Rossella Zelioli  
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PAROLE ARMATE. TRA STORIA, LETTERATURA E VITA


Un potentissimo distillato di coscienza di sé



Rossella Zelioli


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Il saggio di Valeria P. Babini, Parole Armate. Le grandi scrittrici del Novecento italiano tra Resistenza ed Emancipazione (La Tartaruga, 2018) consente di aggiungere un prezioso tassello alla lunga e complessa storia delle donne del nostro Paese, e nel nostro Paese. Alla fine della sua lettura, ci si sente capite.

Può sembrare paradossale, dato che spesso o forse quasi sempre leggiamo e studiamo con l'idea di capire altri, insieme a noi. Ma se si è donne coscienti della storia delle proprie compagne di questa straordinaria "disgraziata stirpe", alla fine della lettura ci si vede tutte intere, ricomposte nella propria figura quasi sorridente, prima sbrecciata nei mille pezzetti di un sé complicato e ancora, troppo spesso, silenziato.

Questo saggio corposo e documentatissimo, infatti, dispiega con efficacia e partecipazione profondissime -a rimarcare che spirito di geometria e di finezza, nelle donne migliori, sono inscindibili- le attività, gli scopi e le intenzioni di numerose donne scrittrici del Novecento italiano, tutte febbrilmente pervase dalla coscienza di se stesse e della centralità della loro attività tra la guerra di Liberazione e il primo instaurarsi della Repubblica.

Le donne di cui l'autrice racconta sono tutte donne diverse, a tratti moltissimo; accomunate tuttavia dalla coscienza a loro stesse chiarissima e per questo loro tratto unificante, dell'importanza della scrittura e della parola, come armi potentissime ed efficaci ai fini della costruzione del nuovo Paese necessario dopo la Resistenza.

Dalle donne delle Radio Cairo, Roma, Napoli fino ai romanzi pieni di realismo e di rottura che molte scriveranno, emerge nitida la coscienza di tre grandi nodi tutti politici e al contempo personali e di genere che attraversano la storia del nostro Paese.

Il primo nodo è certamente quello che emerge dalle rovine di una guerra spaventosa, dalle città martoriate e dalle famiglie distrutte, dalle mille azioni partigiane di cui anche le donne sono diventate - e volute diventare- protagoniste. La guerra partigiana è la svolta decisiva che consente alle voci di donne straordinarie di vedersi per la prima vera volta protagoniste della propria vita e di quella del proprio Paese, attraverso la coscienza del genere da un lato e della generazione cui si appartiene, dall'altro. Su tutte, Alba de Céspedes che parla da Radio Bari e poi da Radio Napoli "da donna a donna", illumina un percorso che in quel 1944 inizia senza esitazioni eppure pieno di difficoltà. I suoi appelli all'educazione civile del nuovo italiano, che la Resistenza avrebbe dovuto forgiare e la Repubblica far nascere, rimandano ad una profonda conoscenza dei vizi e delle miserie del Paese, in cui il Fascismo "autobiografia della nazione" andava chiaramente denunciato e superato.

Bisognava dirlo. Dirlo chiaramente, che le parole avevano da essere nuove nella forza e nella funzione: la voce delle donne che parlano ad altre donne diventa questa operazione di disvelamento, che porta alla forza di vincere la battaglia. Contro l'inerzia di troppi, contro le "donnette di comodo" che in ogni epoca sono state, per prime, il vero nemico delle donne e dunque dello sviluppo di un Paese, le voci di Alba de Céspedes, Anna Garofalo, Fausta Cialente rimangono un monito cristallino.

Il secondo nodo è quello gravoso e oscuro che giace al fondo del "pozzo" in cui ciascuna di noi, prima o poi, scende. È un terremo limaccioso e infido, eppure nulla di più nostro esiste se non questa capacità di scendere al fondo di noi per poi risalire alla luce, e vedere gli altri. Vedere se stesse insieme agli altri, mentre prima della discesa, semplicemente, c'erano soltanto loro. La metafora di Natalia Ginzburg è in questo senso diventata familiare a tutte noi, che nella vita ci troviamo di fronte a noi stesse, una volta o l'altra, quando ci accorgiamo -o abbiamo finalmente il coraggio di farlo- che non basta più lo sguardo di un altro per attraversarci. È il nodo immenso e insieme consueto della incomunicabilità a tratti drammatica di se stesse ad un altro, uomo prima di tutto. In questo tema del saggio emergono potenti e modernissime -forse ancora oggi troppo avanti- le voci della Ginzburg, di Anna Banti, ancora della De Céspedes. La loro scrittura densa e precisa, veritativa ed evocativa insieme, ha il coraggio di affrontare la maternità, l'amore, il sogno delle donne dicendo chiaramente che sono ferite spesso non rimarginabili, anche quando si sorride, si vive, si agisce. L'autrice del saggio chiarisce, con piana inesorabile lucidità, che davvero "donne non si nasce, si diventa".

 

Il terzo nodo concettuale affrontato nel saggio, tra i molti che si potrebbero accuratamente dipanare, riguarda la portata storica e insieme tutta politica delle voci femminili di cui Valeria P. Babini ci restituisce una conoscenza per troppi, credo, inimmaginabile.

Fin da quel 1944 in cui si sentono le prime parole femminili dalle radio partigiane, attraverso il 1946 del voto alle donne, emergono con estrema consapevolezza fin dai primi anni della Repubblica domande che ci dovrebbero essere, oggi, di stretta attualità: quanta e quale vera democrazia viviamo, come donne, in questo Paese? Quanta e quale uguaglianza è quella che, a Costituzione approvata e promulgata, nega alle donne le fondamentali possibilità di accesso ad esempio alla Magistratura, fino al 1963? Quanta e quale dignità ha la donna della nuova Italia liberata, se permangono stratificate come rocce inespugnabili, mentalità e codici legislativi della più retriva tradizione patriarcale e maschilista?

Su questo tema le voci delle straordinarie Paola Masino, Anna Garofalo, Marise Ferro e tante altre ci ricordano che la battaglia è sempre attuale, e che l'obiettivo è uno solo: applicare la Costituzione, integralmente, realmente. Liberare il Paese, liberando le donne.

Trovano posto così, negli articoli sulle più svariate riviste -dalla militante Noi Donne alla raffinata Foemina- analisi straordinarie, per lungimiranza e concretezza, sull'educazione di genere e sull'uso terribile e al contempo narcotico della femminilità come rifugio, come alibi, come occasione e necessità al contempo del disimpegno, che troppe donne vivono senza pensarci davvero. Le scrittrici di questo troppo sconosciuto Novecento italiano ci ricordano che, invece, dobbiamo trovare " la salvezza dell'umanità e delle donne (…) in un mai dismesso uso della razionalità".

Questo libro consegna, specie alle più giovani, un potentissimo distillato di coscienza di sé. Nessuna zona d'ombra, nessuna profondità del nostro pozzo giace inesplorata, perché nulla di noi deve essere lasciato nella solitudine di una individualità che resti muta. E alla fine, ci si scopre grate, davvero grate, di poter vivere così grandemente e così profondamente: la maternità, l'amore, la politica, la liberazione dell'essere umano, tutte nella vita di una donna.

 


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28 GIUGNO 2019