Michele Talia  
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SALUTE E EQUITÀ SONO QUESTIONI URBANISTICHE


Commento al libro di Rosalba D'Onofrio e Elio Trusiani



Michele Talia


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In un pianeta che si sta caratterizzando in modo sempre più evidente per l'accelerazione del processo di agglomerazione - e per la tendenza a confermare le previsioni allarmanti che stimano in oltre l'85% la quota della popolazione mondiale che vivrà all'interno delle aree urbane entro la fine del XXI secolo - non ci si può stupire se le ripercussioni sulla salute e il benessere dei cittadini di questa macroscopica alterazione degli equilibri ambientali e socioeconomici siano destinate a richiamare l'interesse crescente di amministratori e studiosi di differenti discipline. In un intreccio sempre più difficile da districare, la contrazione delle risorse, la distribuzione sempre più squilibrata della ricchezza e gli effetti del cambiamento climatico attendono risposte concrete e tempestive da comunità umane i cui tempi di reazione tendono tuttavia a deteriorarsi progressivamente per l'invecchiamento della popolazione, l'incremento delle malattie croniche e l'incidenza di patologie sociali quali lo stress, l'isolamento e il senso di esclusione.

Per quanto l'epicentro di questa allarmante fragilità globale sia costituito in molti casi proprio dalle città più "pianificate" e di maggiori dimensioni, è difficile negare che gli urbanisti abbiano finora tardato a raccogliere la sfida lanciata da questa nuova questione urbana. Laddove infatti l'Organizzazione Mondiale della Sanità e il movimento delle Healthy Cities avevano promosso, già a partire dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, una importante campagna di mobilitazione, tesa ad approfondire gli stretti legami tra la salute umana, la qualità della vita e il contesto insediativo di riferimento, risulta ormai palese che non solamente il sistema di pianificazione, ma gli stessi studi urbani hanno iniziato solo di recente ad occuparsi più concretamente di questo complesso sistema di relazioni.

In presenza di uno sviluppo ineguale di studi e ricerche che vede gli specialisti in campo sanitario già in grado di approfondire i rapporti tra l'aumento delle patologie e gli stili di vita urbani, il dibattito urbanistico stenta tuttora a passare da una mera registrazione delle criticità sanitarie che sono abitualmente associate alla crescita urbana ad una elaborazione di modelli insediativi con cui contribuire più efficacemente al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. A fronte di questo ritardo preoccupante il nuovo libro curato da Rosalba D'Onofrio e Elio Trusiani, Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018) (1) cerca dunque di contribuire al superamento di un'impasse cognitiva che sta già producendo rilevanti criticità nell'attuale discussione sulle proposte di revisione degli standard urbanistici, e sulla possibilità - finora semplicemente enunciata - di orientare la configurazione delle nuove dotazioni territoriali al soddisfacimento di bisogni insorgenti ritenuti ormai inderogabili, tra i quali tende ormai a farsi strada una legittima aspirazione al miglioramento del benessere individuale, dell'ambiente e del paesaggio (2). Nel tentativo di identificare il ruolo che in questa nuova prospettiva può essere assegnato alla pianificazione urbanistica, tale linea di ricerca si propone di ricollocare l'uomo e le sue necessità al centro del processo di costruzione della città, facendo sì che in virtù di questo nuovo "umanesimo" il cantiere della rigenerazione urbana possa acquistare una più stretta adesione ai bisogni e ai desideri dei cittadini. Ne discende un rinnovato impegno ad accentuare la corrispondenza tra la lotta per il miglioramento della salute umana e la trasformazione dell'ambiente urbano, con l'obiettivo sempre più manifesto di rendere quest'ultimo più vivibile, sostenibile e attraente.

Nell'analizzare i primi passi compiuti nella direzione di una città più sana, gli autori del volume passano dunque in rassegna i contributi specialistici e le iniziative di organismi internazionali che nel corso degli ultimi quarant'anni hanno tentato di evidenziare l'esistenza di importanti relazioni causali tra le caratteristiche dell'ambiente urbano e la salute individuale e delle comunità. Nonostante l'ampiezza e il rigore di questa esplorazione, il quadro molto ricco e articolato che ci viene restituito tradisce non solamente la difficoltà - che D'Onofrio e Trusiani segnalano ripetutamente - a conseguire una soddisfacente integrazione tra gli apporti specialistici che mirano rispettivamente alla elaborazione delle politiche sanitarie e delle strategie urbanistiche, ma anche una certa disinvoltura con cui si tende frequentemente a sovrapporre l'orizzonte concettuale e operativo della sostenibilità a quello comunemente impiegato dagli igienisti urbani.

