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LE FIACCOLE DI PROMETEO


Circoli politico-culturali e centro-sinistra a Milano (1957-1969)






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"Milano è una città di amici che non si incontrano, che si amano attraverso lo studio e l'operosità"(Franco Loi)

 

 

Una questione di "sociabilità": donne, giovani, periferie

Nella Milano del dopoguerra i circoli politico-culturali (questo saggio si occupa, nello specifico, dei circoli di sinistra, ma analoghe considerazioni possono essere fatte per quelli del mondo cattolico, dal Perini al Puecher alla Corsia dei Servi[1]) hanno rappresentato non solo un fattore di democratizzazione (non è un caso che la prima sede della Casa della Cultura, dal 1946 al 1948, sia stato il palazzo di via Filodrammatici 5 dove precedentemente si trovava il "clubino dei nobili"), ma anche di accrescimento culturale,[2] nel passaggio, non indolore, dai "proletari in osteria" a nuove forme di associazionismo[3] e, in particolar modo, nel rapporto tra la sinistra e le donne, i giovani,[4] le periferie.

In generale (sia pur con tutte le cautele legate al caso italiano), si può concordare sul fatto che "le forme della modernità sociale sono le stesse della modernità politica [...]. Il teorema dalla sociabilità è costruito anche su una <>".[1] Parallelamente a quanto sta avvenendo nella società italiana, alla sua secolarizzazione e alla rivoluzione dei costumi, assistiamo infatti ad una forte presenza femminile nei circoli della sinistra milanese. Dopo Giovanni Ferro, i dirigenti e i principali collaboratori della Casa della Cultura saranno a lungo donne:[2] Vittoria Giunti (che un rapporto del Questore di Milano, Agnesina, datato 13 luglio 1949, definisce "comunista di salda fede, organizzatrice e anima della Casa"[3]), Clelia Abate, Eva Pelanti, Lydia Guarnaschelli, Rossana Rossanda, Laura Conti[4] (e, dopo di loro, Maria Luisa Sangiorgio e Daniela Benelli); al Club Turati un ruolo fondamentale fu assunto da Armanda Giambrocono Guiducci (anche lei, come la Abate e la Rossanda, allieva di Antonio Banfi, che dal 1932 insegnava nell'ateneo milanese[5]).

Gli anni '50 sono anche caratterizzati dalla crescente inquietudine del mondo giovanile,[6] legata ai mutamenti economici e sociali introdotti dal miracolo economico:[7] un'inquietudine destinata a trovare espressione politica nei fatti del luglio 1960 e, a Milano, nella manifestazione degli elettromeccanici del 1° dicembre 1960, cui parteciparono anche delegazioni studentesche,[1] anticpando il successivo, lungo fenomeno della contestazione giovanile.

Già nell'ottobre 1957 una circolare della sezione organizzazione della federazione milanese del PCI, allegata ad un rapporto dell'Ufficio affari riservati del Ministero dell'Interno, sottolineava che in diversi circoli di città e provincia si stanno sviluppando interessanti conferenze sui giovani;[2] molti di essi traggono [sic] essenziali questioni di carattere organizzativo, e questioni vive delle giovani generazioni [...] Questi orientamenti, in generale, continuano a svilupparsi in modo a noi favorevole e ne sono dimostrazione e il diffuso malcontento dei giovani verso gli attuali governanti e la loro politica, e gli elementi di crisi che travagliano un po' tutti i movimenti giovanili, in particolare quello cattolico. Se da questa situazione estremamente interessante e a noi favorevole non siamo riusciti ad ottenere quei successi che sarebbero stati possibili, le cause sono da ricercarsi essenzialmente nella nostra inadeguata azione politica, in lacune e lentezze che ancora permangono nella nostra azione di difesa della gioventù operaia e in cerca di prima occupazione, nel fatto che la nostra azione di agitazione e propaganda politica è ancora scontinua [sic] e in troppi casi del tutto insufficiente[1]

È anche in questo senso che, per i partiti della sinistra, si pone il problema del rapporto tra vecchi circoli cooperativi,[2] sezioni di partito e nuovi circoli culturali (e, in generale della politica culturale), questione che comincia a sentirsi fortemente proprio all'inizio degli anni '60, soprattutto in quelle grandi città, come Milano, dove il boom economico[3] e la migrazione di massa stavano creando vistosi problemi di urbanizzazione e di qualità della vita nelle periferie.[4]

Tanto più che, come segnalava un rapporto della Prefettura del 3 dicembre 1960, a commento del voti delle recenti elezioni amministrative.

