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L'UNIONE EUROPEA AL TEMPO DELLA CRISI DEL COVID


Dialogo edificante tra un tecnocrate e un eurocrate






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L’UNIONE EUROPEA AL TEMPO DELLA CRISI DEL CORONAVIRUS

Dialogo edificante (ovvero costruttivo) tra un tecnocrate e un eurocrate

Gianfranco Pasquino* e Roberto Santaniello**

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- RS Poco meno di un anno fa è entrata in funzione la Commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen, prima donna ad esercitare questa funzione. La sua nomina è avvenuta dopo le elezioni del Parlamento europeo del giugno 2019, i cui risultati hanno smentito le previsioni di una decisiva avanzata dei partiti populisti e sovranisti.

La nuova governance istituzionale europea è stata completata nel tardo autunno 2019 con la nomina di Charles Michel a presidente del Consiglio europeo e di Christine Lagarde, a presidente della Banca centrale europea. In precedenza, l’italiano David Sassoli è stato eletto Presidente del Parlamento europeo.

Appena il tempo vedere assestarsi la nuova governance e di dare avvio alla nuova agenda strategica dell’Unione europea, e l’Europa è stata investita dalla drammatica crisi del Covid 19. Non c’è che dire: un inizio a dir poco “challenging” per le istituzioni europee. Un po’ come avvenne con la Presidenza del lussemburghese Jean-Claude Junker che ha dovuto confrontarsi nel 2O15 con l’emergenza migratoria, gli effetti della Grande Recessione e da ultimo la Brexit.

Tuttavia, l’attuale crisi è ben diversa da quelle precedenti poiché questa volta l’Unione europea deve confrontarsi non con problemi politici, ma con gli effetti umani, sociali ed economici di un virus sconosciuto e maligno.

Quale è lo stato dell’Unione europea al tempo della crisi del Coronavirus? La risposta istituzionale è giunta il 16 settembre scorso dal discorso “anima e cuore” della Presidente del Parlamento europeo in occasione del suo bilancio sullo Stato dell’Unione.

Una risposta che ha sollecitato tutti i paesi appartenenti all’Unione europea agli impegni di responsabilità e di solidarietà che derivano dal Progetto europeo. Di fronte alle conseguenze economiche e sociali della crisi pandemica, l’Europa – ha ricordato Ursula von den Leyen - deve proseguire con forza gli obiettivi che lei stessa ha individuato all’inizio del suo mandato. In particolare, la piena realizzazione della transizione verde e digitale dell’economia europea.

Con NextGeneratioEU, l’ambizioso programma da 75O miliardi di Euro varato in luglio dal Consiglio europeo (https://www.consilium.europa.eu/media/45118/210720-euco-final-conclusions-it.pdf), su proposta dell’esecutivo europeo, l’Europa si è dotata degli strumenti per conseguire questa transizione. Ancora una volta, l’Unione europea può dimostrare la sua effettiva capacità di trasformare una crisi in una opportunità. Questo è in sostanza il messaggio della Presidente della Commissione europea.

Caro Professore cominciamo da qui la nostra analisi. A lei la parola.

 

- GP Concordo con lei che sta effettivamente diventando possibile trasformare una crisi gravissima e tuttora in corso in un’opportunità. Ma mi e le chiedo quali sono le modalità auspicabili? Solo un uso efficace dei fondi oppure anche la richiesta di maggiore e migliore coesione/condivisione fra gli Stati membri? È opportuno, forse doveroso, essere al tempo stesso attenti alle esigenze poste dagli Stati che si autodefiniscono “frugali” (un giorno, presto, sarà opportuno definire i criteri e i requisiti della frugalità e valutarla, anche comparativamente), obbligandoli a essere molto più precisi nelle loro riserve, e avvisare il gruppo Visegrad, ma soprattutto Ungheria e Polonia. che l’Unione non è né un supermercato né una banca, ma un grande enorme spazio di diritti da proteggere e promuovere, di democrazia da fare funzionare, di civiltà?

