Giampaolo Nuvolati  
  casa-della-cultura-milano      
   
 

SCOPRIRE L'INATTESO NEGLI INTERSTIZI DELLE CITTÀ


Commento al libro di Carlo Olmo



Giampaolo Nuvolati


altri contributi:



  giampaolo-nuvolati-inatteso.jpg




 

La ricchezza e la complessità del testo di Carlo Olmo - Città e democrazia. Per una critica delle parole e delle cose (Donzelli, 2018) - consente approcci analitici differenziati e declinabili rispetto a questioni altrettanto specifiche. Sperando di non perdere di vista l'intelaiatura più generale dell'opera e nello stesso tempo utilizzando alcune categorie con le quali ho maggiore familiarità, proverò qui a proporre un taglio critico che si basa su alcuni temi particolari: la figura del flâneur, la funzione degli interstizi, il genius loci delle città. L'intento di questa mia lettura del libro di Olmo è, dunque, di farne uno strumento utile a incrociare altre prospettive di lettura dell'urbano.

Partirei da queste parole di Olmo a pagina 24:

La qualità urbana è lo specchio più impietoso di una democrazia che non si definisce una volta per tutte e che non deve essere solo regolata. La qualità urbana - lo raccontano le rapide decadenze di spazi solo vent'anni prima privilegiati, a Chicago come a Torino - non è un heritage e va anzi in conflitto con i processi di patrimonializzazione cui oggi assistiamo. La qualità urbana non richiede solo che la democrazia sia presente e praticata, ma che sia o possa anche essere la risposta all'identità che non si realizza difendendo le residenze sabaude o le ville neo-palladiane, assediate oggi, peraltro, da una cultura che ha perso persino il significato di situazione o creando ghetti, che si chiamano pure smart cities o gated communities, come sta avvenendo in India, Cina o in California: una qualità che non si realizza cioè radicalizzando le disuguaglianze tra luoghi o tra cittadini. Allora forse non è un caso che la narrazione migliore della possibile qualità urbana rimanga il testo di Walter Benjamin, i Passages.

Contro le retoriche della memoria unificante, della regolamentazione e della tecnologizzazione spinta delle smart cities, sembra emergere la necessità di guardare e vivere la città perdendosi in essa, abbandonandosi alla serendipity come possibilità di scoprire l'inatteso, esercitando quella critica che ne individui i giochi di potere economico e politico sottostanti. Questa prospettiva analitica combacia con la terzietà propugnata nell'esperienza UCM (Urban Center Metropolitano) di Torino dove, come afferma sempre Olmo a pagina 156:

tutti coloro che partecipavano al tavolo di UCM (un tavolo in cui la rappresentazione della città era qualcosa di più di un'icona) offrivano un frammento di realtà, ovviamente dal loro punto di vista, contribuendo così a precisare non solo la trama e la mise en intrigue, ma l'oggetto stesso del contendere, interagendo con quella realtà che si consolidava attraverso una pratica di dialogo che sapeva di lavorare su memorie e saperi contesi e antagonisti […] Ogni attore che decideva di contribuire alle narrazioni e agli scenari lo faceva sapendo di esercitare un punto di vista e che la sua validità sarebbe stata messa alla prova nel confronto e a volte nel conflitto, e non avrebbe potuto ripararsi dietro alle spalle dell'autorità che rappresentava a quel tavolo: un'amministrazione, una circoscrizione, una sovrintendenza, un collegio di imprese, un ordine professionale.