Prendendo atto della impossibilità di puntare nel breve periodo sulla messa a punto di un nuovo modello di pianificazione, il volume assegna più realisticamente alla sperimentazione di strumenti innovativi e di nuove pratiche urbane il compito di superare le difficoltà di dialogo tra differenti discipline, nonché l'obiettivo di conseguire vantaggi concreti e fertili contaminazioni da un confronto internazionale che negli ultimi anni è diventato sempre più intenso e stimolante. Di conseguenza lo sviluppo delle argomentazioni presentate dagli autori si affida, soprattutto nella seconda e nella terza parte del volume, all'illustrazione di iniziative concrete e di specifici casi di studio che nel testo, nei box di servizio o nelle appendici, danno vita ad una nutrita carrellata di best practices che si basa sulla illustrazione, più o meno approfondita, delle iniziative recenti di un gruppo eterogeneo di aree urbane: Belfast, Bologna, Bristol, Copenaghen, Medelin, New York, Porto Alegre, Poznan, Rennes, Rotterdam, Santiago e Toronto.

Per quanto profondamente diverse, queste aree urbane testimoniano lo sviluppo di una ragguardevole attività di sperimentazione, finalizzata alla creazione di condizioni urbane migliori e all'inserimento - non solo nelle rispettive Agende Urbane, ma anche nei piani e nei progetti di rigenerazione che erano già in corso - di politiche finalizzate al miglioramento del benessere dei residenti e alla riduzione delle disuguaglianze sociali. I provvedimenti specifici che sono stati adottati spaziano dalla scoperta di nuovi modi di fruire spazi urbani già configurati e aree libere in attesa di nuove destinazioni di piano, alla messa in relazione delle dotazioni di aree verdi, o al potenziamento dei collegamenti ciclopedonali, ed è soprattutto nelle esperienze più riuscite che la schedatura effettuata dagli autori consente di tracciare un profilo originale e persuasivo di questo nuovo stile di pianificazione. Quanto a quest'ultimo, emerge con assoluto rilievo il ruolo assunto non solamente dalle tecniche di valutazione nel richiamare l'attenzione dei soggetti di piano sulle condizioni sanitarie e la qualità della vita dei cittadini, ma anche dalle forme partecipative utilizzate nel coinvolgere la comunità urbana nel percorso verso la Health City e persino dalla effettiva assunzione di responsabilità, da parte degli strumenti di governo del territorio, relativamente al rispetto dei parametri ambientali e dei determinanti della salute.

Il quadro d'insieme offerto da questo mosaico di "aree-laboratorio", pur a fronte di alcune inevitabili peculiarità, pone in risalto interessanti convergenze intorno ad alcune questioni che nelle ultime pagine del volume costituiranno un utile riscontro per alcune considerazioni di notevole interesse. Oltre a evidenziare come l'obiettivo di una città più sana venga declinato, nella maggioranza dei casi, attraverso la proposizione di modelli insediativi che individuano nella densità delle relazioni sociali, nella democrazia locale e nella partecipazione i principali fattori propulsivi, gli autori propongono infatti una riflessione disciplinare che è meritevole di una discussione critica e di futuri approfondimenti. A partire dalla fiducia nel ruolo esplorativo svolto dal progetto urbanistico, e dalla capacità della scala intermedia di suggerire "le macro categorie di riferimento e gli obiettivi entro cui comporre una griglia di azioni/opzioni che rispondano al binomio salute/urbanistica", si tende nel contributo a incoraggiare la convinzione che una città più sana debba privilegiare una forma urbana più densa, e che il punto di vista fondamentale per la Health City debba essere costituito dal quartiere e dallo spazio fisico di relazione.

