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TANTE CASE NON FANNO UNA CITTÀ


Commento al libro di E.Garda, M.Mangosio, C.Mele e C.Ostorero



Giovanni Semi


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Un modo indiretto per capire se un ciclo urbano si è concluso si ha quando compaiono, in poco tempo, diversi lavori che alimentano il dibattito su ciò che avrebbe potuto essere e magari non è stato. I lavori di natura storiografica, insomma, hanno un po' il ruolo che nel cinema spetta al medico che accorre sul luogo del delitto, tasta il polso, controlla le pupille e il respiro del corpo sull'asfalto e infine, alzatosi, guarda poliziotti e curiosi e dichiara "non c'è più nulla da fare". Questo è quello che coglie quantomeno un sociologo quando osserva la nutrita mole di lavori di grande rilevanza culturale che storici, architetti e urbanisti hanno prodotto in quest'ultimo decennio a Torino e su Torino (1). Questo insieme di lavori costituisce una sorta di onda storiografica che seppellisce parte del dibattito agiografico sulla Torino postfordista e mostra invece, con accenni talvolta cupi, che ciò che non si è stato in grado di fare nell'epoca del boom rischia ora di diventare un fardello troppo ingombrante in una fase recessiva come quella attuale. Segnalando solamente la forte consonanza tra i diversi testi citati in nota, passiamo qui a commentarne uno, nemmeno l'ultimo, ma certamente un lavoro ricco e significativo intitolato Valigie di cartone e case di cemento. Edilizia, industrializzazione e cantiere a Torino nel secondo Novecento (Celid, 2015), scritto da Emilia Garda, Marika Mangosio, Caterina Mele e Carlo Ostorero, ricercatori del Politecnico di Torino.

La storia che viene raccontata è semplice e circoscritta: il boom edilizio torinese della "città pubblica" dal secondo dopoguerra in poi, frutto dei piani nazionali INA-Casa prima (1949-1963) e Gescal poi (1963-1992), si è basato su scelte urbanistiche in larga parte miopi, se pensiamo alle geografie di questi quartieri, e su tecniche costruttive in larga misura già obsolete nel momento in cui vennero utilizzate.

Nonostante la Torino dei primi del Novecento, come molte altre città italiane nello stesso periodo, avesse fatto costruire tramite il proprio IACP numerose case popolari ispirate talvolta alla città-giardino e in altri case ad analoghe esperienze viennesi - che ancora oggi s'integrano bene nel resto della città sia per la grazia della composizione architettonica, che per la scala adottata, mai soverchiante e sempre 'umana' - le esigenze post-belliche spazzano via le velleità armoniche e umanistiche del periodo precedente. Sotto le pressanti richieste di dare un tetto agli sfollati e ai nuovi abitanti della locomotiva industriale del paese, le diverse ondate di edilizia popolare, soprattutto la prima, mireranno a risolvere in tempi brevi la questione abitativa producendo - come si capirà negli anni successivi - una nuova questione sociale. Come racconta bene Caterina Mele nel primo e secondo capitolo, il piano INA-Casa non merita di essere analizzato unicamente sotto la lente, più consona al sociologo, della produzione di marginalità urbana legata alle scelte urbanistiche di localizzazione degli insediamenti ma può essere visto anche dal punto di vista della (mancata) modernizzazione del progetto. In questo senso, gli obiettivi keynesiani del piano INA-Casa di occupare il maggior numero possibile di lavoratori si tradussero nella scelta di ritardare l'adozione di tecniche costruttive innovative e già presenti negli altri paesi europei, preferendo invece il ricorso a una miriade di costruttori tradizionali che agirono in maniera frammentata e molto spesso discutibile. L'industrializzazione tramite prefabbricazione partirà in Italia solo con gli anni Sessanta e grazie alla comparsa dei fondi Gescal ma - anche in questo caso - invece che far tesoro delle valutazioni già in corso negli altri paesi europei sulle prefabbricazioni adottate nei decenni precedenti, si introdussero brevetti obsoleti che portarono alla costruzione di quelli che ancora adesso sono considerati i quartieri popolari più problematici d'Italia, dallo Zen di Palermo, al Corviale a Roma, fino alle Vele di Scampia o le torri di via Artom a Torino.

Non è certo il brevetto, e la tecnica costruttiva che ne deriva, a portare sulle spalle la responsabilità del fallimento di questi quartieri ma, come mostra bene questo libro, la natura del progetto è anche parte di un disegno complessivo problematico. Questo incastro tra bisogni di modernizzazione del paese, disagio abitativo e forma urbana ha avuto, per esempio, importanti effetti a livello di dibattito architettonico. Ciò implicò infatti il congelamento della discussione interna al mondo dell'architettura italiana che stava invece offrendo, a partire dal secondo dopoguerra, soluzioni progettuali innovative e interessanti come emerse dalla Triennale milanese del 1948 e dal progetto del quartiere milanese sperimentale QT8.