Il richiamo alla figura del flâneur è pressoché inevitabile. Sebbene Olmo non lo citi mai, la sua ombra aleggia nel volume. Ma questa figura ottocentesca è riproponibile nella città contemporanea? Cosa significa leggere la città contemporanea con gli occhi di un flâneur? Significa camminare in essa, viverne la quotidianità, scoprendone gli interstizi (fisici, sociali e culturali) più nascosti e, così facendo, rinunciare ai propri pregiudizi (una sorta di suicidio a metà, ovviamente metaforico, in cui uccidiamo parte di noi stessi per aprirci alla comprensione del mondo) ma senza per questo rinnegare una propria funzionalità. Secondo Ash Amin e Nigel Thrift (2002), soprattutto nei contesti urbani, il flâneur costituisce infatti l'unica figura in possesso di una sensibilità poetica e scientifica al tempo stesso, tale da consentirgli la lettura dei cambiamenti della società, di rovesciare i cliché, di leggere le varie forme d'uso della città in quello che viene comunemente denominato l'everyday urbanism. L'intento del flâneur è quello di ribaltare gli stereotipi e mettere in discussione identità e memorie collettive che non siano in grado di rispondere concretamente ai bisogni della cittadinanza nella sua complessità. Forse la differenza tra il poeta urbano errabondo dell'800 e l'attuale possibile flâneur (inconsciamente evocato da Olmo) consiste in una diversa combinazione tra la componente estetica ed etica. Un tempo a prevalere era la prima sulla seconda, oggi il ruolo del flâneur sembra forse ricomprendere l'appello ad una partecipazione fattiva.

 

Ad essere chiamato in causa è il momento performativo dettato dal camminare, raccogliere e interpretare gli indizi della modernità. Un'immagine che mi viene in mente a proposito del flâneur è quella del pescatore di perle di Benjamin e di cui ha scritto Hannah Arendt (1993). È negli interstizi, sul fondo della nostra vita ordinaria, che si depositano e lì sedimentano i significati più preziosi, sino a farsi pronti per essere intercettati proprio dal flâneur; quest'ultimo da intendersi anche come un pescatore di perle che rintraccia negli abissi più profondi frammenti di pensiero cristallizzati per liberarli e ricondurli in superficie. Ma è appunto questa una operazione di liberazione e attualizzazione che chiama ad una continua rilettura della realtà - forse proprio attraverso quella che Olmo collega al valore della testimonianza - non come atto di patrimonializzazione in chiave pacificante, ma piuttosto attraverso un processo continuo di recupero dei frammenti minori del vivere quotidiano che aspettano solo di venire valorizzati per rileggere la realtà, anche nel riconoscimento delle contrapposizioni e dei conflitti che caratterizzano le comunità di appartenenza degli individui. Facendo un ritratto di Benjamin visto come pescatore di perle, la Arendt (1993: 91-92) afferma:

qui siamo di fronte a una cosa che potrebbe non essere unica ma che è senz'altro estremamente rara: il dono di pensare poeticamente. E tale pensiero, nutrito dal presente, funziona con i "frammenti di pensiero" che riesce ad estrarre dal passato e a raccogliere intorno a sé. Come un pescatore di perle che si cala sul fondo del mare, non per disseppellirlo e riportarlo alla luce ma per liberare quel che in esso c'è di ricco ed inconsueto, le perle e il corallo degli abissi, e ricondurlo in superficie, questo pensiero scava nei recessi del passato, ma non allo scopo di resuscitarlo a ciò che era e di contribuire al rinnovamento di epoche estinte. Ciò che guida questo pensiero è la convinzione che benché i viventi siano soggetti alla rovina del tempo, il processo di decadimento è contemporaneamente un processo di cristallizzazione, che sul fondo degli abissi, ove affonda e si dissolve ciò che un tempo era vivo, certe cose subiscono un "sortilegio del mare" e sopravvivono in nuove forme cristallizzate immuni agli elementi, come se aspettassero solo il pescatore di perle che un giorno scenderà da loro per ricondurli al mondo dei vivi quali "frammenti di pensiero", cose "ricche e strane" e forse, addirittura, eterni Urphänomene.

 

La democrazia non è semplicemente data, in sintesi, dalla storia di un luogo, ma è frutto di un impegno ininterrotto di valorizzazione dei fenomeni originari che tendono a nascondersi nelle pieghe della storia stessa. Ma dove rinvenire nel paesaggio urbano queste testimonianze? Eccoci allora alla seconda parola chiave: gli interstizi come luoghi terzi, che stanno fuori dalla narrazione ufficiale - basata troppo spesso sulla descrizione compulsiva dei suoi manufatti più imponenti e museizzati - e si accompagnano invece alle pratiche del quotidiano, dell'adattamento, della sopravvivenza, del conflitto, della marginalità chiamando in causa una continua reinterpretazione della morfologia urbana da concepirsi come spazio pubblico del possibile, come palestra per un esercizio della democrazia sempre in fieri. Sono gli interstizi, le innervature tra i blocchi del potere politico-economico-religioso, che vedono il vagabondare del flâneur impegnato come un rabdomante ad auscultare i fremiti della modernità nelle sue contraddizioni e nelle sue contorte manifestazioni architettoniche. Dirà Olmo a pagina 136:

Aver perso il nesso tra architettura e democrazia ha fatto di spazi di lavoro di massa (operaio e mercantile) improbabili ristoranti, luoghi di esposizioni, centri commerciali: luoghi dove si itera una società del consumo che davvero riduce a contenitori le architetture.