Pur a fronte dei molti spunti innovativi che caratterizzano il testo, e che aggiornano risolutamente l'attuale riflessione sulla città "sana" con valutazioni relative ai profondi mutamenti introdotti in questa complessa problematica non solo dal climate change, ma anche dalla complessità crescente che caratterizza le nuove malattie urbane (diabete, obesità, disturbi mentali), è difficile sfuggire alla sensazione che D'Onofrio e Trusiani propongano uno scenario che se da un lato vuole prendere le distanze dal piano di tradizione, dall'altro difende legittimamente il valore e l'attualità di un deposito di conoscenze e di saperi che appartengono alla stagione più fulgida della nostra cultura urbanistica. Come rileva peraltro Patrizia Gabellini nella Prefazione al testo, il richiamo alle radici dell'urbanistica moderna può costituire implicitamente un modo per interrogarsi sugli effetti dell'attuale cambio di paradigma urbano non solo sulla salute pubblica, ma anche su temi, tecniche e strumenti di fondamentale importanza per l'evoluzione della disciplina tecnica. Conviene a questo punto prendere atto che la contrapposizione tra l'ansia del nuovo e un parziale ritorno alle origini può risultare propizia in primo luogo rispetto ad un ulteriore sviluppo della linea di ricerca che viene presentata in questo volume. Soprattutto se i potenziali elementi dissonanti verranno riconosciuti e affrontati, e se la coesistenza tra il concepimento di contenuti innovativi e la rivisitazione del passato finirà per tradursi in quella azione di rinnovamento sostanziale della "grande sintassi" urbana che Bernardo Secchi sollecitava trent'anni fa (3), sarà possibile convertire la generica aspirazione ad una città più sana in procedure e modelli di rigenerazione più concreti, condivisibili e replicabili. Almeno in prospettiva, sembrerebbe legittimo augurarsi che una ulteriore evoluzione in questa direzione possa condurre contemporaneamente ad una maggiore convergenza tra il modello adottato dalle Health Cities che è presentato in questo volume e quello che viene invece invocato da quanti mirano alla affermazione di una città più giusta (4). Per quanto non sia possibile ipotizzare un aperto conflitto tra queste due visioni peculiari (ma non alternative), è comunque evidente che laddove il principio di equità si fonda su una visione universalista della società, la stessa cosa non può dirsi per l'aspirazione ad una città più sana. Tenendo conto di questa differente punto di vista non possiamo escludere pertanto che, persino nelle esperienze più "virtuose" e di successo, l'obiettivo della "salubrità" e del benessere non sia alla portata di tutti i cittadini, e che dietro il propagarsi della formula dell'eco-quartiere si nasconda inevitabilmente il pericolo di una diffusione incontrollata dei processi di gentrification. Non solo; anche alla luce dei risultati di recenti ricerche (5), si tende ormai a riconoscere l'evidente asimmetria che colpisce quei malati che pur trovandosi nelle stesse situazioni sanitarie, manifestano una differente reattività alle terapie a seconda delle condizioni economiche di partenza e, in misura non irrilevante, delle prestazioni che gli vengono assicurate dal contesto familiare, sociale e ambientale di appartenenza.

Ma non è tutto. La scelta della dimensione intermedia del quartiere come scala progettuale di riferimento per le Health Cities, se può apparire congeniale in vista della messa a punto e della verifica di nuove forme di sperimentazione, può esporre al rischio della irrilevanza la ricerca di modelli di pianificazione che si ispirino al principio della massimizzazione delle condizioni sanitarie e del benessere dei residenti. E infatti, per quanto sia ben radicato nella cultura e nell'immaginario collettivo di intere generazioni di soggetti ed attori delle trasformazioni urbane, il quartiere è uno dei principi insediativi della città contemporanea che, soprattutto nel nostro Paese, appare più radicalmente contestato. Nella misura in cui le alterazioni subite negli ultimi decenni dai modelli insediativi fanno sì che lo schema compatto e circoscritto del quartiere costituisca una faticosa eredità della modernità e appaia difficilmente replicabile, è ragionevole supporre che il progressivo esaurimento dei programmi di edilizia pubblica e la cancellazione di molte istituzioni del welfare comportino il radicale venir meno dei principali strumenti a disposizione dell'amministrazione pubblica e del planner per praticare con successo questa scala d'intervento.

Se le difficoltà che abbiamo appena richiamato rischiano di ostacolare il cammino del piano urbanistico (e dello stesso progetto urbano) verso il conseguimento di quella "nuova alleanza" tra salute e urbanistica che D'Onofrio e Trusiani pongono al centro della loro attuale attività di ricerca, esistono proposte alternative che consentono di superare tali criticità. I germi di questo scarto concettuale possono essere rintracciati da un lato nella attenuazione del vincolo di densità nel perseguimento del modello di una città più sana, e dall'altro nella promozione dell'azione tattica e della temporaneità nell'esercizio della pianificazione. Sviluppando ulteriormente alcune indicazioni peraltro già contenute nelle ultime pagine del volume che stiamo commentando, è possibile ipotizzare in primo luogo un ridimensionamento degli obiettivi di compattamento della città esistente che gli autori mettono in relazione al raggiungimento di una migliore qualità residenziale e di più elevati standard ecologici, sostituendo ai modelli insediativi ad alta concentrazione - difficilmente praticabili nei contesti territoriali della dispersione - un più graduale e parziale processo di "densificazione". In virtù di questo approccio incrementale, il progetto della Health City è in grado di far sì che l'occupazione limitata e programmata degli interstizi della città diffusa non solo rispetti pragmaticamente un principio di fattibilità, ma persegua da un lato un soddisfacente compromesso tra gli obiettivi del contenimento del consumo di suolo e dell'aumento della prossimità fisica e sociale, e dall'altro favorisca una configurazione ottimale di infrastrutture verdi e spazi pubblici da destinare alla salvaguardia del benessere fisico e mentale dei residenti e alle pratiche della condivisione.