 

- RS I “gruppi” di Stati sono una realtà di cui non si può non tenere conto. D’altro canto, le alleanze tra paesi fanno parte del DNA della storia comunitaria, si pensi allo storico asse franco-tedesco. Certo oggi, la moda dei gruppi sembra estendersi e strutturarsi in altri modi.

I paesi “frugali” hanno effettivamente rallentato i negoziati per giungere ad un accordo sul Quadro finanziario pluriannuale (il bilancio dell’UE per i prossimi cinque anni, N.d.R.) e NextgenerationUE. I paesi di “Visegrad”, hanno una visione dell’integrazione europea diversa dal tradizionale mainstream liberal-democratico, ed è spesso “border line” rispetto ai principi e i valori dell’Unione europea.

È per questo che Ursula von der Leyen ha sottolineato l’importanza del rispetto dei principi dello stato di diritto. Il suo messaggio è stato chiarissimo: “Le violazioni dello Stato di diritto non possono essere tollerate. Continuerò̀ a difendere questo principio e a difendere l'integrità̀ delle nostre Istituzioni europee”.

Due settimane dopo il suo discorso, la Commissione europea ha adottato il suo primo rapporto sullo stato di diritto in cui le questioni che lei ha sollevato sono evidenziate. Tenga conto che questa relazione fa parte integrante del nuovo meccanismo per lo Stato di diritto il cui obiettivo è promuoverne il rispetto e prevenire l'insorgere o l'aggravarsi di problemi. Si tratta di uno strumento preventivo per così dire di moral suasion per favorire la comprensione e la consapevolezza dei problemi dello stato di diritto

Ricordo che l’Unione europea ha altri strumenti come le procedure di infrazione e la procedura per proteggere i valori fondanti dell'Unione ai sensi dell'articolo 7 del trattato sull'Unione europea. E visto che lei ha messo in relazione banche e diritto, ricordo la proposta della Commissione europea sulla procedura di condizionalità per la tutela del bilancio che mira a proteggere il bilancio dell'UE in situazioni in cui gli interessi finanziari dell'Unione potrebbero essere a rischio a causa di carenze generalizzate dello Stato di diritto in uno Stato membro. In breve, l’Unione europea ha strumenti persuasivi e cogenti per il rispettare diritto e diritti.

Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, la Presidente ha molto insistito sulla solidarietà, principio assolutamente necessario in materia di politica di migrazione. Un tema che, come è noto, in Italia è particolarmente divisivo. Da studioso, che idee si è fatto sulle recenti proposte della Commissione europea sul Patto per la migrazione?

 

- GP Le proposte della Commissione sulla migrazione sono interessanti, ma ancora non pienamente adeguate. Credo sia opportuno e lecito, non soltanto da parte dell’Italia, chiedere di più in termini di chiarificazione, ad esempio, se il trattato di Dublino è effettivamente superato e come, e in termini di ridistribuzione, criteri più precisi e vincolanti. Molto utilmente, la Commissione dovrebbe affidare ai suoi funzionari una ricognizione approfondita su quanto è successo almeno negli ultimi dieci anni: arrivi e accoglimenti, respingimenti e ritorni, concessione di permessi di lavoro e di cittadinanza, poi lavori affidati ai migranti e stime sul loro contributo al Prodotto Nazionale Lordo dei singoli Stati membri. Ritengo anche che sarebbe importante conoscere quelle che talvolta sono più di semplici previsioni su che cosa l’Unione deve aspettarsi nei prossimi dieci anni: crescita della popolazione, flussi di migranti, da quali paesi e possibili misure preventive. La domanda di fondo è: quali sono le politiche auspicate dalla Commissione, quali le probabilità di una loro attuazione concreta, tempi, costi e, mi auguro, vantaggi?

