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  Francesco Indovina  
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CHE SI TORNI A RIFLETTERE SULLA RENDITA


Commento al libro curato da Ivan Blečić



Francesco Indovina


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Gli urbanisti, i migliori, insegnano che ogni variazione di destinazione d'uso del suolo crea valore (la rendita attraverso i piani). Un valore determinato per singole aree, quelle destinate a modificare la loro destinazione d'uso, e non per le altre. Caio si avvantaggia mentre Tizio, limitrofo, no. Si crea quella che può essere chiamata 'scarsità', anche in relazione al fatto che non tutto il territorio può trasformarsi in urbanizzato e per il fatto che si vuole 'risparmiare terra': una scarsità che alza la rendita e che crea - si dice - differenze tra i cittadini. In questo caso si assume che la proprietà della terra - dell'area, è più corretto dire - porta con sé il diritto alla trasformazione. Un principio questo che non può essere accolto neanche in una situazione di sfrenato liberismo. Ma perché la rendita prevista si realizzi saranno necessari investimenti infrastrutturali e in servizi; investimenti che, il più delle volte, saranno realizzati dalla mano pubblica. Caio si avvantaggia, cioè gode della rendita, in ragione del fatto di essere proprietario di un area che subisce una variazione di valore per un atto amministrativo (un piano, per esempio) e per effetto degli investimenti pubblici che graveranno sull'area stessa. Lucra senza colpo ferire (da qui la definizione da parte di qualche settore politico della rendita come "furto").

L'operatore pubblico può evitare questo vantaggio di Caio, in relazione a tutti gli altri proprietari, eliminandolo fiscalmente. La leva fiscale sana la diseguaglianza tra i diversi proprietari, nessuno trae vantaggio per il solo fatto che una determinata porzione di territorio cambia destinazione d'uso. Ammettiamo pure che sia facile e che esista la volontà politica di colpire la rendita nel momento della sua formazione, questo non risolve il problema generale della rendita perché la rendita è strettamente legata alla dinamica della città e agli investimenti pubblici e privati. Se in un quartiere si costruisce una metropolitana, le abitazioni del quartiere aumentano di prezzo (la rendita sale), mentre se si realizza un cimitero o un inceneritore è molto probabile che i prezzi delle abitazioni diminuiscano (la rendita scende). La rendita, in sostanza, ha una sua vita che non è difficile immaginare (dipende da fattori localizzativi, dalla presenza e qualità delle infrastrutture e dei servizi, dell'esistenza o meno di beni posizionali, ecc.).

Si potrebbe immaginare di seguire tutte queste "strade" della rendita e colpirla quando si realizza, ma il proprietario di una casa può non vendere la sua casa che nello stesso tempo aumenta di valore (la sua rendita è reale ma non realizzata), o ancora può usare il suo valore patrimoniale cresciuto per iniziative finanziarie, ecc. L'interesse dell'urbanistica per la rendita non è né di natura economica, né di natura fiscale: interessa per gli effetti che essa produce a livello dell'organizzazione della città. L'urbanistica e la pianificazione hanno come 'oggetto' la città o, come preferisco dire, "il governo delle trasformazioni urbane" e utilizzano il 'piano' e tanti altri strumenti che possiamo accorpare nella famiglia delle politiche. Le politiche si individuano secondo le condizioni di tempo e di luogo, sulla base delle esigenze poste dalla società, ecc. Se in un luogo e in un tempo insorge un problema abitativo per determinate fasce sociali, si possono attivare numerosi strumenti per risolvere il problema - che nella realtà si faccia o che si faccia poco è altra questione - ma non è il mercato che può risolverlo. Si ricordi, per esempio, che sulla questione del costo della casa, esisteva una volta l'equo canone, una legge che in qualche modo misurava e controllava la dinamica dei prezzi degli affitti. Si trattava di un calmiere ma questo strumento è stato eliminato sulla presunzione che sarebbe stato il mercato lo strumento adeguato per una gestione calmieratrice del costo della casa. Una presunzione del ruolo del mercato che si è rivelata realistica: eliminato l'equo canone i fitti sono aumentati tutti, in ogni luogo e in ogni condizione!