Il libro procede in costante dialogo tra scale, mostrando come gli interventi edilizi torinesi siano parte di una dinamica nazionale, a sua volta disancorata ma non per questo inconsapevole del livello europeo. Molto interessante, a questo proposito, la ricostruzione che Emilia Garda offre nel terzo capitolo del percorso travagliato dell'architettura d'interni nella riflessione sull'edilizia sociale. La grande stagione edilizia del dopoguerra nasce infatti con i migliori auspici di coniugare un'idea di urbano, spesso di impronta modernista e razionalista, con una di vita domestica, anch'essa moderna e razionale. Auspici parzialmente mantenuti durante il piano INA-Casa e, invece, a mano a mano accantonati dall'uso successivo di sistemi di prefabbricazione pesante che capovolgono "il concetto razionalista, che parte dalle funzioni per arrivare alla forma dell'edificio" (p. 93). La standardizzazione delle unità abitative, inserite in edifici parte di megaquartieri autosufficienti, contribuirà in maniera drammatica a disumanizzare territori già piagati, all'esterno, dall'assenza di servizi e infrastrutture, oltre che da scelte localizzative scellerate.

Dopo una ricostruzione molto ricca, dunque, che mescola storia urbana, storia dell'architettura e storia dell'ingegneria edilizia, il libro affronta direttamente i principali esempi di edilizia sociale industrializzata di Torino: dai caseggiati di Via Artom a Mirafiori Sud, passando per quelli di corso Taranto, Falchera nuova, via Tollegno, via Reiss Romoli e via Tempia. Vengono poi analizzati le tecniche costruttive e i brevetti utilizzati, contribuendo dunque alla storiografia locale delle imprese costruttrici che Gaia Caramellino aveva prodotto in contemporanea per la città dei ceti medi (2). Si tratta - ad avviso di chi scrive - di un'esplorazione storica di grandissimo interesse per gli studiosi del contemporaneo: la produzione della città non è solamente frutto di un magico intervento di capitale e lavoro, come molta vulgata neomarxista spesso ripete. Il mondo dell'offerta edilizia è frammentato, può essere conservatore o innovatore, incline a cooperazione come tentato dal monopolio, dipendente quasi sempre dalla politica locale, fino ad avvicinarsi pericolosamente alla clientela e alla corruzione. Insomma, il mercato non è mai uno solo e molto spesso viene plasmato dalla politica e dalle politiche. Si tratta di una lezione che è valida per il passato recente ma dovrebbe essere anche inclusa nell'ottica contemporanea, spesso troppo semplificatoria.

Nel libro Valigie di cartone e case di cemento tutto questo emerge nella sua complessità e interesse. Si tratta di un libro che comunica molto a studiosi e cittadini torinesi, certo, ma che non si adagia mai sulla sola spiegazione localistica, sfugge insomma a quella che negli studi urbani chiamiamo la "trappola del locale". Il prezioso e affascinante apparato iconografico, poi, accompagna il lettore attraverso le pagine, alternando foto d'epoca, repertori di progetti e alcune carte storiche. Completa il volume, un interessante percorso fotografico attraverso le chiese che, ugualmente, furono costruite in quel periodo nei quartieri di edilizia sociale industrializzata.

Giovanni Semi

 

 

 

Note
(1) In ordine di pubblicazione: P. Di Biagi, Città pubblica. Edilizia sociale e riqualificazione urbana a Torino, Allemandi, Torino 2008; F. De Pieri, B. Bonomo, G. Caramellino e F. Zanfi (a cura di), Storie di case: abitare l'Italia del boom, Donzelli, Roma 2013; G. Caramellino, F. De Pieri e C. Renzoni, Esplorazioni nella città dei ceti medi. Torino (1945-1980), Lettera Ventidue, Siracusa 2015; D. Adorni, M. D'Amuri e D. Tabor, La casa pubblica. Storia dell'Istituto autonomo case popolari di Torino, Viella, Roma 2017.

(2) Costruire la Torino dei ceti medi, in G. Caramellino, F. De Pieri e C. Renzoni, Esplorazioni nella città dei ceti medi, Lettera Ventidue, Siracusa, 2015, pp. 79-121.

 

 

N.d.C. - Giovanni Semi è professore associato di Sociologia generale all'Università degli Studi di Torino.

Tra i suoi libri: L'osservazione partecipante. Una guida pratica (Bologna: Il mulino, 2010); con R. Sassatelli e M. Santoro, Fronteggiare la crisi. Come cambia lo stile di vita del ceto medio (Bologna: Il mulino, 2015); Gentrification. Tutte le città come Disneyland? (Bologna: Il mulino, 2015).

Sul libro Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, v. i commenti di: Francesco Gastaldi (9 giugno 2016) e Giovanni Laino (16 giugno 2016) ora in R. Riboldazzi (a cura di), Città Bene Comune 2016. Per una cultura urbanistica diffusa (Milano: Edizioni Casa della Cultura, 2017), pp. 208-211 e 212-219.

RR


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15 SETTEMBRE 2017

 

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di dibattito sulla città, il territorio e la cultura del progetto urbano e territoriale

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ideato e diretto da
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Gli incontri

2013: programma/present.
2014: programma/present.
2015: programma/present.
2016: programma/present.
2017: programma/present.