Sarebbe anche utile e efficace potere disporre dei dati relativi alle votazioni nel Parlamento europeo, gruppo per gruppo, ma anche per le singole delegazioni nazionali (esempio, Lega e Fratelli d’Italia), sulle più importanti tematiche riguardanti le migrazioni. Per fare chiarezza è importantissimo potere disporre del massimo di documentazione esistente. Però, non dobbiamo fermarci qui. A quali altri problemi aperti la Commissione dovrebbe dedicare la sua attenzione o sta già operando senza che venga diffusa l’informazione decisiva per il formarsi di una opinione pubblica europea?

 

- RS So che il tema dell’informazione le sta, giustamente, a cuore. Sono d’accordo con lei che sarebbe utile disporre i dati che lei ricorda sulle votazioni del Parlamento europeo e, aggiungo io, delle posizioni dei ministri degli Stati membri in seno al Consiglio. Ė ancora troppo presto per poterle esaminare poiché la Commissione europea ha messo sul tavolo le sue proposte sulla migrazione solamente da due settimane. Posso dirle che per quanto riguarda il Parlamento europeo, che è una istituzione molto trasparente, questi dati saranno facilmente reperibili. Sarà abbastanza interessante conoscere non solo le differenze tra i partiti appartenenti al fronte populista-sovranista e le famiglie liberal-democratiche, ma anche i posizionamenti nazionali di queste ultime, che sul tema possono essere anche profonde. Per il Consiglio, che solo recentemente ha stabilito misure di trasparenza, potrebbe essere più difficile, anche se sono abbastanza conosciute le rispettive posizioni degli Stati membri.

Più in generale, la Commissione europea, che da sempre è il motore del Progetto europeo, si impegna a far conoscere i suoi progetti più importanti, e tra questi, l’ho già ricordato in precedenza, quelli che possono favorire la transizione verso un’economia europea basata sulle tecnologie verdi e digitali. L’impegno dell’esecutivo di Bruxelles, le assicuro, è forte, ma certo non esiste ancora un vero spazio pubblico di dibattito nel quale affrontare questi temi a livello europeo. Sulla sensibilizzazione al tema dei cambiamenti climatici, bisogna riconoscere che la piccola e cocciuta Greta Thunberg ha fatto molto di più di esperti che da anni sollecitavano una svolta nel trattare meglio il nostro pianeta. Le opinioni pubbliche sembrano più orientate a chiudersi nei recinti nazionali.

È d’accordo sul fatto che il dibattito sull’Europa sembrerebbe chiuso all’interno di vecchi recinti? Come se ne esce? E a proposito di opinione pubblica, quella italiana si sta chiedendo come mai, dopo mesi e mesi di critica all’Europa, la maggior parte delle forze politiche hanno cambiato radicalmente opinione. Su questo lei ha certamente una riflessione.

 

- GP troppo spesso ascolto uomini e donne politiche giustificare i loro insuccessi, quelli delle loro organizzazioni politiche e delle proprie promesse programmatiche sostenendo che buona era la sostanza, ma inadeguata la (loro) comunicazione. Che ad un’ottima sostanza non avevano saputo accompagnare una efficace comunicazione. Per lo più si tratta di giustificazioni dalle gambe molto corte che non riescono mai a proseguire il cammino fino ai luoghi dove la comunicazione viene insegnata e, applicandosi diligentemente, potrebbe essere imparata. Però, nel caso dell’Unione Europea c’è una parte di verità. In una (in)certa misura le istituzioni europee non hanno risolto il problema molto complicato di dovere comunicare ai cittadini di 27 Stati-membri e, pertanto, di sapere differenziare opportunamente i loro messaggi. Forse, ma lei, caro Eurocrate, ne sa sicuramente più di me, dovrebbero essere le sedi dell’Unione nei differenti paesi a fornire le chiavi comunicative da luogo a luogo più efficaci. Forse, il problema dipende dall’assenza del minimo necessario di conoscenze negli operatori nazionali dei mass media i quali, di conseguenza, svolgono malamente il loro compito di intermediari. Non voglio, se non in parte, sostenere che quei “comunicatori” sono parte del problema anche perché si occupano dell’Unione soltanto quando c’è qualcosa di eclatante, preferibilmente, controverso e criticabile, non quando l’Unione fa, anche solo piccoli, passi avanti. Soprattutto, i sub-comunicatori non riescono quasi mai a collocare la notizia nel contesto, non sanno disegnare il retroterra e finiscono per confondere lettori e telespettatori. Dei nuovi “social” so poco, ma, se già non lo fa, l’Unione dovrebbe procedere ad un loro largo uso. Andando più a fondo è imperativo che si proceda ad un insegnamento sistematico della storia, dell’economia, della politica dell’Unione europea, oltre a sfruttare tutte le occasioni in cui la conoscenza dell’Unione Europea potrebbe essere diffusa più estesamente. Mi avventuro nel sostenere che uno dei criteri per accedere allo splendido programma Erasmus dovrebbe essere una eccellente conoscenza dell’Unione da tutti punti di vista.