Governare le trasformazioni significa occuparsi delle espansioni urbane (se necessarie), dei problemi abitativi, dei trasporti, della salute, del verde, della cultura, dell'estetica, dell'igiene, ecc. Significa cioè occuparsi di una quantità enorme di cose - in parte esito di attività private, in parte pubbliche, in parte in regime misto - che nell'insieme hanno bisogno di regole (non fisse per l'eterno) dettate dalla mano pubblica, integrate, se necessario, da specifiche 'politiche' che dovrebbero essere finalizzate al miglioramento della vita dei cittadini e alla costruzione di una città, per quanto possibile, equa. La rendita liberata da ogni controllo non produce una città equa, solidale e sostenibile - come spesso si sente dire - ma, al contrario, una città densa di squilibri. Il mercato, oltre la favola della libertà, è di fatto uno strumento di discriminazione che, nel caso specifico della città, mette "ciascuno al suo posto", certo, ma non in un posto che possa dirsi giusto. Non è casuale che in molti paesi si sono sviluppati strumenti per eliminare o drasticamente ridurre gli impatti della rendita sull'organizzazione della città. Il nostro, com'è noto, si distingue per le molte discussioni e per le cervellotiche invenzioni sul tema. Di fatto, però, queste sono rimaste lettera morta senza che, in concreto, gli effetti distorsivi della rendita siano stati in qualche modo scalfiti. Un concreto tentativo - il primo e, forse, l'ultimo serio si potrebbe dire - risale all'esperienza del ministro Fiorentino Sullo, al quale nel 2013 ad Alghero è stato dedicato un convegno promosso dal Centro Interuniversitario di Ricerca per l'Analisi del Territorio (CRIAT) e dal Dipartimento di Architettura Design Urbanistica (DADU) dell'Università degli Studi di Sassari. Convegno da cui è scaturito un volume, curato da Ivan Blečić, intitolato Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo. Sguardi e orizzonti sulla proposta di riforma di Fiorentino Sullo, pubblicato per i tipi di FrancoAngeli nel 2017.

Forse, soprattutto per i più giovani, vale la pena di iniziare a dire chi è stato Fiorentino Sullo, qual era la sua proposta urbanistica e quale conseguenza quella proposta ha avuto sulla vita stessa del ministro. Membro influente della DC, militante della sinistra democristiana, è stato più volte sottosegretario e ministro. Lo scandalo al quale si riferisce il testo curato da Blečić è relativo al tentativo di Sullo - quando era ministro dei Lavori pubblici (1962-63) - di varare una riforma urbanistica avanzata che cercava di eliminare la rendita.

"La proposta Sullo affronta tutti gli aspetti della disciplina urbanistica, dai compiti delle regioni, allora non ancora istituiti, ai comprensori (livello di pianificazione intermedio tra regioni e comuni). Ma, com'è noto, la proposta è passata alla storia solo per quanto riguarda il nuovo regime fondiario, basato sull'esproprio preventivo e generalizzato delle aree edificabili [in corsivo nel testo]. L'indennità di esproprio era riferita al valore agricolo, congruamente incrementato per i suoli con destinazione urbana o già edificati. I comuni acquisiti le aree, dovevano provvedere alla loro urbanizzazione primaria e poi cederle ai costruttori, a mezzo di asta pubblica, in 'diritto di superficie' (il che significava che restavano sempre di proprietà comunale)" (V. De Lucia, pag. 29).

Contro questa riforma si scatena l'opposizione della proprietà fondiaria potente al punto da isolare il ministro dal suo gruppo politico. Fiorentino Sullo legge, sul quotidiano del suo partito, un editoriale del segretario della DC che disconosce il provvedimento. A Sullo non resta che dimettersi e fronteggiare una campagna diffamatoria che investirà anche la sua vita privata. Lo stesso avrà poi diverse esperienze politiche e, dopo alterne vicende, rientrerà nella DC. Il suo ruolo, tuttavia, non sarà più quello di un dirigente di primo piano ma, se così possiamo definirlo, quello di un peones. Questa vicenda è interessante e fa ben comprendere il "potere" della rendita, dei suoi alleati, di quello che Valentino Parlato definirà il "blocco edilizio". Ma è anche interessante perché mette in luce la mancanza di scrupoli e di moralità di certi settori imprenditoriali e sociali quando il loro potere viene messo in discussione.

