casa-della-cultura-milano      
   
 

UN GIARDINO DELLE MUSE PER CAPIRE LA CITTÀ


Commento al libro di Giandomenico Amendola






altri contributi:



  francesco-indovina-amendola-capire-citta.jpg




 

Questo di Giandomenico Amendola - Sguardi sulla città moderna (Dedalo, 2019) - è un libro trasversale e, a mio giudizio, importante, in cui l'autore chiama a congresso, come in un giardino delle Muse, scrittori, poeti, pittori, musicisti, qualche sociologo e qualche urbanista (non molti, in realtà) per provare a spiegare, attraverso una pluralità di narrazioni, la città moderna. L'autore è infatti convinto che alla centralità della città nella modernità e nella contemporaneità "non corrisponda […] un'adeguata capacità di leggerla, di governarla e di progettarla". Una difficoltà che - a suo dire - non deriverebbe tanto dai suoi cambiamenti fisici o dalla velocità dei mutamenti sociali che l'investono ma, piuttosto, dall'incapacità di decodificare la sua natura fluida e mutevole, la collocazione e il ruolo dei singoli individui nella vita sociale, spesso assunti come omogenei o classificati secondo formule e stereotipi assai distanti dalla realtà. Tornare a riflettere sugli sguardi con cui nelle diverse arti si è letta e interpretata la città del XIX secolo è dunque un modo per comprendere meglio anche quella dei giorni nostri perché gli strumenti "scientifici" della tradizione urbanistica e sociologica non appaiono idonei a interpretare quel "meraviglioso fenomeno" che è la città nella sua dimensione fisica e sociale. Una consapevolezza, per la verità, comune a diversi studiosi dei fatti urbani che non a caso, anche di recente, hanno pubblicato testi in cui si sono avvalsi della letteratura e di una pluralità di altri sguardi più o meno disciplinari per tentare di spiegarne l'essenza. Un approccio che trova riscontro anche tra i più giovani quando, per esempio, ricorrono a materiali letterari per sviluppare interpretazioni o argomentare progetti nelle loro tesi di laurea, questo - ahimè - suscitando talvolta il disappunto di alcuni membri delle commissioni che devono giudicarne il lavoro. Il libro di Giandomenico Amendola, tuttavia, si distingue per l'ampiezza dei materiali utilizzati e per la capacità dell'autore di integrare, ma anche di mettere dialetticamente in contrapposizione, parole e visioni di autori diversi. Ecco perché, nel panorama delle pubblicazioni che lavorano su questi stessi registri, si distingue per la sua utilità e per la capacità di stimolare la nostra riflessione sulla condizione urbana.

Proprio perché - come afferma Amendola - "la grande onda della modernizzazione del XIX secolo investe contemporaneamente la città e lo spirito dei suoi abitanti, modificando profondamente entrambi ma, soprattutto, trasformando il loro rapporto" con la città e la società, l'oggetto principale, ma non l'unico, dall'analisi del nostro autore è Parigi - la Parigi di Haussmann - e il compagno di viaggio ideale di questa esplorazione è Charles Baudelaire che nella sua celebre poesia Il Cigno evidenzia come "la forme d'une ville / Change plus vite, hélas ! que le cœur d'un mortel". Accanto a Parigi, poi, ci sono le altre capitali europee mentre una digressione di modesta entità, ma con spunti assai interessanti, è dedicata alle città americane. Nel pensiero di Amendola si confrontano continuamente (e in un certo senso si contrappongono) due punti di vista sulla città. Da una parte c'è la città-sistema, quella descritta dalle statistiche economiche e demografiche, quella delle categorie della sociologia urbana o della geografia, quella che emerge dai mattinali della questura, delle norme urbanistiche e dalla relativa legislazione, ecc. Dall'altra c'è la città dell'esperienza, della vita vissuta, della percezione sensoriale della realtà. Quella cioè che pone al centro dell'attenzione la "persona", con i suoi progetti, i suoi desideri, le sue esperienze, in particolare quelle che compie stando, attraversando, vivendo quella che possiamo definire la "scena urbana". Si tratta di punti di vista che, tradizionalmente, hanno sempre convissuto nella considerazione della dinamica della città e nei suoi cambiamenti per effetto della rivoluzione industriale e degli avanzamenti scientifici. Oggi, tuttavia, il primo dei due sembra aver perso molta della sua credibilità. Amendola, per esempio, è tra quanti sostengono con forza la necessità di mettere in primo piano l'esperienza del cittadino, i suoi interessi, di assumerne con maggiore convinzione il punto di vista nel progetto e nel governo della città e del territorio. L'alternativa pare essere tra il buon funzionamento del sistema generale, fondato sull'interpretazione scientifica dei fatti urbani, e la "felicità" del singolo individuo, che - sembra sostenere Amendola - tutti a parole vogliono ma che - sottintende - di fatto trova opposizioni alla sua realizzazione. La cosa è sicuramente ben presente all'autore, ma vorrei a questo proposito osservare che la felicità del cittadino non dipende solo dalle sue esperienze urbane ma da molto altro. Un 'altro' che è difficilmente ponderabile e che ancor meno facilmente potrà essere predeterminato.

