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LA DIFFICILE RELAZIONE TRA TECNICA E CULTURA


Nella Scuola secondaria superiore






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La centralità assegnata in pressoché quasi tutti i discorsi dedicati alla riforma della scuola alle discipline STEM (acronimo per Science Technology Engineering Mathematical), ritenute indispensabili per potenziare la preparazione degli studenti nell’area tecnico-scientifica, rende paradossalmente problematica proprio la corretta comprensione di cosa debba intendersi per sapere scientifico, e di quale sia la sua collocazione nella più ampia produzione culturale. Già l’analisi dell’acronimo che, discostandosi dalle consuete classificazioni delle scienze, relega la matematica all’ultimo posto (anche se immaginiamo che ciò sia stato pensato più per ragioni di eufonia che per scelta concettuale), fa immediatamente intendere come il sapere scientifico, secondo la filosofia STEM, debba, all’interno della comunicazione didattica, risolversi prevalentemente nella sua applicazione tecnologica; e che l’aspetto teorico vada ridotto per lo più a ciò che risulta indispensabile proprio in vista di questa attività applicativa. Il privilegiare l’aspetto tecnologico è in linea con l’idea -esplicitamente dichiarata ormai da diversi decenni in vari documenti ministeriali e presente in misura più accentuata nella parte del PNRR dedicata all’istruzione- che la scuola dovrebbe trasmettere unicamente quel sapere funzionale al raggiungimento delle competenze indispensabili per essere cooptati nell’attuale mercato del lavoro; ponendo in posizione decisamente più subordinata -ma nel linguaggio pedagogistico si usa a volte anche l’espressione “servente”- le discipline che esprimono un sapere “disinteressato”.

In queste righe vorremmo proporre una valutazione su come il concetto di “tecnica” risulti svilito proprio dall’impostazione stessa dei percorsi STEM. L’educazione tecnica non rappresenta affatto un indirizzo di studi di minore prestigio per una solida formazione culturale; così però sembrano immaginarlo sia la recente riforma degli Istituti tecnico-professionali, sia il faraonico progetto che sta impegnando in questi mesi tutte le scuole italiane Futura, la Scuola 4.0. Una scelta che prosegue sulla scia del più generale percorso di de-culturizzazione che sta interessando la scuola in Italia, da noi denunciato più volte anche su questo portale.

 

La cessione al mercato degli istituti tecnico-professionali

Come è noto, la questione della tecnica investe in modo dialettico il dibattito filosofico novecentesco; un indirizzo scolastico che voglia valorizzare il percorso tecnico, non può però che scommettere sul valore emancipativo della cultura tecnologica, e prendere le distanze da quell’interpretazione destinale, per cui la tecnica sarebbe responsabile di una condizione di pressoché irreversibile asservimento del soggetto al dispositivo da lui stesso creato. L’«oggetto tecnico» -come afferma Fabio Minazzi- «costituisce un punto creativo, di mediazione, decisivo, tra il mondo della natura -intessuto di leggi “sorde ed ineludibili”, ovvero “universali e necessarie”- e il mondo umano del pensiero, della libertà, della creatività e della fantasia. Questi due mondi sono fra loro antitetici, mentre l’oggetto tecnico -per sua intrinseca natura- costituisce proprio un decisivo e strategico “anello di congiunzione” tra il mondo della necessità (quello del mondo naturale) e il mondo della libertà (quello del pensiero). Infatti qual è la funzione precipua di un oggetto tecnico? É proprio quella di conseguire un determinato fine rispettando, con rigore, le leggi naturali.»[i] Una scuola ad indirizzo tecnico-professionale dovrebbe allora essere capace di far cogliere il fondamento culturale della stessa tecnologia, che invera e conferma una determinata ipotesi teorica, giustificando il legame tra libertà e necessità. Di conseguenza, il soggetto che si impossessa di tale sapere deve diventare cosciente di non essere un semplice operatore, ma di agire egli stesso nel mondo del pensiero; di svolgere parimenti un’azione pratica e intellettuale che dà un senso non solo pratico, ma anche axiologico, al proprio fare. Se ciò avvenisse, il dominio del dispositivo sul soggetto sarebbe molto più problematico; la tecnica, per quanto capace di velocità e operatività inconcepibili allo sforzo umano, rimarrebbe relegata a una funzione strumentale rispetto a un intelletto che la guida per raggiungere obiettivi legati all’interesse collettivo, al miglioramento delle condizioni lavorative e quindi alla socialità. Paradossalmente, invece, il sapere tecnico, per come sembra concepito nella nuova riforma degli indirizzi tecnico-professionali, appare proprio nella sua forma più alienante, in grado di mettere in discussione la libera decisionalità del soggetto.