Esiste una opinione pubblica europea? Probabilmente, no, ma esistono molteplici opinioni pubbliche, settoriali e separate, che si trovano in una pluralità di campi, ma che interagiscono poco e male. Temo di illudermi, ma sono convinto che uno dei più importanti compiti degli europarlamentari dovrebbe essere proprio quello di stimolare l’interesse dei loro elettori orientandoli verso l’acquisizione di conoscenze che sfociano nell’ampio lago dell’opinione pubblica. Vedo gli europarlamentari come immissari di una molteplicità di laghi nel grande paese che si chiama Opinione Pubblica.

Concludo con una nota di pessimismo. Un tempo, in Europa, alcuni grandi intellettuali pubblici di diversi paesi hanno dato un contributo molto positivo a “pensare l’Europa” (è il senso di un libro di Raymond Aron) in tutte le sue sfaccettature. Oggi, ad eccezione, forse, dell’ultranovantenne Jürgen Habermas, non esistono più figure che possano definirsi intellettuali pubblici europei e che siano riconosciuti come tali. In che modo possiamo cercare di agevolarne la (ri)comparsa?

Gli intellettuali pubblici emergono quando, per l’appunto, esiste, forte e intenso, un dibattito pubblico su tematiche importanti. A lungo, in Italia, l’Europa è stata data per scontata. Sembrava, fu, una faccenda riservata ai governi. Ho enormi difficoltà a ricordare un qualsiasi dibattito pubblico avente come argomento l’Europa al quale abbiano partecipato intellettuali italiani di un qualche rilievo. Faccio pochi nomi: Italo Calvino e Umberto Eco? Neppure i miei maestri, Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, si occuparono mai specificamente dell’Unione Europea e della sua evoluzione. Di recente sono stati, anzitutto, gli Euroscettici, poi, i populisti, infine, i sovranisti a porre il problema e a sollecitare analisi, approfondimenti, valutazioni del processo di unificazione politica europea. Tuttavia, non hanno fatto la loro comparsa intellettuali né europeisti né sovranisti di grande statura. Paradossalmente, comunque, vi è stata qualche ricaduta sull’opinione pubblica che è diventata in parte un po’ più informata in parte un po’ più politicizzata sui temi europei. Potremmo affermare che la politicizzazione è benvenuta poiché obbliga all’apprendimento. Almeno per il momento possiamo giungere ad una conclusione interessante. A causa del Covid le istituzioni europee sono state chiamate maggiormente in causa. Hanno reagito, specialmente, la Commissione, con un salto di qualità. Stanno dimostrando che il sovranismo non è la soluzione e, in effetti, i sovranisti non hanno saputo offrire ricette e rimedi. Sono in parte in stallo in parte in declino, seppur limitato, nei rispettivi paesi.