Nel farsi infinita la città perde una sua coerenza interna, si lascia attraversare da forme crescenti di disuguaglianza e polarizzazione sociale la cui rappresentazione spetta al nuovo flâneur pronto ad uscire dai vecchi Passages e dai moderni centri commerciali, per inoltrarsi nelle periferie più estreme e disagiate.

 

Infine, eccoci al genius loci, come elemento connaturato al luogo fin dalla sua fondazione - il richiamo va ovviamente a Christian Norberg Schulz (1979) e alla tradizione fenomenologica a partire da Martin Heidegger - oppure come frutto di un continuo costruttivismo sociale - come lo descrive Doreen Massey (1993) -. Esso è comunque tale da inibire le trasformazioni. L'essere così del luogo che non può essere che così, diviene un mantra ossessivo che si autoriproduce e che vincola i processi di democratizzazione degli spazi in chiave trasformativa. Consegna definitivamente il luogo alla sua storia, lo lega a una identità soffocante che non conosce ripensamenti. Ancora una volta è attribuita al flâneur, che Benjamin definisce non a caso il sacerdote del genius loci, la responsabilità di confrontarsi con questo spaccato. Fino a che punto tale attenzione verso il passato corrisponde alla negazione del presente e del futuro incalzanti? Ancora una volta mi piace ricordare una allegoria benjaminiana: l'angelus novus (Benjamin 1995) che non ha tempo di soffermarsi sulle macerie della storia perché il vento del progresso si è impigliato nelle sue ali e lo spinge verso l'avvenire. Se dovessi sintetizzare l'importante contributo che Olmo offre attraverso questo volume direi che affronta la tensione perenne che attraversa i luoghi urbani nell'essere testimonianza del passato e, allo stesso tempo, nel costituire ambiti di ricomposizione continua degli assetti destinati a offrire opportunità di cittadinanza ed emancipazione nella contemporaneità.

 

Mi rendo conto che il ricorso alla figura del flâneur potrebbe rivelarsi una facile rifugio nei miei ambiti privilegiati di studio, una semplice rêverie, un maldestro tentativo di psicanalizzare il testo di Olmo attraverso l'invenzione di un personaggio del subconscio celato nelle sue pagine, un espediente fantasmagorico, finanche il risultato di un personale wishful thinking. Eppure, quando Olmo, a pagina 118, del cittadino auspicabile dice che deve avere:

il diritto di non girovagare nella città felice solo di riconoscere quel che già sa, muovendosi come il turista di Tokyo_Ga di Wim Wenders, costretto a scegliere i cibi guardando le immagini esposte sulla vetrina, ma [che deve essere] un soggetto in grado di recuperare le domande che persino un cornicione sfalsato, una finestra arretrata, un marcapiano non allineato gli pongono a ogni passo,

a chi si può riferire se non al flâneur?

Giampaolo Nuvolati

 

 

 

Bibliografia
Amin A. and Thrift N., 2002, Cities. Reimagining the Urban, Cambridge, Polity Press.
Arendt H, 1993, Il pescatore di perle. Walter Benjamin, 1892-1940 (1968), Milano, Mondadori.
Benjamin W, 1995, "Tesi di filosofia della storia" (1940), in Angelus Novus, Torino, Einaudi, pp. 75-86.
Benjamin W., 1993, "Il ritorno del flâneur" (1929), in Ombre corte. Scritti 1928-1929, Torino, Einaudi, pp. 468-473.
Norberg-Schulz C., 1979, Genius loci. Paesaggio, ambiente, architettura, Milano, Electa.
Massey D., 1993, "Power-geometry and a Progressive Sense of Place", in J. Bird, B. Curtis, T. Putnam, G. Robertson and L. Tickner (eds.), Mapping the Futures: Local Cultures, Global Change, London, Routledge, pp. 59-69.