Quanto all'aumento dei voti comunisti e socialisti verificatosi anche in questa provincia rispetto alle elezioni del 1956 e del 1958, sebbene in disuguale percentuale, esso si ritiene attribuibile, come già segnalato, quali cause locali, al continuo notevole afflusso degli immigrati nel dopoguerra ed al disagio del loro ambientamento, facile oggetto della propaganda delle sinistre, nonché, limitatamente al capoluogo, allo spostamento di cittadini per un nuovo assetto urbanistico dal centro verso la periferia, che è più sensibile a detta propaganda; come movente generale, poi, ad una tendenza sempre più avvertita da parte delle nuove leve degli elettori verso posizioni ideologiche più decise[5]

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note

1)Come ha testimoniato Padre Camillo De Piaz "ciò che univa questi centri di cultura, pur nella diversità dei richiami ideologici e delle finalità operative, era la comune matrice resistenziale, alla quale intendevamo restare fedeli anche quando, ad esempio, ciò per noi voleva dire non avere vita facile con le gerarchie ecclesiastiche" (cfr. Giuseppe Gozzini, Sulla frontiera. Camillo De Piaz, la Resistenza, il Concilio e oltre, Scheiwiller, Milano, 2006, p. 89)

2)In un'epoca in cui gli enti locali dedicavano una minima parte dei propri bilanci alle spese per la cultura: cfr. la relazione di Fulvio Papi sui "Problemi di politica culturale negli enti locali", tenuta al 1° convegno provinciale degli amministratori socialisti, svoltosi a Milano il 1° dicembre 1962 (ora in Fondazione ISEC Sesto San Giovanni, Carte Libero Cavalli, b. 11, f. 50) e la testimonianza di Ciro Fontana, L'attività culturale del Comune, in Gianfranco Petrillo-Adolfo Scalpelli (a cura di), Milano anni Cinquanta, Franco Angeli, Milano, 1986, pp. 878-893

3)Alla metà degli anni '50, nel giro di pochi mesi, cesseranno le loro attività (solo parzialmente trasferite all'interno dell'ARCI, fondata nel maggio 1957 in accordo tra PSI e PCI) organismi storicamente legati alla sinistra come il Teatro di massa, la Cooperativa del libro popolare, gli Amici del cinema

4)Sulla "rottura generazionale" degli anni '50 cfr. Paolo Sorcinelli, Dalla "via Gluck" al "miracolo economico": uno sguardo sull'Italia che cambia, in Antonio Cardini (a cura di), Il miracolo economico italiano (1958-1963), il Mulino, Bologna, 2006, p. 193

5)Maria Malatesta, La democrazia al circolo, introduzione a Maurice Agulhon, Il salotto, il circolo e il caffé. I luoghi della sociabilità nella Francia borghese (1810-1848), Donzelli, Roma, 1993, p. XI. Ovviamente, la "mutazione di genere" di cui parliamo va in un senso opposto a quello descritto da Agulhon per la Francia dell'800 in cui, dal salotto al circolo, le donne borghesi si ritrovano sempre in casa, ma sottratte agli scambi sociali (ibidem, pp. 76-77). Più in generale, sulla questione della "sociabilità" nell'Italia tra fine '800 e inizio '900 cfr. Proletari in osteria, n° speciale di "Movimento operaio e socialista", 1985; Sociabilité/sociabilità nella storiografia dell'Italia dell'Ottocento, in "Dimensioni e problemi della ricerca storica", n. 1/1992

 


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12 APRILE 2016

 

 

 

Testo tratto dal libro

Milano. Anni Sessanta. Dagli esordi del centro-sinistra alla contestazione, a cura di Carlo G. Lacaita e Maurizio Punzo, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2008