Non ci soffermiamo in questa sede sulle modalità, comunque particolarmente evasive, con cui questa epocale riforma è stata approvata, quasi in sordina; problematica che abbiamo affrontato in altra sede. Ci interessa invece motivare l’assunto implicito in questo nuovo percorso d’istruzione, per giustificare la nostra affermazione che in esso la tecnica viene concepita nella sua dimensione prevaricante rispetto al soggetto. La finalità di questo indirizzo di studi viene intesa infatti in termini esclusivamente economicistici[ii] (favorire la futura occupabilità degli studenti); a questo scopo, l’orizzonte di conoscenze previsto risulta estremamente limitato, e tutto piegato alla dimensione della laboratorialità. Si stabilisce così un vincolo decisivo tra l’indirizzo di studio e le realtà produttive presenti nel territorio (che non è detto peraltro ci restino per sempre), impostando il percorso didattico su pratiche che potrebbero conoscere una veloce obsolescenza. I contenuti didattici necessari al raggiungimento di tale obiettivo dovranno essere calibrati sulle esigenze del territorio in cui la scuola si colloca, e indicati dunque ai docenti da personalità ritenute di maggiore competenza (figure imprenditoriali, tecnici, professionisti). Muta così in modo decisivo la governance della scuola, affidata in ruoli decisivi ad attori esterni, riducendo sempre di più la figura del docente all’auspicato -da molti documenti ministeriali- «operatore» o «facilitatore».

In virtù di tale impostazione, le diverse discipline dovranno limitarsi a individuare il loro contributo sulla base di una coerenza contenutistica e, soprattutto, metodologica. I curricoli di area umanistica nell’ambito degli indirizzi di studi tecnico-professionali erano stati concepiti con tutt’altro scopo: offrire un quadro culturale che permettesse allo studente di formulare un giudizio articolato sul mondo lavorativo, comprensivo anche delle problematiche giuridico-sociali e persino etiche che esso presenta. Invece, in questo modo, esse sono chiamate ad assolvere una funzione di giustificazione ideologica del mondo dell’impresa, piuttosto che guidare le intelligenze verso una comprensione critica dei conflitti che percorrono la società contemporanea e che investono in particolar modo l’ambito del lavoro.

Non è un caso che, nel Decreto, si imponga la contestata didattica per competenze, di fatto assunta quale didattica di Stato. Coerente con essa è infatti la finalizzazione puramente pratica del sapere e della cultura, la neutralizzazione delle capacità critiche ridotte al problem solving, la rinuncia a offrire una prospettiva olistica -e quindi critica- verso la realtà.

 