 

 

 

N.d.C. - Giampaolo Nuvolati, professore ordinario di Sociologia dell'ambiente e del territorio, dirige il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Tra i suoi libri: La qualità della vita delle città. Metodi e risultati delle ricerche comparative (FrancoAngeli, 1998); Popolazioni in movimento, città in trasformazione. Abitanti, pendolari, city users, uomini d'affari e flâneur (il Mulino, 2002); Piccola antologia di paesaggi urbani (Vicolo del Pavone, 2003); Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni (il Mulino, 2006); Mobilità quotidiana e complessità urbana (Firenze University Press, 2007); L'interpretazione dei luoghi. Flanerie come esperienza di vita (Firenze University Press, 2013); Un caffè tra amici, un whiskey con lo sconosciuto. La funzione dei bar nella metropoli contemporanea (Moretti & Vitali, 2016); (a cura di), Sviluppo urbano e politiche per la qualità della vita (Firenze University Press, 2018); con Giorgio Bigatti (a cura di), Raccontare un quartiere. Luoghi volti e memorie della Bicocca (Scalpendi, 2018); Interstizi della città. Rifugi del vivere quotidiano (Moretti & Vitali, 2019).

Per Città Bene Comune ha scritto: Città e paesaggi: traiettorie per il futuro (8 dicembre 2017); Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo (13 luglio 2018).

Sul libro di Carlo Olmo oggetto di questo commento: v. anche: Cristina Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili e la cerbiatta di Cuarón (5 ottobre 2018) e l'introduzione all'incontro che avrebbe dovuto tenersi alla Casa della Cultura il 21 maggio 2019.

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

20 SETTEMBRE 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019:

P. C. Palermo, Oltre la soglia dell'urbanistica italiana, commento a: P. Gabellini, Le mutazioni dell'urbanistica (Carocci, 2018)

S. Vicari Haddock, Le periferie non sono più quelle di una volta, commento a: A. Petrillo, La periferia nuova (FrancoAngeli, 2018)

G. Consonni, La rivincita del luogo, commento a: F. Erbani, L'Italia che non ci sta (Einaudi, 2019)

D. Patassini, Urbanistica per la città plurale, commento a: G. Pasqui, La città, i saperi, le pratiche (Donzelli, 2018)

C. Cellamare, Roma tra finzione e realtà, commento a: E. Scandurra, Exit Roma (Castelvecchi, 2019)

P. Briata, Con gli immigrati per capire città e società, commento a: B. Proto, Al mercato con Aida (Carocci, 2018)

S. Viviani, Urbanistica: e ora che fare?, Commento a: P. Gabellini, Le mutazioni dell'urbanistica (Carocci, 2018)

C. Tosco, Il giardino tra cultura, etica ed estetica, commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Padovani, La questione della casa: quali politiche?, commento a: G. Storto, La casa abbandonata (Officina, 2018)

P. Burlando, Strategie per il (premio del) paesaggio, commento a: Paesaggio e trasformazione (FrancoAngeli 2017)

P. Pileri, Suolo: scegliamo di cambiare rotta, Commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli 2019)

A. Petrillo, Oltre il confine, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

L. P. Marescotti, Urbanistica e paesaggio: una visione comune, commento a: J. Nogué, Paesaggio, territorio, società civile (Libria, 2017)

F. Bottini, Idee di città sostenibile, Prefazione a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)

M. Baioni, Urbanistica per la nuova condizione urbana, commento a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)

R. Tadei, Si può comprendere la complessità urbana?, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

C. Saragosa, Aree interne: da problema a risorsa, commento a. E. Borghi, Piccole Italie (Donzelli, 2017)

R. Pavia, Questo parco s'ha da fare, oggi più che mai, commento a: A. Capuano, F. Toppetti, Roma e l'Appia (Quodlibet, 2017)

M. Talia, Salute e equità sono questioni urbanistiche, commento a: R. D'Onofrio, E. Trusiani (a cura di), Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018)

M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)

A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)

P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)

M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)

M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)

P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)

C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)

F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

I post