Marino Ruzzenenti  
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I NUMERI DELLA CRIMINALITÀ AMBIENTALE


Commento al rapporto Ecomafia 2017 di Legambiente



Marino Ruzzenenti


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Puntuale come ogni anno è stato pubblicato dalle Edizioni Ambiente il rapporto Ecomafia 2017. Le storie e i numeri della criminalità ambientale, curato dall'Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente. Italo Calvino, profeticamente, in alcuni suoi racconti fulminanti degli anni Settanta del secolo scorso, ci aveva avvertito della doppia minaccia che incombeva sulle città moderne: l'inquinamento ambientale che esse, soprattutto, alimentavano e l'inquinamento etico e criminale che lo stesso poteva portare con sé. Leonia è, tra le fantastiche Città invisibili immaginate da Calvino, quella che rappresenta paradossalmente e plasticamente la retroazione autodistruttiva dell'inquinamento ambientale: Leonia è il parossismo del consumo "usa e getta", ogni mattina si rinnova e butta gli scarti fuori da sé, finché la montagna di rifiuti che la circonda le franano addosso seppellendola. Nella Nuvola di smog è invece all'opera l'intreccio, insidioso quanto ben mimetizzato, tra inquinamento, corruzione, criminalità. Il protagonista è un giovane giornalista, mosso da ingenuo entusiasmo per il compito che gli viene assegnato da un facoltoso mecenate di dirigere una rivista "La purificazione", organo dell'Epauci, Ente per la Purificazione dell'Atmosfera Urbana dei Centri Industriali. Il suo impegno è autentico e, si illude, anche teoricamente produttivo, finché un giorno sale su di una collina nei dintorni e vede, stupefatto, la sua città avvolta da una nuvola di smog. Allarmato contatta il suo mecenate che, indaffarato, gli chiede di passare presso il suo ufficio: la direzione di un grande stabilimento irto di ciminiere fiammeggianti di fumi, dove il volenteroso giornalista scopre inorridito "l'ala nera come inchiostro che invadeva tutto il cielo".

Il rapporto Ecomafia, dunque, ha il merito di tentare una descrizione dettagliata ed anche una quantificazione del fenomeno di questo intreccio tra criminalità e devastazione ambientale. È d'obbligo precisare che, sia nel titolo che nel testo, il termine "mafia" è usato in modo estensivo, sta per criminalità e non si limita ai reati contemplati dall'articolo 416 bis del codice penale come criminalità organizzata di stampo mafioso. Questa distinzione ha sicuramente un rilievo importante nei tribunali, meno per identificare quell'intreccio perverso che precipita nei cosiddetti "ecoreati". La particolare propensione criminale in campo ambientale nel nostro Paese ha peraltro diverse cause che occorre rammentare: pesa il fatto che la nostra sorprendente scalata nella graduatoria dei principali Paesi industriali del mondo, fino al quinto posto, avvenuta nel secondo dopoguerra, ha goduto del vantaggio competitivo di disporre a titolo gratuito delle risorse ambientali (suolo, acqua, aria); da qui è discesa una strutturale inadeguatezza delle normative di tutela, fino al recente Sblocca Italia; va ricordato, a titolo d'esempio, che il reato ambientale è stato inserito nel codice penale solo nel 2015; in ogni caso la struttura istituzionale dei controlli, in particolare il sistema Ispra e Arpa, è molto carente e, spesso, condizionata dalla politica; infine, a questo quadro oggettivamente critico va associato il retaggio del tradizionale costume degli italiani, il diffuso "familismo amorale" che si traduce nel disinteresse per ciò che è al di fuori del perimetro della famiglia e della propria dimora e proprietà, la disponibilità corruttiva in nome del particulare e la conseguente noncuranza per l'ambiente naturale e per la casa comune, l'oikos, appunto.