Non solo gli istituti tecnico-professionali

Se si prendono in considerazione le azioni previste dal PNRR nei confronti della scuola, è facile cogliere il proposito di estendere a tutti gli indirizzi scolastici i medesimi principi con cui sono stati riformati gli istituti tecnico-professionali. La politica di ingenti investimenti destinata, in base al progetto Scuola Futura 4.0, a rinnovare gli spazi d’apprendimento delle scuole italiane per migliorarne la strumentazione didattica (intento di per sé lodevole), si prefigge ben altri scopi, andando oltre -come è stato notato- l’ambito di competenze che il PNRR dovrebbe avere. Esso si propone di condizionare direttamente la metodologia didattica, in base alla convinzione, che abbiamo sottoposto a critica anche su questo portale, che l’utilizzo della tecnologia informatica obblighi -senza che questo legame necessario venga in realtà corroborato da alcuna evidenza scientifica- ad utilizzare metodologie didattiche alternative, incentrate guarda caso sul paradigma delle competenze. Con grave danno peraltro delle stesse discipline scientifiche che, sotto il pretesto dell’approccio STEM, si riducono nella quasi esclusività a pratiche laboratoriali, senza che il nesso teoria-esperimento, tecnica e pensiero, possa essere adeguatamente compreso da chi le studia. Un sapere scientifico inteso quale attività predeterminata e guidata, priva di spessore critico e incapace di generare una riflessione epistemologica. Per un’analisi più attenta all’intero provvedimento rimandiamo a un’altra trattazione più articolata; ci limitiamo in queste righe a ribadire il carattere alienato che assume il sapere tecnico alla luce delle trasformazioni che il PNRR imporrà alla scuola, e la regressione culturale, sociale e civile che questo potrebbe generare, distaccando ancora di più le tematiche del lavoro e del sapere scientifico dal contesto sociale e civile.

Che la finalità prima di questa innovazione sia di carattere eminentemente economicistico risulta evidente da quanto riportato nel documento del MIUR di presentazione del progetto Futura 4.0: «È necessario che la progettazione didattica, disciplinare e interdisciplinare, adotti il cambiamento progressivo del processo di insegnamento e declini la pluralità delle pedagogie innovative (ad esempio, apprendimento ibrido, pensiero computazionale, apprendimento esperienziale, insegnamento delle multiliteracies e debate, gamification, etc.), lungo tutto il corso dell’anno scolastico, trasformando la classe in un ecosistema di interazione, condivisione, cooperazione, capace di integrare l’utilizzo proattivo delle tecnologie per il miglioramento dell’efficacia didattica e dei risultati di apprendimento.» In linea tutto ciò con quanto riportato dal D.M. 14 giugno 2022 n. 161, il tutto è finalizzato: «per la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore delle nuove professioni digitali (come l’intelligenza artificiale, la robotica, la cybersecurity, ecc….)”; e il concetto è poi ribadito nell’allegato al decreto: “Le competenze digitali di base per tutti i cittadini e l’opportunità di acquisire nuove competenze digitali specialistiche per la forza lavoro sono un prerequisito per partecipare attivamente al decennio digitale. Le competenze digitali avanzate, fornite dalla formazione e dall’istruzione in campo digitale, dovrebbero sostenere la forza lavoro, consentendo alle persone di acquisire competenze digitali specialistiche con l’obiettivo di ottenere posti di lavoro di qualità».

Come è stato giustamente notato in ambito giuridico, questa priorità, che diventa però esclusività, colloca l’idea di scuola prevista dal PNRR al di fuori dello stesso testo costituzionale. Lo ha notato in un importante contributo Giuliano Scarselli (Università di Pisa): «Ciò lo si ricava non solo dall’art. 34 Cost., in base al quale “La scuola è aperta a tutti» ; il concetto è poi ribadito per tutti i gradi di insegnamento: art. 99: “La scuola materna statale si propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile”; art. 118: “La scuola elementare, nell'ambito dell'istruzione obbligatoria, concorre alla formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali”.; art. 161: “La scuola media concorre a promuovere la formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione”; infine l’art. 197: “L'esame di maturità ha come fine la valutazione globale della personalità del candidato, considerata con riguardo anche ai suoi orientamenti”».