Pensa, lei, caro Eurocrate, che l’Unione Europea abbia “svoltato” e si sia incamminata verso forme maggiori e migliori di sovranità condivisa?

 

- RS Quando lei, caro Tecnocrate, parla di forme maggiori e migliori di sovranità condivisa tocca un tasto molto interessante. La svolta è dietro l’angolo, ma è ancora difficile imboccarla, a causa delle diverse visioni politiche sull’evoluzione politica dell’Europa. Io credo che, oltre ad avere bisogno di più Europa, necessitiamo di un’Europa di qualità. E probabilmente avremmo bisogno che gli intellettuali europei si impegnassero maggiormente nel confrontarsi con questi temi e abbandonassero una certa pigrizia (o disincanto?) che sembra averli impossessati. Abbiamo più che mai bisogno di riflessioni forti per rafforzare culturalmente il Progetto europeo.

Riprendendo il filo del discorso da cui siamo partiti, la crisi del Covid 19 ha rivelato come e quanto l’Unione europea sia importante per i suoi cittadini e come la stessa abbia la capacità di individuare e mettere in campo delle policy solutions, come il lancio del programma NEXTGenerationEU testimonia. Occorre poi aggiungere che il tema a lei caro della sovranità condivisa ripropone la questione, evocata dal Presidente francese Emmanuel Macron, della necessità di giungere ad una vera sovranità europea, che possa per esempio, agire con un’unica voce nelle relazioni politiche esterne.

Come lei mi insegna, e come insegnano illustri politologi con i quali lei ha avuto la grande fortuna di studiare e operare (Bobbio e Sartori), democrazia e sovranità hanno molto a che fare con il “potere” e con il suo esercizio procedurale. E non arrivo a scomodare Dahl e Schumpeter come lei fa nel suo eccellente manuale di Scienza Politica. Ed è innegabile che l’Unione europea abbia molto, molto a che fare con la sovranità e la democrazia. Spesso, quando si affrontano questi argomenti, come è logico che sia, si evoca il concetto di popolo, visto che dal secolo dei Lumi in poi si è affermato il concetto che il potere appartiene al popolo. Non voglio e non posso (non ne ho le capacità…) divulgarmi su questo, e arrivo al punto. Ancor prima di assumere la carica di Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha sposato la proposta di Emmanuel Macron di organizzare una Conferenza sul Futuro dell’Europa per associare i cittadini su scelte che li riguardano direttamente. Purtroppo, la crisi Pandemica ne sta ritardando il lancio, ma tutti si augurano che possa prima o poi, presto, partire.

Caro Tecnocrate, pensa che la Conferenza sul futuro dell’Europa sia una buona idea? Ritiene che possa contribuire alla necessaria svolta che ha evocato e magari mettere le fondamenta per un autentico spazio pubblico europeo, come lo intende il già citato Habermas ?

 

- GP L’Unione Europea è giunta ad una svolta. Il Covid-19 si è effettivamente rivelato come un’opportunità per introdurre cambiamenti e accelerare tendenze. Non sono convinto che questa consapevolezza sia (egualmente) diffusa in tutti gli Stati-membri e fra i loro governanti e gli oppositori (in Italia più in Giorgia Meloni che in Matteo Salvini anche se, poi, nessuno dei due sa quali conseguenze operative trarne). Lo è certamente e provatamente nella Presidente della Commissione e, salvo prove contrarie che non vedo, in tutti i Commissari. In questa fase, l’iniziativa è nelle mani della Commissione e del Consiglio europeo ed è augurabile che il Parlamento europeo, fermo restando lo spazio per la critica e la proposta, la sostenga e la sospinga.