Quanto ai dispositivi da mettere a punto per migliorare l'efficacia di questo nuovo modello di pianificazione, il recente ricorso alle nozioni di 'tattica' e 'temporaneità' contribuisce a tracciare un differente percorso verso la rigenerazione urbana delle vaste frange urbane nelle quali si affronta la sfida dell'integrazione, nel governo del territorio, delle misure per l'adattamento al cambiamento climatico e delle politiche finalizzate al miglioramento delle condizioni di salute e di vita degli abitanti delle città. Soprattutto quando la transizione verso modelli più sostenibili richiede tempi lunghi e procedure complesse, l'azione tattica può essere impiegata dal planner, che in questo modo può preparare il terreno alle azioni future valutando preventivamente il loro impatto, valorizzando gli usi temporanei dei beni da riqualificare, incentivando la partecipazione e l'azione civica, attraendo l'interesse e consolidando la fiducia delle istituzioni e degli investitori (6). Come è ben chiaro agli autori del volume, questa nuova stagione del governo del territorio che sembra ormai in gestazione costringerà gli urbanisti a concepire un modello di pianificazione in grado di gestire livelli crescenti di complessità. Le principali novità non riguarderanno molto probabilmente il tentativo di anticipare i cambiamenti futuri, quanto piuttosto l'esplorazione di un metodo incrementale "che identifichi e promuova un'ampia gamma di interventi per favorire la salute e il benessere dei cittadini", nella convinzione che dai loro risultati si possa apprendere non solo in presenza di esiti favorevoli, ma anche nel caso di possibili fallimenti.

Michele Talia

 

 

 

Note
1) Degli stessi autori vedi anche Città, salute e benessere. Nuovi percorsi per l'urbanistica, Franco Angeli, Milano, 2017.
2) Cfr. Michele Talia, "Una nuova cornice di senso per le dotazioni urbanistiche e le aree di interesse collettivo", in C. Giaimo (a cura), Dopo 50 anni di standard urbanistici in Italia, Inu Edizioni, Roma, 2018, pp. 30-36.
3) Bernardo Secchi, "Città moderna, cità contemporanea e loro futuri", in G. Dematteis, F. Indovina, A. Magnaghi, E. Piroddi, E. Scandurra, B. Secchi, I futuri della città. Tesi a confronto, Franco Angeli, Milano, 1999, pp. 41-68.
4) Cfr. Salvatore Veca, "Sulla disuguaglianza", Iride. Filosofia e discussione pubblica, n. 1, 2016, pp. 23-34.
5) Francesco Perrone et al., "The association of financial difficulties with clinical outcomes in cancer patients: secondary analysis of 16 academic prospective clinical trials conducted in Italy", Ann. Oncol., first published online October 26, 2016.
6) Cfr. Michele Talia, "Verso un nuovo paradigma di governo del territorio", in M. Talia (a cura), Un nuovo ciclo della pianificazione urbanistica tra tattica e strategia, Planum, Milano, 2016, pp. 9-17.

 

 

 

N.d.C. - Michele Talia, professore ordinario di Urbanistica alla Scuola di Ateneo Architettura e Design "Eduardo Vittoria" dell'Università degli Studi di Camerino, è stato coordinatore del Dottorato di ricerca in Pianificazione alla Sapienza Università di Roma e membro del Consiglio direttivo dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. In qualità di consulente di pubbliche amministrazioni ha lavorato tra l'altro al nuovo Prg di Roma e ha coordinato i gruppi di progettazione del Piano Strutturale e del Regolamento Urbanistico del Comune di Siena e del Piano Strategico della Provincia di Teramo.

È autore o coautore di numerosi volumi, tra i quali: Meridione e uso del territorio (Liguori, 1979); La metropoli e il piano. Processi, teorie, politiche e strumenti nel governo delle grandi aree urbane (Gangemi, 1990); Innovazione in urbanistica a Genova e a Milano. Gli esiti contraddittori della sperimentazione nell'ultimo decennio (Gangemi, 1995); L'urbanistica nelle città del Sud. Processi insediativi e nuove politiche urbane nelle aree metropolitane (Gangemi, 1998); Città e regioni metropolitane in Europa. Peculiarità e convergenze nella pianificazione delle grandi reti urbane (INU, 2003); La pianificazione del territorio. Conoscenze, politiche, procedure e strumenti per il governo delle trasformazioni insediative (Il sole-24 ore, 2003); Fondamenti di governo del territorio. Dal piano di tradizione alle nuove pratiche urbanistiche (Carocci, 2009); Ri-conoscere e ri-progettare la città contemporanea (FrancoAngeli, 2012); La rigenerazione urbana alla prova (FrancoAngeli, 2015).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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11 APRILE 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

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Le conferenze

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2017: online/pubblicazione
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2019:

M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)

A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)

P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)

M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)

M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)

P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)

C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)

F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

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