Va detto che il provvedimento elaborato da Sullo, sul tema specifico della rendita, appariva solo in parte nuovo. Questo, infatti, era prassi comune in altri paesi dell'Europa. Non era il "comunismo" che Sullo voleva veicolare con il suo provvedimento ma un'azione riformatrice che avrebbe avuto effetti importantissimi per il nostro Paese. Blečić, nell'introduzione al libro riflette su questo aspetto, cercando di immaginare quale sarebbe stato l'impatto della proposta Sullo, se approvata, sulla vita del nostro Paese. "Una risposta precisa a questa domanda - afferma il curatore del libro - è pressoché impossibile, non perché riguarda un periodo lungo più di cinquant'anni, non perché richiederebbe la raccolta di una gran mole di dati di livello altamente disaggregato, ma soprattutto perché è plausibile supporre che l'introduzione della riforma avrebbe avuto un profondo impatto strutturale sulla traiettoria economica dell'Italia, sull'allocazione degli investimenti e dei consumi, sulle scelte di politiche di allestimento del sistema fiscale, ed infine sull'organizzazione e governo della città e del territorio" (pag. 9).

Dunque l'Italia, da diversi punti di vista, paga il fio di quella mancata riforma: colpire la rendita avrebbe infatti significato dare basi diverse alla dinamica evolutiva del Paese e alla sua struttura economica e sociale. Ma non solo: avrebbe permesso un governo migliore delle trasformazioni urbanistiche delle città e del territorio. Blečić ha provato anche a calcolare il valore della rendita nel periodo 1961-2011. Considerando solo le costruzioni residenziali, quindi escludendo quelle commerciali, industriali, turistiche ecc., giunge a una doppia valutazione, secondo due ipotesi di incidenza del valore del terreno sull'edificato: una stima che va da 800 a 1.000 miliardi di euro. Il calcolo può essere migliorato, integrato, corretto, ecc. ma quello che interessa non è tanto la cifra precisa al centesimo quanto l'ordine di grandezza oggettivamente spaventoso. Può sembrare incredibile ma l'approvazione di quella riforma avrebbe davvero cambiato le sorti dell'Italia: non solo il dissesto idrogeologico, ma anche la corruzione, le "mani sulla città" (anche quelle della criminalità organizzata), la bassa qualità dei nostri insediamenti e lo stesso sviluppo industriale avrebbero probabilmente preso un altro indirizzo. Non si tratta di un paradosso: sono i probabili effetti a cascata che avrebbe generato la riforma. Certo, altrettanto probabilmente, le forze conservatrici e quelle che detenevano il potere economico avrebbero usato altre armi per contrastare l'applicazione della legge, nuovi meccanismi per trarre vantaggio dalle trasformazioni urbanistiche, ma almeno le loro unghie sarebbero state spuntate.

Sono molti gli studiosi che, meritoriamente, Ivan Blečić ha radunato attorno al tavolo dov'era distesa la riforma Sullo.

Vezio De Lucia - che abbiamo già citato sopra - colloca il tentativo di Sullo nella dialettica politica di quella fase storica rilevando che siamo agli albori del centrosinistra e fa specie che proprio in questa stagione la riforma Sullo venga così veementemente maciullata. Secondo Giorgio Ruffolo (citato da Ernesti a p. 55), che fu tra gli attori principali di quella stagione, il tentativo di Sullo era sovradimensionato rispetto alla società italiana del periodo. Ma allora - ci chiediamo noi - qual è stato e quale potrebbe essere oggi il senso del centrosinistra? Quello di non disturbare il pranzo dei potenti?