Ritengo che la conferenza sul futuro dell’Europa sia un’ottima idea. Sono convinto da tempo che si debba costruire, come dice giustamente lei sulla scia di Habermas, “un autentico spazio pubblico europeo”. Ho letto nei documenti preparatori della Conferenza (E Testi Approvati) molte proposte assolutamente condivisibili che, se attuate, porterebbero nella direzione giusta. Da una pluralità di agorà locali, variamente costruite, si riuscirà a pervenire all’agorà europea. Però, il procedimento mi appare di una straordinaria complessità. Mi chiedo come lanciarlo e soprattutto come orientarlo. Saranno i vari uffici della Commissione negli Stati-membri ad averne la responsabilità? L’ambizione di coloro che hanno elaborato il documento è enorme. La mia preoccupazione riguarda la quantità di energie necessarie a rendere efficaci e produttive tutte le fasi di consultazione e di decisione. Non è questo il luogo per entrare nei dettagli, ma è un compito al quale non dobbiamo rinunciare. Qui mi limito a affermare che bisognerebbe iniziare con l’approccio che chiamerò “feasibility”, della fattibilità. Proviamo a vedere che cosa si può fare, in che modo, con quali inconvenienti ai quali porre rimedio. Qualche esperimento preliminare mi parrebbe molto raccomandabile. In alcune poche regioni italiane si sono fatti esperimenti di grande interesse applicando le conoscenze in materia di democrazia deliberativa. “Che Europa volete?” è sicuramente una domanda da porre a “pubblici” selezionati, già in parte preparati, ma comunque rappresentativi. La pubblicità data a incontri sul tema, alle discussioni, alle loro conclusioni promette di fare aumentare le conoscenze. Insomma, è la strada giusta. In tempi di Covid si può comunque sperimentare sfruttando al meglio la strumentazione telematica che sarà sempre più al centro di tutte le procedure di diffusione di idee e di informazioni e di molti confronti. L’Unione Europea continua a essere in the making proprio come le democrazie meglio funzionanti. D’accordo?

 

- RS Si sono d’accordo. Pur se spesso considerata “indefinita” e di difficile classificazione, l’Unione europea appartiene di diritto ai sistemi politici democratici. Dunque, non ha né più né meno gli stessi problemi di legittimazione e di rendimento e gli stessi spazi di manovra per il suo miglioramento delle democrazie nazionale che pure a sua volta ha contribuito a modificarsi per tenere conto della dimensione sovranazionale. Si, sono ottimista sulle capacità, del resto già dimostrate in passato, dell’Unione europea di adattarsi ai cambiamenti e nel contempo di sfatare una volta per sempre la maledizione westfaliana – per dirla con le parole di Yves Mény – che vuole recintare la democrazia entro i confini delle nazioni. È innegabile che esiste una democrazia sovranazionale e che ha gli strumenti per proseguire la sua evoluzione.

Bene, lascio a lei un ultimo pensiero, dandoci appuntamento per un nuovo dialogo, magari in occasione dell’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa.

GP Non sono altrettanto sicuro che esista hic et nunc una democrazia sovranazionale. Però, sono convinto che l’Unione Europea ha posto le basi di questa democrazia e, seppur lentamente, ma progressivamente la sta costruendo. Sarà qualcosa di più che una democrazia "sovranazionale" poiché andrà non soltanto “sopra”, ma “oltre” le nazioni. Per conseguire questo obiettivo sono necessarie idee e istituzioni. Ė probabile nonché augurabile che molte idee saranno prodotte dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa, ma anche dagli osservatori competenti e dai critici esterni se, com’è possibile, alcuni intellettuali e “burocrati” vorranno finalmente dedicarsi all’impegnativo compito di combinare la critica con la proposta di soluzioni alternative. Al proposito, è opportuno il rimando al più recente tentativo di “migliorare” l’Unione Europea effettuato da una delle studiose più attente alla democrazia nell’Unione o, come ha preferito definirla, alla legittimità: Vivien A. Schmidt, Europe’s Crisis of Legitimacy. Governing by Rules and Ruling by Numbers in the Eurozone, Oxford University Press, 2020. Ho molte differenze d’opinione con le analisi e le proposte dell’autrice, ma sono proprio le differenze che rendono utile il confronto. Quello che manca nel libro è una riflessione sulle “idee d’Europa”. Mi spingerei fino a dire le “ideologie d’Europa”, con particolare riferimento al carente approfondimento del pensiero federalista, l’unico in grado di opporsi ai brandelli di “sovranismo” agitati dalla destra, ma anche da una malintendente sinistra che, dimenticandosi delle sue radici internazionaliste, si dichiara preoccupatissima dalla erosione della sovranità popolare a scapito della democrazia.