Per quanto riguarda la difesa della libertà d’insegnamento, il PNRR muta drasticamente, come abbiamo già notato altre volte, la funzione docente e ne disconosce la preparazione professionale. Sempre nel progetto Futura 4.0 si legge: «I docenti come professionisti creativi del processo di apprendimento possono favorire la motivazione e l’impegno attivo delle studentesse e degli studenti, utilizzando modelli educativi progettati a misura della loro inclinazione naturale verso il gioco, la creatività, la collaborazione e la ricerca.» Anche in questo caso le osservazioni di Scarselli risultano illuminanti: «[...] possiamo dire che il diritto alla libertà d’insegnamento e il diritto dei ragazzi a ricevere una educazione culturale ed umana che consenta loro di essere un domani cittadini liberi e dignitosi di una società democratica e pluralista, sono i principi cardini costituzionali in materia di scuola. [...] Gli insegnanti, intanto, sono sostanzialmente obbligati a condividere questo piano, a ritenere sia la cosa migliore per la scuola del futuro. [...] Dunque, l’istituzione scolastica non ha più il potere/dovere di autodeterminarsi, e sembra del tutto superato lo stesso art. 7 del d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297 in base al quale spetta al collegio dei docenti il “potere deliberante in materia di funzionamento didattico” e di curare la “programmazione dell'azione educativa”. [...] Qui l’istituzione scolastica si trasformerà in mera esecutrice del format del PNRR, ed è tenuta semplicemente ad adottare il documento della Strategia Scuola 4.0, e ad attenersi al quadro di riferimento Dig.Comp 2.2. [...] non vediamo come si possa negare che il Piano Scuola 4.0. si ponga in contrasto con l’art. 33 Cost., e poi con gli artt. 1 e 7 del d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297, e ancora con l’art. 1 del DPR 8 marzo 1999 n. 275, visto che la libertà di insegnamento comprende al suo seno l’autonomia didattica, ovvero la libertà del docente di determinare le modalità dell’insegnamento».

 

Insomma, ce n’è abbastanza per comprendere come questa ulteriore torsione cui saranno costrette le scuole italiane prosegua nel proprio intento anticulturale. Ma una difesa della scuola della Costituzione, che non può essere ridotta a pura protesi del processo di valorizzazione, passa anche da una difesa della dignità culturale degli indirizzi tecnico-professionali. Da una parte è necessario contestare l’idea che la cultura umanistica rappresenti un ambito di sapere che abita una dimensione di pura astrazione e sia poco utile per affrontare con la giusta determinazione il proprio futuro professionale; dall’altra ribadire il binomio inscindibile tra teoria e pratica nelle stesse discipline scientifiche, che non possono essere ridotte alla sola laboratorialità. Avanzare queste argomentazione è forse il modo più efficace per svelare la debolezza teorica (gravida però di pesanti conseguenze per le future generazioni) che si cela dietro le entusiastiche ma ingenue espressioni di questo progetto[iii].

 

 



[i] F.Minazzi, I modelli ideali e il problema del metodo scientifico, in Id., Epistemologia storico-evolutiva e neo-realismo logico, Olschki, Firenze 2021, pp.194-195.

[ii] La giustificazione addotta per favorire un immediato consenso a tale riforma, fa riferimento al mitico missmatching, cioè alle presunte numerose offerte di lavoro da parte delle aziende, destinate a non venire impiegate per mancanza di personale preparato e disponibile, in quanto non formato ad hoc dalle scuole. Anche sul carattere debole di tale motivazione, che può essere realtà solo per alcuni territori specifici e per particolari settori, poco significativi dal punto di vista numerico, ne abbiamo discusso altrove.

[iii] Esula dall’oggetto del presente intervento un’analisi sulla lingua con cui sono scritti i documenti ministeriali, numerosi, dedicati a tale progetto. Merita di essere ricordata la severa presa di posizione in proposito dell’Accademia della Crusca, nonché un criterio di valutazione sulle competenze digitali che a qualcuno (Susanna Tamaro sul “Corriere della Sera”) ha ricordato il Manuale delle Giovani marmotte: «Il quadro DigCompEdu prevede per ogni area 6 livelli di padronanza delle competenze digitali: A1 Novizio; A2 Esploratore; B1 Sperimentatore; B2 Esperto; C1 Leader; C2 Pioniere.»

 


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21 APRILE 2023