Lorenzo Alunni  
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I LIBRI ITALIANI DI OGGI E IL SARCASMO NELLA CRITICA


Una lettera



Lorenzo Alunni


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Caro Matteo,

ho letto il tuo articolo su IL, «La megalomania degli scrittori italiani», come mi hai gentilmente invitato a fare, forse perché il mio articolo di esplorazione della trilogia dell’Increato di Antonio Moresco ti ha fatto pensare che io fossi un altro dei suoi tifosi più accesi. Invece, nonostante il mio coinvolgimento in alcuni spazi legati al mondo dei libri, sono più che altro un semplice lettore (ritengo Moresco un grande scrittore, ma questo è ben diverso dal tifo), e proprio in quanto tale ti scrivo qui perché io credo che i lettori, in particolare i lettori della letteratura italiana di oggi, meritino più rispetto.

Appena mi hai segnalato il pezzo, sono andato in edicola a comprare IL, che però qui in provincia arriva più tardi. La copertina ripresa dal Time e l’annuncio di Franzen come più grande scrittore contemporaneo (in fondo i gusti son gusti, i parametri son parametri, il marketing è marketing) mi hanno sorpreso, ma non certo scandalizzato. Ma quando nell’editoriale di Christian Rocca, dopo una prima spolverata di sarcasmo sugli scrittori italiani di oggi, ho letto che il romanzo di Edoardo Nesi L’estate infinita, per Rocca esempio virtuoso contrapposto alle altre opere italiane, è «un manifesto politico contro gufi e rosiconi in forma di romanzo» non ci volevo credere (peraltro, Nesi è anche parlamentare, e che «gufi e rosiconi» siano parole del lessico renziano è una corrispondenza quantomeno interessante). L’editoriale continua: «Altro che storytelling. Altro che narrazione. Altro che chiacchiere». Poche pagine più avanti, nella rubrica La macchina del fango di Arianna Giorgia Bonazzi, si legge che, dopo un numero dedicato alla fiction italiana, i lettori avevano bisogno di un risarcimento. Si potrebbe obiettare che la rubrica è ironica, ma basta mettere in relazione i suoi contenuti e il suo tono con quelli del resto del giornale ed ecco che ironica non appare più per niente.

Ma tutto ciò, potresti dirmi, non c’entra niente con il mio articolo. Il problema è che quello che mi pare fare il tuo articolo è dare una base e una legittimazione critica alla cornice e a simili e sempre più diffuse posture sarcastiche. Anche nel tuo testo, il confine fra la legittima satira e l’irritante sarcasmo purtroppo spesso non è chiaro, almeno non a me né a tanti altri, e ho l’impressione che questa scarsa chiarezza sia in sé uno strumento critico sempre più diffuso. E allora, un lettore che come me si senta umiliato da simili approccio e tono, come fa a prenderti sul serio e ascoltarti senza pregiudizi anche quando, come sai fare benissimo e con tutta la mia ammirazione, offri analisi critiche rigorose e pertinenti? Che dovremmo fare, noi lettori, vergognarci di aver letto e talvolta apprezzato quegli autori che citi e quelli a cui alludi?

La tua spiegazione storico-sociologica (la mancanza di una vera epoca della modernità in Italia, e quindi dell’ambiente naturale dello sviluppo del romanzo, dici) mi sembra tanto interessante quanto foriera di perplessità, perché per fortuna l’arte sa sfuggire a una così rigida causalità: molte grandi opere sono venute proprio dalle frizioni e dalle faglie sconnesse della storia e delle società, e non dalla loro linearità. Ma il punto è che, appena prima di questa analisi, non ti fai problemi ad attribuire a tutta la letteratura italiana «malafede», parola che, sono certo, prima di usare hai pesato con attenzione. Se il presupposto è questo, come dovrei sentirmi io, lettore medio della letteratura italiana di oggi? Truffato, illuso o non abbastanza intelligente da rendermi conto di leggere e seguire una scena letteraria fondata su malafede, marketing e mediocrità? Ci ritieni davvero tutti così ingenui? Intendi: questo non significa che molte diffuse strategie pubblicitarie, di potere e critiche di oggi non m’infastidiscano. Anzi, rimarresti probabilmente sorpreso dalla mia severità e diffidenza di cliente di libreria.

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03 NOVEMBRE 2015

 

 

 

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