Non possono quindi stupirci più di tanto i dati del rapporto predisposto da Legambiente. Nel 2016 i reati ambientali accertati delle forze dell'ordine e dalla Capitaneria di porto hanno toccato il ragguardevole numero di 25.889, pari a una media di 71 al giorno, circa 3 ogni ora. A questi corrispondono 225 arresti, 28.818 denunce e 7.277 sequestri. Il fatturato delle ecomafie è valutato attorno a 13 miliardi, in netta diminuzione rispetto ai 22 miliardi del 2014, a testimoniare una sempre maggiore efficacia dell'azione investigativa e repressiva. Vengono inoltre evidenziati il fenomeno della corruzione, che continua a dilagare in tutta la Penisola con ben 76 inchieste in cui le attività illecite in campo ambientale si sono intrecciate con vicende corruttive, la questione dell'abusivismo edilizio con 17mila nuovi immobili abusivi nel 2016, il ciclo illegale dei rifiuti in crescita con 5.722 reati contestati (+ 12%), il fronte incendi segnato da 4.635 roghi che hanno mandato in fumo 27mila ettari. Per quanto riguarda la distribuzione geografica le quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso si confermano ancora ai primi posti nella classifica per numero di illeciti ambientali: in vetta la Campania con 3.728 illeciti, davanti a Sicilia (3.084), Puglia (2.339) e Calabria (2.303). La Liguria resta la prima regione del Nord, il Lazio quella del Centro. Su scala provinciale, quella di Napoli è stabilmente la più colpita con 1.361 infrazioni, seguita da Salerno (963), Roma (820), Cosenza (816) e Palermo (811). Il rapporto 2017, comunque, segnala un trend positivo, sia per la diminuzione del numero dei reati, sia per la maggior efficacia delle sanzioni, che potrebbe essere ascrivibile ai primi effetti dell'introduzione delle legge che punisce i reati ambientali. Questi, infatti, mentre erano 29.293 nel 2014, sono scesi a 27.745 nel 2015 e a 25.889 nel 2016. Cresce, invece, il numero degli arresti 225 (contro i 188 del 2015), di denunce 28.818 (a fronte delle 24.623 della precedente edizione di Ecomafia) e di sequestri 7.277 (nel 2015 erano stati 7.055).

Nella parte finale del testo, Legambiente indica opportunamente gli ulteriori interventi necessari a rendere ancor più incisiva l'azione repressiva. Alcune riflessioni, tuttavia, si possono aggiungere. Indubbiamente colpire i responsabili di reati ambientali è importante, anche agli effetti preventivi: forse si comincia a percepire che non sempre si può farla franca. Ma occorre ricordare che l'azione penale arriva sempre a posteriori, quando il disastro è stato compiuto e spesso, per le caratteristiche intrinseche dell'inquinamento ambientale, gli effetti nefasti sono irreversibili. Non solo. L'azione penale incontra difficoltà oggettive: molto spesso gli effetti sull'ambiente e sulla salute dei cittadini indotti dall'inquinamento si scoprono molti anni dopo l'evento che li ha provocati e dunque la prescrizione è spesso in agguato. D'altro canto, in particolare per i danni alla salute, dimostrare il nesso di causalità, che nel penale ad oggi è di tipo individuale, risulta estremamente difficile. Va inoltre considerata la difficoltà strutturale del sistema giustizia nel nostro Paese, che dopo la stagione eccezionale di "Mani pulite" e del maxiprocesso alla Mafia, sembra regredire nell'alveo rassicurante di una grande cautela nei confronti del potere, economico e politico. Sembra, insomma riemergere la logica, appunto, di un "Sistema", nell'accezione che la storia del nostro Paese ha ampiamente sperimentato e da cui tuttora è attraversato: la "chiesa istituzione", il regime fascista, la "democrazia bloccata" del secondo dopoguerra, la mafia, la corruzione politica…

Ogni "sistema" per perseguire i propri fini ha bisogno di "vittime sacrificali" che vanno accettate in nome di interessi superiori. E per questo è del tutto illusorio e impensabile che un simile "sistema" sia in grado di autogiudicarsi ed autocondannarsi in modo radicale: le vittime dell'inquisizione di ieri e della pedofilia ecclesiastica di oggi attendono ancora giustizia; i criminali fascisti, sfuggiti ad un tribunale "altro" come quello di Norimberga, hanno goduto di un "salutare" colpo di spugna; le stragi per "bloccare" la democrazia restano in gran parte impunite; oggi sembra "impossibile" estirpare le mafie e la corruzione politica. Paradossalmente, tra l'altro, è proprio "l'intermediazione della vittima" che rende forte il "Sistema" (J.-P. Dupui, Per un catastrofismo illuminato, 2011). Cosicché, la mancata giustizia viene "compensata" celebrando le vittime, monumentalizzandole. Nei casi dei grandi ecoreati in gran parte impuniti (per tutti, il caso dell'amianto) il "sistema" è il capitalismo industriale italiano, così come si è costruito nel corso del Novecento. Una sorta di "supersistema", perché animato dalla "superideologia" dello sviluppo (Pier Paolo Poggio), comune a tutte le ideologie novecentesche (liberaldemocratica, fascista, comunista). La legittimazione di quell'immane scempio compiuto in Italia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, opera ancora in profondità, è un dato strutturale dell'industrializzazione italiana ancora oggi. Perché il "supersistema" in versione italiana, in generale, salvo poche eccezioni, rimane un gigante con i piedi di argilla, ancora oggi dipendente dalle quelle condizioni che ne determinarono le fortune nel secondo dopoguerra: bassi salari; energia importata a basso costo grazie all'Eni di Mattei; imitazione creativa delle innovazioni altrui senza dover sviluppare in proprio costose strutture di ricerca; risorse ambientali concesse a titolo gratuito e senza alcun vincolo. Nella congiuntura attuale e nel contesto di una globalizzazione senza regole, emerge con ogni evidenza la sua strutturale fragilità: quelle condizioni di un tempo si incontrano oggi molto più vantaggiose in tante regioni del mondo, mentre l'energia fossile non ce la regala più nessuno. E l'Italia manifatturiera, in molti settori, arranca, inevitabilmente.

