casa della cultura senza porre mente a quel tempo.

All’inizio del 1950 c’era stata la strage di Modena. Alle Fonderie il padrone aveva licenziato tutti i 560 operai per assumerne altrettanti non sindacalizzati. Alla proclamazione di uno sciopero cittadino e di un comizio di protesta fu risposto, essendo ministro dell’interno Scelba, con un’ inaudita concentrazione di polizia e carabinieri. 6 operai furono uccisi a sangue freddo. Il primo ancor prima della manifestazione. Altri isolati nelle strade. Uno venne linciato dai carabinieri con i calci dei fucili e buttato in un fosso. 200 i feriti. La risposta sindacale e politica fu grande e lasciò il segno. Ma ci volle la strage di Reggio Emilia di dieci anni dopo perché arretrasse l’intesa in marcia tra dc ed estrema destra fascista e il centrismo diventasse centrosinistra.

L’eccidio di Modena seguiva quelli contadini nelle occupazioni delle terre incolte del sud. La violenza di stato serviva per affermare la ripresa di un ottuso dominio padronale nelle fabbriche e nelle campagne. Ed era stata preceduta dalla persecuzione contro i partigiani. Migliaia di arresti, quasi 500 solo a Modena, processi, condanne sommarie. L’amnistia di Togliatti funzionava in senso opposto alle intenzioni dichiarate. Per le stesse imputazioni i fascisti venivano assolti, i partigiani condannati.. Era il risultato di aver affidato il provvedimento ad una magistratura tutta compromessa con il fascismo e tutta rientrata nei ruoli per la precedente fine dei procedimenti di epurazione - compresi gli alti magistrati del tribunale per la difesa della razza e quelli dei tribunali speciali che avevano condannato Gramsci e tanti altri oppositori del regime. L’errore vero, capito troppo tardi, era nel ritenere che il popolo italiano si fosse emendato dal fascismo per la lezione terribile della guerra perduta e perché c’era stata una forte e diffusa Resistenza testimoniata dagli scioperi del ‘43, ‘44, caso unico in Europa. Il fascismo pareva un residuo.

La lotta era ora contro l’involuzione reazionaria dei governi centristi. L’unità antifascista e costituente era una memoria che pareva lontana, quasi da dimenticare. Tra i comunisti italiani era avanzata la tendenza ad una chiusura in se stessi. Banfi per un attacco di tipo stalinistico aveva dovuto chiudere nel ‘49 la sua rivista Studi filosofici, soppressa nel ‘44 dai fascisti e ripresa dopo la liberazione. Una parte rilevante del gruppo dirigente non esclusi alcuni milanesi voleva la rimozione di Togliatti considerato poco combattivo e proprio in quel 1950 la direzione del Pci meno Longo, Terracini e Di Vittorio, assente, votò per rispedire togliatti nel mondo sovietico all’estero alla direzione del Cominform una specie di caricatura dell’Internazionale sciolta nel 1943.

Tanto più la riapertura della Casa della cultura fu un fatto culturale e politico rilevante non solo per Milano perché riprendeva la impostazione originaria suggerita da Banfi di aperto dialogo tra diversi, di rapporto con il mondo, di incontro tra discipline umanistiche e scientifiche. Era evidente la distinzione polemica contro la tendenza del Pci ad un restringimento settario e una difesa di Togliatti nella sorda polemica interna al PCI anche se molti anni dopo Rossana Rossanda ne criticherà la linea. Era Rossana, appunto, la nuova direttrice, legatissima, a parte il rapporto familiare, al pensiero di Banfi, come molti di noi ultimi allievi, mentre quelli della generazione precedente - Paci, Bertin, Preti e altri – avevano preso strade diverse politicamente e filosoficamente pur nel rapporto umano sempre saldo con il maestro. Banfi aveva avuto Rossana come eccellente allieva in storia della filosofia e in estetica avendola poi a fianco quasi come assistente volontaria (anche se Rossana si era laureata in storia dell’arte con Matteo Marangoni). Il simbolo allora più noto del corso ideale libero e aperto della direzione di Rossana fu l’invito a Sartre assai poco amato dalla prevalente cultura storicistica presente nella direzione del Pcii9, i cui cascami portano anche, come si sa, all’idea che chi vince ha ragione. All’orientamento suggerito dal problematismo e dal razionalismo critico di Banfi, Rossana univa una rara capacità di rapporti politici e umani La casa della cultura divenne davvero una eccellenza nel tra le istituzioni culturali, anche se era tra le più povere. Come ora con la direzione di Capelli che non ha dimenticato, come mostrano i suoi scritti, che al massimo della apertura al dialogo culturale corrisponde una propria visione critica di una realtà economica e sociale cosi piena di ingiustizie, di rischi per la sopravvivenza della specie, e ora di guerre e di stragi. Se lo si dimentica purtroppo si apre la strada, come abbiamo visto, alla alternativa della destra.

La crisi della liberal democrazia e della globalizzazione sposta la difesa delle gerarchie sociali esistenti verso l’autoritarismo. La demagogia nazionalistica serve a questo scopo, come bene spiegava 80 anni fa il manifesto per l’unità europea di Colorni, Spinelli e Rossi.. E la demagogia è oggi potentemente aiutata dal controllo sulle opinioni possibile con le piattaforme digitali.

 

Il compito della casa della cultura non è quello di un partito politico. Ma quanto più essa crea pensiero critico tanto più ci saranno donne e uomini disponibili a battersi contro la politica dell’odio, contro la guerra, contro le stragi, per la giustizia sociale cioè per la piena e vera libertà. Non quella volta a sopraffare l’altro ma la libertà come stimolo alla fraternità e alla solidarietà umana.

 

VIDEO IN OCCASIONE DEL 78° DELLA CASA DELLA CULTURA

Inaugurazione di una targa dedicata a Grazia Curiel e Ignazio Usiglio in ricordo del loro grande gesto, la donazione della sede di via Borgogna, che ha garantito alla Casa della Cultura continuità e durata

- Una storia che continua

Marco Doria, Mario Ricciardi e Daniela Saresella

introduce Carmen Leccardi

- Le radici della Casa della Cultura, nella Resistenza e nella Milano antifascista del dopoguerra

Aldo Tortorella

introduce Ferruccio Capelli

- Intrattenimento musicale

Flavia Ubaldi (violino), nipote di Ignazio e Grazia

Riccardo Dell'Orfano (fisarmonica)


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19 MARZO 2024