Quanto alle istituzioni, regole e procedure, è oramai opinione diffusa e condivisa, dai rimanenti sostenitori e dagli oppositori, che è essenziale eliminare nel Consiglio il voto all’unanimità che, da un lato, è antidemocratico poiché offre un enorme potere di ricatto ad uno contro tutti, dall’altro, obbliga a compromessi, scambi deteriori, azioni opache che producono pessime conseguenze sia nei rapporti fra capi di governo sia sui processi decisionali.

In conclusione, il punto più importante che vorrei sottolineare è che qualsiasi riforma istituzionale dell’UE/nell’UE europea deve essere “sistemica”, vale a dire, coinvolgere Parlamento, Commissione, Consiglio e Banca Europea. La democrazia cresce e migliora quando fra le sue istituzioni si affermano e funzionano equilibri, pur sempre mutevoli, confronti e scontri. La democrazia dell’Unione e nell’Unione deve sapere accogliere quegli Stati, a cominciare dai Balcani, che si preparano ad aderirvi purché promettano credibilmente di rispettare i principi democratici e fare crescere le loro stesse democrazie. Fin da adesso, predisponiamoci a monitorare puntualmente quanto sarà proposto e verrà formulato durante la conferenza. Ė un compito impegnativo, ma necessario e utile. Il discorso sulla democrazia non finisce qui.

 

 

 

LE CREDENZIALI DEI DIALOGANTI

Gianfranco Pasquino* è un europeo nato nei pressi di Torino. Ha conosciuto Altiero Spinelli e ha davvero letto Il Manifesto di Ventotene. Parla alcune lingue europee, francese e spagnolo, e una lingua extra-europea, l’inglese. Ė Professore Emerito di Scienza politica, materia che gli ha consentito di essere invitato a Monaco di Baviera e Berlino, Oxford, Cambridge e Manchester, Parigi. Lisbona e Madrid. Ha variamente scritto di sistemi politici comparati e di Europa: Capire l’Europa (1999) e L’Europa in trenta lezioni (2007). Di recente è stato co-curatore di una ricerca approfondita e ambiziosa: Europa. Un’utopia in costruzione (2017), contribuendovi due densi capitoli. Ė convinto che l’unità dell’Europa è un obiettivo nobilissimo.

Roberto Santaniello**, romano di nascita, federalista per convinzione, è diventato civil servant europeo dal 1986 per convinzione e passione, incontrando sulla sua strada persone che dell’Europa hanno fatto una ragione di vita (Altiero Spinelli e Virgilio Dastoli). Mai pentito di questa scelta ideologica e professionale. Funzionario della Commissione europea, oggi presso la Rappresentanza in Italia, da sempre artigiano della comunicazione e dell’informazione sul l’Europa, autore a tempo perso di libri sulla storia e la politica della costruzione comunitaria. Eccone una selezione: Storia politica dell’integrazione europea con Bino Olivi; Prospettiva Europa, con Virgilio Dastoli e Alberto Majocchi; C’eravamo tanto amati, Italia Europa e, con Virgilio Dastoli, Capire l’Unione europea. Pensa che sia possibile fare ancora molta strada europea, dentro e fuori le istituzioni.

 

Leggi anche il Numero Speciale di viaBorgogna3 2019
Gianfranco Pasquino e Roberto Santaniello
DIALOGO SUL FUTURO DELL’EUROPA
Un tecnocrate e un burocrate a confronto


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06 NOVEMBRE 2020

 

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