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017:

M. Aprile, Paesaggio: dal vincolo alla cura condivisa, commento a G. Ferrara, L'architettura del paesaggio italiano (Marsilio, 2017)

S. Tedesco, La messa in forma dell'immaginario, commento a A.Torricelli, Palermo interpretata (Lettera Ventidue, 2016)

G. Ottolini, Vittorio Ugo e il discorso dell'architettura, commento a A. Belvedere, Quando costruiamo case, parliamo, scriviamo. Vittorio Ugo architetto (Officina Edizioni, 2015)

F. Ventura, Antifragilità (e pianificazione) in discussione, commento a I. Blečić, A. Cecchini, Verso una pianificazione antifragile (FrancoAngeli, 2016)

G. Imbesi, Viaggio interno (e intorno) all'urbanistica, commento a R. Cassetti, La città compatta (Gangemi 2016)

D. Demetrio, Una letteratura per la cura del mondo, commento a S. Iovino, Ecologia letteraria (Ed. Ambiente, 2017)

M. Salvati, Il mistero della bellezza delle città, commento a M. Romano, Le belle città (Utet, 2016)

P. C. Palermo, Vanishing. Alla ricerca del progetto perduto, commento a C. Bianchetti, Spazi che contano (Donzelli, 2016)

F. Indovina, Pianificazione "antifragile": problema aperto, commento a I. Blečić, A. Cecchini, Verso una pianificazione antifragile (FrancoAngeli, 2016)

F. Gastaldi, Urbanistica per distretti in crisi, commento a A. Lanzani, C. Merlini, F. Zanfi (a cura di), Riciclare distretti industriali (Aracne, 2016)

G. Pasqui, Come parlare di urbanistica oggi, commento a B. Bonfantini, Dentro l'urbanistica (Franco Angeli, 2017)

G. Nebbia, Per un'economia circolare (e sovversiva?), commento a E. Bompan, I. N. Brambilla, Che cosa è l'economia circolare (Edizioni Ambiente, 2016)

E. Scandurra, La strada che parla, commento a L. Decandia, L. Lutzoni, La strada che parla (FrancoAngeli, 2016)

V. De Lucia, Crisi dell'urbanistica, crisi di civiltà, commento a G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2016)

P. Barbieri, La forma della città, tra urbs e civitas, commento a A. Clementi, Forme imminenti (LISt, 2016)

M. Bricocoli, Spazi buoni da pensare, commento a: C. Bianchetti, Spazi che contano (Donzelli, 2016)

S. Tagliagambe, Senso del limite e indisciplina creativa, commento a: I. Blečić, A. Cecchini, Verso una pianificazione antifragile (FrancoAngeli, 2016)

J. Gardella, Disegno urbano: la lezione di Agostino Renna, commento a: R. Capozzi, P. Nunziante, C. Orfeo (a cura di), Agostino Renna. La forma della città (Clean, 2016)

G. Tagliaventi, Il marchio di fabbrica delle città italiane, commento a: F. Isman, Andare per le città ideali (il Mulino, 2016)

L. Colombo, Passato, presente e futuro dei centri storici, commento a: D. Cutolo, S. Pace (a cura di), La scoperta della città antica (Quodlibet, 2016)

F. Mancuso, Il diritto alla bellezza, riflessione a partire dai contributi di A. Villani e L. Meneghetti

F.Oliva, "Roma disfatta": può darsi, ma da prima del 2008, commento a: V. De Lucia, F. Erbani, Roma disfatta (Castelvecchi, 2016)

S.Brenna, Roma, ennesimo caso di fallimento urbanistico, commento a V. De Lucia e F. Erbani, Roma disfatta (Castelvecchi 2016)

A. Calcagno Maniglio, Bellezza ed economia dei paesaggi costieri, contributo critico sul libro curato da R. Bobbio (Donzelli, 2016)

M. Ponti, Brebemi: soldi pubblici (forse) non dovuti, ma, commento a: R. Cuda, D. Di Simine e A. Di Stefano, Anatomia di una grande opera (Ed. Ambiente, 2015)

F. Ventura, Più che l'etica è la tecnica a dominare le città, commento a: D. Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città (Ombre corte, 2016)

P. Pileri, Se la bellezza delle città ci interpella, commento a: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2016)

F. Indovina, Quale urbanistica in epoca neo-liberale, commento a: C. Bianchetti, Spazi che contano (Donzelli, 2016)

L. Meneghetti, Discorsi di piazza e di bellezza, riflessione a partire da M. Romano e A. Villani

P. C. Palermo, Non è solo questione di principi, ma di pratiche, commento a: G. Becattini, La coscienza dei luoghi (Donzelli, 2015)

G. Consonni, Museo e paesaggio: un'alleanza da rinsaldare, commento a: A. Emiliani, Il paesaggio italiano (Minerva, 2016)

 

 

I post

L'inscindibile legame tra architettura e città, commento a: A. Ferlenga, Città e Memoria come strumenti del progetto (Marinotti, 2015)

Per una città dell'accoglienza, commento a: I. Agostini, G. Attili, L. Decandia, E. Scandurra, La città e l'accoglienza (manifestolibri, 2017)