La città moderna, in particolare quella del XIX secolo, sembra caratterizzarsi per una sorta di opposizione alla comunità, all'idea di collettività coesa e solidale. Essa, infatti, sembra piuttosto essere pensata per una società astratta, per una convivenza che cancella la solidarietà dei partecipanti a una vita forse ripetitiva della quale, tuttavia, ciascuno si sente parte integrante. Al suo posto prende corpo la "folla" indeterminata, che da un lato lascia soli, dall'altro permette di meravigliarsi di una nuova sensazione: quella della libertà da condizionamenti sociali stringenti. È a Parigi, la Parigi rinnovata dal Haussmann, la Ville Lumiere, la città delle mille vetrine, quella città che si esibisce sulla scena europea e che ti permette di esibirti, che tutto il Vecchio Continente guarda. Ma come e chi è in grado di indagare questa nuova realtà? Prima di tutto gli scrittori, ma anche i pittori, i fotografi o i poeti. "È la narrazione dei romanzi o la rappresentazione dei pittori che - scrive Amendola - contribuiscono a rendere leggibile una città altrimenti oscura è indecifrabile." Una città profondamente cambiata per effetto della tecnologia, dell'immigrazione che la dilata oltre misura, di un nuovo mercato del lavoro che permette a ciascuno di realizzarsi. Ma anche una città dove prendono corpo due diverse realtà: quella di chi non riesce a tenere il passo della modernità e resta indietro scivolando nel baratro della povertà; quella degli speculatori che invece sanno sfruttare le nuove potenzialità per arricchirsi. Il libro di Amendola consegna "al lettore l'esperienza e gli sguardi sulla città dei protagonisti dei romanzi, gli scrittori - scrive - lo incoraggiano a riflettere sulla propria esperienza urbana e a guardare la metropoli e il suo mondo con occhi diversi e più attenti. Gli insegnano a vivere riflessivamente la città".

Per il nostro autore le opere letterarie e artistiche non solo appaiono fondamentali per dare conto delle trasformazioni fisiche e sociali della città: le nuove strade, i nuovi quartieri articolati secondo lo status degli abitanti, una nuova illuminazione che rischiara la vita notturna ed ogni altro aspetto di questa mutazione epocale che investe la scena urbana. Le opere artistiche e letterarie sono considerate fondamentali per la comprensione della città moderna perché possono dare conto di un nuovo modo di stare e vivere nelle città. I personaggi delle opere letterarie risultano così di grande interesse non tanto per le loro storie, quanto perché sono veri e propri testimoni di una nuova esperienza urbana che, sostanzialmente, è quella di una folla di uomini e donne, singole identità, che vive lo spazio urbano non più attraverso le convenzioni sociali fissate nel tempo ed ereditate dal passato, ma attraverso la libertà che la città moderna offre loro.

La città-sistema, la città progettata, la città che nella modernità si rinnova a ritmi che non hanno precedenti nella storia, tuttavia, apre in particolare una contraddizione che Amendola legge, oltre che attraverso le opere letterarie, per mezzo della pittura e della musica. In un certo senso la città moderna promette ma non mantiene, non solo per la condizione di infelicità, se così possiamo chiamarla, entro cui costringe di una significativa parte dei suoi cittadini esclusi dal grande banchetto di cui solo i più abili e i più attrezzati culturalmente, economicamente e socialmente sanno approfittare. Ma anche perché, in generale, crea le condizioni per il diffondersi di quel sentimento di angoscia che deflagrerà soprattutto nel Novecento e che la pittura e la musica hanno saputo cogliere e restituire. La velocità, il rapido cambiamento, l'incertezza per la stabilità della propria condizione economica e sociale, l'assenza di riferimenti che nella tradizione davano sicurezza e diversi altri fattori determinano quel "disagio della civiltà" ampiamente analizzato da Freud. La folla di cui gli individui dovrebbero far parte in realtà li isola. Nella città moderna, così come in quella contemporanea, spesso l'individuo è "solo dentro la massa" così come ben evidenziato ne La folla solitaria (tit. orig. The lonely crowd) di David Riesman a metà del secolo scorso.

Il libro si conclude riannodando le fila tra la città contemporanea - nata sulle ceneri di quella moderna e tuttavia da questa assai differente - e quel diritto alla città nella celeberrima accezione di Henri Lefebvre. Amendola sottolinea la crescente richiesta di partecipazione dei cittadini nel governo e nel progetto della città e del territorio. A giudizio di chi scrive, una richiesta più che legittima che, se praticata correttamente e senza strumentalizzazioni, probabilmente migliorerebbe la qualità dei contesti urbani in cui viviamo. Questo a condizione di avere presente l'articolazione sociale e di potere dei cittadini che si esprimono o fanno domande su una determinata questione e, al tempo stesso, che si accetti il fatto che la forma più significativa della partecipazione sia il conflitto.