Giulio Ernesti ricostruisce il clima politico e culturale del dibattito attraverso il raffronto dei materiali (saggi, discorsi, ecc.) raccolti dallo stesso Sullo in un volume del 1964 - Lo scandalo urbanistico. Storia di un progetto di legge (ed. Vallecchi) - con gli articoli apparsi nelle pubblicazioni della controparte ("Il Giornale dei costruttori" e "Il Corriere dei Costruttori"). Curiosamente emerge una qualche disponibilità da parte degli imprenditori del settore edile ad accettare la strumentazione urbanistica ma un'assoluta contrarietà a ogni modifica del regime fondiario. Evidentemente appariva chiaro che una pianificazione urbanistica deprivata di qualsiasi modifica al regime fondiario avrebbe lasciato loro campo libero nelle attività speculative. È per questo che accusano Sullo di voler introdurre nel Paese un regime collettivistico agitando nella politica e nella società civile lo spauracchio del comunismo. Le vicende urbanistiche del nostro Paese della seconda metà del secolo scorso - incontrastate speculazioni, distruzione del territorio, manomissione di città e paesaggi secolari -renderanno così omaggio, se così si può dire, alla "lungimiranza" dei costruttori italiani agevolata dalla sostanziale inerzia della politica.

Arnaldo Cecchini mette a confronto due testi all'incirca coevi della riforma Sullo: si tratta di un articolo di Valentino Parlato (Il blocco edilizio apparso su "Il Manifesto") e della lettera pastorale di Giovanni Franzoni (La terra è di Dio). Due testi, di ispirazione molto diversa, utili per porre l'accento sulla questione della casa (affitto, proprietà, accessibilità, ecc.) fortemente condizionata dai meccanismi della rendita immobiliare e fondiaria.

Nella sua densa postfazione, Luciano Vettoretto, tra le altre cose, mette in luce come si sia posta la questione della formazione dell'urbanista come figura professionale diversa dall'architetto, mentre i testi di Dino Borri, Sergio Brenna, Marco Cerasoli, Franco Farinelli, Paolo Carrozza, Paolo Pileri, Emanuele Boscolo, approfondiscono diversi aspetti della riforma Sullo e la collocano nel contesto storico e nelle dinamiche socio-economiche del nostro Paese.

Per concludere, il volume curato da Ivan Blečić è rilevante non solo perché è un'indispensabile ricostruzione di una vicenda particolarmente significativa della storia d'Italia. Lo è perché fa chiaramente emergere come la questione della rendita immobiliare e fondiaria non sia stata - non lo è tutt'oggi - marginale in merito a tutta la questione urbana e la dinamica di sviluppo delle città grandi e medie. Ma ancor di più, il volume appare importante perché, oltre a testimoniare del fallimento del riformismo italiano, prova come la rendita, i suoi risvolti e le sue vicende, sia stata e sia ancora - come purtroppo ci raccontano le cronache di molte città - uno dei principali elementi che rinfocolano speculazione e corruzione spingendo le trasformazioni urbane e territoriali verso derive che una società civile non dovrebbe accettare.

Francesco Indovina

 

N.d.C. - Francesco Indovina, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica all'Università IUAV di Venezia, dal 2003 insegna alla Scuola di Architettura di Alghero (Università degli Studi di Sassari). Da sempre è fautore di un approccio interdisciplinare agli studi sulla città e il territorio coniugato a un saldo impegno civile. È autore di numerose pubblicazioni e ha fondato e diretto i periodici "Archivio di studi urbani e regionali" e "Economia urbana" (già "Oltre il Ponte"); dirige inoltre la collana di Studi urbani e regionali edita da FrancoAngeli.

Per Città Bene Comune ha scritto: Si può essere "contro" l'urbanistica? (20 ottobre 2015); Quale urbanistica in epoca neo-liberale (3 febbraio 2017); Pianificazione "antifragile": problema aperto (23 giugno 2017); Una vita da urbanista, tra cultura e politica (24 novembre 2017); Non tutte le colpe sono dell'urbanistica (14 settembre 2018).

Alla Casa della Cultura si è discusso con Francesco Indovina del suo ultimo libro - Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli 2017) - l'8 maggio 2018, nell'ambito della VI edizione di Città Bene Comune, con Paolo Ceccarelli, Patrizia Gabellini e Federico Oliva. Sul libro sono poi stati pubblicati commenti di: Marcello Balbo, Disordine? Il problema è la disuguaglianza (7 settembre 2018); Patrizia Gabellini, Un nuovo lessico per un nuovo ordine urbano (26 ottobre 2018); Oriol Nel·lo, Dell'ordine e del disordine urbano (7 dicembre 2018).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


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08 FEBBRAIO 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

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Le conferenze

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2015: programma/present.
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2018: programma/present.
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2018: Silvano Tintori

 

 

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2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019:

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

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