Mauro Bonazzi  
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PLATONE SCOMMETTE SULLA LIBERTÀ


L'uomo non è schiavo dei bisogni



Mauro Bonazzi


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Pubblicato il 7 marzo 2017 sul Corriere della Sera e sul sito Corriere della Sera/Cultura

Dare a qualcuno del "platonico": non c'è insulto peggiore per i filosofi. Aveva cominciato Nietzsche con Leopardi, che pure stimava, e lo stesso aveva detto Heidegger di lui. Per non parlare di quello che di Heidegger, Nietzsche e Platone pensava Popper. Lo ha detto bene Deleuze: il compito della filosofia contemporanea è "rovesciare il platonismo". Niente di nuovo, in fondo, ci aveva già provato Aristotele. A Platone tutto questo avrebbe fatto immenso piacere.

Abituati ai manuali, riduciamo il suo pensiero in una serie di dottrine a volte fantasiose a volte ripugnanti. Intanto, ben nascoste nel "luogo iperuranio", ci sono le idee, questi enti misteriosi che le anime degli uomini contemplano prima di entrare nel corpo - manco fossero caciocavalli appesi in una salumeria, scriveva Antonio Labriola. E poi ci sono le teorie politiche (abolizione della famiglia, eugenetica, divisione della società in classi) che al massimo possono fare la gioia di qualche fanatico.

Se questa è la filosofia di Platone, il compito di "rovesciarla" non sembra improbo - "ti piace vincere facile" verrebbe da dire ai suoi fieri avversari. Perché, allora, siamo ancora lì? Platone ha parlato in prima persona solo una volta, nella "settima lettera", per dire una cosa sola: chi tenta di rinchiudere il suo pensiero in un sistema non ha capito niente. È così ovvio che troppo spesso lo si dimentica: Platone non ha composto trattati per esporre dottrine, ma dialoghi in cui dei personaggi discutono tra di loro, sollevando domande e dubbi. L'obiettivo è sempre lo stesso: chiedere conto di tutte le convinzioni su cui fondiamo le nostre vite. Magari abbiamo ragione, ma siamo in grado di giustificare le nostre opinioni e le nostre scelte?

Il problema, in fondo, è semplice. Siamo sicuri di sapere cosa è la realtà? O meglio: davvero esiste solo quello che vedo e sento? La sedia sui cui siedo, il giornale che leggo: esistono, certo. Ci sono però tante altre cose che non vedo, ma che posso pensare: esistono? Il numero "tre", il "triangolo": ci sono solo perché li pensiamo noi o esistono di per sé? Domande cervellotiche, si dirà, tipiche di quei perdigiorno che sono i filosofi. E la giustizia? Esiste? Questa non è una domanda da perdigiorno, forse. La sfida di Platone, intanto, si chiarisce: magari la realtà non è solo quella materiale. Non è un'aggiunta di poco conto, cambierebbe tutto, perché queste cose, chiamiamole idee, sarebbero altro: non occuperebbero uno spazio, non sarebbero nel tempo. Se esiste, dov'è il "tre"? Non certo in un improbabile luogo iperuranio. È qui, ma non come un caciocavallo. E la giustizia?

Se pensiamo a noi stessi, i problemi sono identici. Abbiamo un corpo, occupiamo uno spazio, viviamo nel tempo. Siamo liberi? La domanda sembra fuori luogo, e la risposta comunque scontata: certo che lo siamo. La realtà materiale, però, è regolata secondo leggi di causa ed effetto che svuotano il concetto di libertà. Vale anche per noi: desideri e passioni non sono in nostro controllo, nascono dall'interazione tra i corpi e la realtà. Non sono io che decido di avere sete. La nozione di libertà non ha molto senso, in questo contesto. Magari i nostri pensieri rientrano nello stesso schema, servono a realizzare bisogni e passioni. O forse no e si potrebbe tornare a parlare di autonomia e responsabilità umana? Dunque la nostra identità, ciò che noi siamo, non si risolve nel corpo soltanto?

Arriviamo così alla politica. Evidentemente, se tutto dipende dal corpo, contano solo i bisogni e dunque l'appropriazione delle risorse necessarie per soddisfarli. Il che produce una situazione conflittuale da cui è impossibile uscire. Che sia così è difficile negare, e Platone lo sapeva. Ma è solo così? La Repubblica è il tentativo di mostrare che è tutto più ricco: noi siamo anche altro, la giustizia esiste e dunque è possibile costruire un mondo giusto. Un mondo che possiamo costruire solo se capiremo chi siamo veramente.

Si parla sempre dell'utopia (o della distopia) platonica, ma è esattamente il contrario. Quella di Platone è una filosofia realistica: soltanto, la sua idea di realtà non è quella comunemente intesa. Ma chi ha detto che abbiamo ragione noi?

Si racconta di un contadino di Corinto che, dopo aver letto un suo dialogo, mollò tutto per andare a vivere nell'Accademia. È vero, Platone sostiene sempre tesi sconcertanti, difficili da condividere. Era il primo a saperlo e i suoi scritti sono sempre costruiti in modo da esasperarne la paradossalità. È il bello dei dialoghi: a Platone non piace vincere facile e fa di tutto per presentare le idee degli avversari nel modo migliore. Ma se poi vincesse lui, avremo il coraggio di fare come il contadino di Corinto? Il premio non sarebbe di poco conto, perché si tratta di capire come fare per vivere una vita felice. Anche solo per togliersi il dubbio, una lettura a Platone conviene darla.

 


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09 MARZO 2017

 

 

Mauro Bonazzi, Mario Ricciardi e Mario Vegetti

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