Dunque, può il nostro "supersistema", in queste condizioni di grande difficoltà, fare i conti con i disastri ambientali che ne hanno determinato le fortune? No, anzi, il "supersistema" chiede alla politica, se possibile, un ulteriore balzo in avanti nell'illusione che si possano ricreare oggi le condizioni di un nuovo "miracolo economico", "riagganciandoci", finalmente, alla mitica "crescita". La ricetta è semplice: mortificare ancor più il sindacato e i diritti dei lavoratori per deprimerne le pretese salariali; rilanciare la ricerca di idrocarburi sul territorio nazionale e nei nostri mari in spregio alla loro naturale fragilità; destinare le poche risorse pubbliche, non all'unica grande opera necessaria di manutenzione e risanamento del territorio disastrato del Paese, ma a benefici fiscali per le imprese distribuiti a pioggia, dunque qualitativamente inefficaci; "sbloccare" grandi opere inutili, rimuovendo per l'ennesima volta l'intralcio dei vincoli ambientali (Sblocca Italia).

La mancata giustizia per i disastri ambientali del passato è quindi coerente con la cultura e la politica attuali, sostanzialmente dominate dalla logica totalitaria del "supersistema". Si tratta della versione italiana di una sorta di "oscurantismo progressista. Un oscurantismo di cui il 'negazionismo' degli assassini della memoria dei campi non era altro che un segno premonitore", e che consiste nel "non prendere in conto i danni di un progresso tecnico crescente, senza limiti e senza alcun freno" (P. Virilio, L'università del disastro, 2008). A quasi 80 anni dalla Shoah, in particolare noi italiani ci ritroviamo ancora con molti conti in sospeso per le nostre responsabilità in quella catastrofe. Sconfiggere il "negazionismo" del "supersistema" è dunque un'impresa improba e di lunga lena. Ed è un'impresa che non può essere, a mio parere, delegata alla magistratura. Un cambio di mentalità e la prevenzione sono fondamentali e possono camminare solo su due gambe. Da un canto la mobilitazione partecipata e consapevole delle popolazioni sul territorio per contrastarne il degrado e per salvaguardane la bellezza e l'integrità. E bisogna constatare che, a questo livello, si registra una nuova effervescenza, fioriscono a migliaia i comitati, i gruppi spontanei, le associazioni di cittadini attenti a quello che accade nei loro territori. Insomma, sembra che quel tradizionale costume italico "menefreghista" cominci ad essere scalfito, in parte superato, in particolare tra i giovani. Dall'altro, però è imprescindibile che si determini negli indirizzi del governo della cosa pubblica, dal livello centrale a quello locale, quella svolta paradigmatica, quella conversione ecologica dell'economia e della società che non è più rinviabile e in cui il nostro Paese mostra ritardi inaccettabili, anche rispetto al resto dell'Europa. E qui le cose non vanno bene.

È impressionante come, anche di fronte ad allarmi sempre più evidenti, come la spaventosa siccità della scorsa estate, si reagisca solo con interventi emergenziali, senza por mano a un progetto strategico di fuoriuscita, già ora tecnicamente possibile, dalla civiltà termoindustriale basata sui combustibili fossili per avviarci verso la civiltà solare. Insomma, come a proposito della corruzione, anche dell'ambiente non devono occuparsi solo le Procure, ma innanzitutto una politica profondamente rinnovata, emancipata dalla subalternità al "supersitema" e dal giogo degli interessi immediati, in certi casi persino personali, e capace di riconquistare il proprio ruolo di guida lungimirante della comunità.

Marino Ruzzenenti

 

 

N.d.C. - Storico, docente e attivista ambientale, Marino Ruzzenenti si occupa di tematiche ambientali e sociali. È membro del comitato di redazione di "altroNovecento. Ambiente, tecnica e società".

Tra i suoi libri: con P. Costa e G. Nebbia, A come ambiente: corso di educazione ambientale (La Nuova Italia, 1998); Un secolo di cloro e... PCB: storia delle industrie Caffaro di Brescia (Jaca Book, 2001); L'Italia sotto i rifiuti: Brescia: un monito per la penisola (Jaca Book, 2004); L'autarchia verde: un involontario laboratorio della green economy (Jaca Book, 2011); (a cura di) con P. P. Poggio, Il caso italiano: industria, chimica e ambiente (Jaca Book, 2012).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


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19 GENNAIO 2018

 

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