Giandomenico Amendola ha avuto molti Virgilio in questa sua esplorazione. Se l'approccio del flâneur ne ha accompagnato lo sguardo, sono soprattutto le parole di Baudelaire o quelle di Benjamin che gli hanno svelato l'arcano, indicato la via d'uscita dal labirinto, offerto la chiave interpretativa più convincente di quello che è stato il grande potenziale (non privo di contraddizioni) della città moderna. Dico questo non tanto per sminuire la grande capacità che Amendola mostra nel ricostruire attraverso un gran numero di opere il filo conduttore di un discorso sulla città all'infuori degli strumenti canonici con cui comunemente si descrivono i fatti urbani. Quanto, piuttosto, per avvalorarne la tesi di fondo - che poi, come sanno i miei studenti, è anche la mia - ovvero che la letteratura e, più in generale, il variegato mondo delle arti sono uno strumento fondamentale per chi volesse fare l'urbanista, il sociologo, l'amministratore pubblico o in qualsiasi modo occuparsi di città.

 

Francesco Indovina

 

 

N.d.C. - Francesco Indovina, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica all'Università IUAV di Venezia, dal 2003 insegna alla Scuola di Architettura di Alghero (Università degli Studi di Sassari). Da sempre è fautore di un approccio interdisciplinare agli studi sulla città e il territorio coniugato a un saldo impegno civile. È autore di numerose pubblicazioni e ha fondato e diretto i periodici "Archivio di studi urbani e regionali" e "Economia urbana" (già "Oltre il Ponte"); dirige inoltre la collana di Studi urbani e regionali edita da FrancoAngeli.

Per Città Bene Comune ha scritto: Si può essere "contro" l'urbanistica? (20 ottobre 2015); Quale urbanistica in epoca neo-liberale (3 febbraio 2017); Pianificazione "antifragile": problema aperto (23 giugno 2017); Una vita da urbanista, tra cultura e politica (24 novembre 2017); Non tutte le colpe sono dell'urbanistica (14 settembre 2018); Che si torni a riflettere sulla rendita (8 febbraio 2019).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

04 OTTOBRE 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019:

D. Demetrio, Per un camminar lento, curioso e pensoso, commento a: G. Nuvolati, Interstizi della città (Moretti&Vitali, 2018)

G. Nuvolati, Scoprire l'inatteso negli interstizi della città, commento a: C. Olmo, Città e democrazia (Donzelli, 2018)

P. C. Palermo, Oltre la soglia dell'urbanistica italiana, commento a: P. Gabellini, Le mutazioni dell'urbanistica (Carocci, 2018)

S. Vicari Haddock, Le periferie non sono più quelle di una volta, commento a: A. Petrillo, La periferia nuova (FrancoAngeli, 2018)

G. Consonni, La rivincita del luogo, commento a: F. Erbani, L'Italia che non ci sta (Einaudi, 2019)

D. Patassini, Urbanistica per la città plurale, commento a: G. Pasqui, La città, i saperi, le pratiche (Donzelli, 2018)

C. Cellamare, Roma tra finzione e realtà, commento a: E. Scandurra, Exit Roma (Castelvecchi, 2019)

P. Briata, Con gli immigrati per capire città e società, commento a: B. Proto, Al mercato con Aida (Carocci, 2018)

S. Viviani, Urbanistica: e ora che fare?, Commento a: P. Gabellini, Le mutazioni dell'urbanistica (Carocci, 2018)

C. Tosco, Il giardino tra cultura, etica ed estetica, commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Padovani, La questione della casa: quali politiche?, commento a: G. Storto, La casa abbandonata (Officina, 2018)

P. Burlando, Strategie per il (premio del) paesaggio, commento a: Paesaggio e trasformazione (FrancoAngeli 2017)

P. Pileri, Suolo: scegliamo di cambiare rotta, Commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli 2019)

A. Petrillo, Oltre il confine, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

L. P. Marescotti, Urbanistica e paesaggio: una visione comune, commento a: J. Nogué, Paesaggio, territorio, società civile (Libria, 2017)

F. Bottini, Idee di città sostenibile, Prefazione a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)

M. Baioni, Urbanistica per la nuova condizione urbana, commento a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)

R. Tadei, Si può comprendere la complessità urbana?, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

C. Saragosa, Aree interne: da problema a risorsa, commento a. E. Borghi, Piccole Italie (Donzelli, 2017)

R. Pavia, Questo parco s'ha da fare, oggi più che mai, commento a: A. Capuano, F. Toppetti, Roma e l'Appia (Quodlibet, 2017)

M. Talia, Salute e equità sono questioni urbanistiche, commento a: R. D'Onofrio, E. Trusiani (a cura di), Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018)

M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)

A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)

P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)

M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)

M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)

P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)

C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)

F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

I post