Giacomo Giossi  
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DEL TERRORISMO COME UNA DELLE BELLE ARTI


Intervista a Mario Perniola



Giacomo Giossi


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Scrivere letteratura non può essere banalmente abbinato ad un seppur raffinato gusto per la vanità, quanto alla necessità o più precisamente ancora al bisogno di una ricerca ostinata della centralità che oggi il dibattito pubblico sembra aver smarrito ormai inabissatosi in quel labile e scivoloso gioco obbligato della superficie. Si direbbe allora che solo il residuale, l'abbandonato, l'icastica struttura inutile del tempo passato, ma proprio per questo perenne nei suoi resti, possano rimanere quali elementi di elaborazione di un pensiero, di una relazione.

Mario Perniola con Del terrorismo come una delle belle arti (Mimesis, Milano 2016) compie un doppio passo che sta come indicato in quarta di copertina tra il serio e il faceto. Riporta alla luce un testo inabissatosi e rifà dell'esordio una forma di presenza, un gesto irrituale che risalendo dal passato contribuisce a farsi contemporaneo.

Un libro svolazzante e vibrante la cui lettura è un obliquo peregrinare tra stagioni e ombre, come un faro acceso che nella notte non si limiti ad illuminare ciò che resta, ma che sappia dare forma a ciò che potrebbe essere, all'immaginazione del reale. Abbiamo incontrato Mario Perniola a cui abbiamo affidato alcune domande sul presente e lo stato della cultura in Italia e nelle sue prossimità

 

Cosa è per lei la passione letteraria?

Penso che l'importanza assunta dalla letteratura nella storia dell'Occidente derivi dai poemi omerici e dalle circostanze straordinarie che hanno fatto dei poemi omerici il fondamento della civiltà greca. Essi sono nati in un'epoca caratterizzata dall'assenza di una casta religiosa, custode di una ortodossia dottrinaria e della strema debolezza di un potere politico forte e organizzato su vasta scala. Si tratta di circostanze non solo rare, ma pressoché uniche nella storia dell'umanità. Infatti moltissimi popoli hanno avuto una mitologia, ma solo presso i Greci sono stati gli aedi e i poeti "a fissare una teogonia, a dare agli dei i loro epiteti, distribuendo onori e attributi, nonché a descriverne l'aspetto" (Erodoto, II, 53). Essi si presentavano come i portatori di un sapere impersonale che era loro trasmesso dalla Musa, alla quale non potevano opporsi, pena l'essere privati dalla facoltà del canto: pur nell'ambito di questa autonomia limitata rispetto alla tradizione e forse rispetto al loro uditorio, essi non dovevano rendere conto a nessuna autorità religiosa del contenuto dei loro poemi, perché erano essi stessi gli unici depositari legittimati della mitologia. Questa infatti si presentava non come una dottrina che sollecitava un'adesione soggettiva, ma come un insieme di racconti autorevoli, irriducibili all'alternativa tra vero e falso. Il fatto che alle origini della civiltà occidentale la religione sia indistinguibile dalla cultura poetica costituisce un evento di enorme importanza per l'estetica e un potente antidoto contro ogni forma di fanatismo e di fondamentalismo.

La seconda circostanza eccezionalmente favorevole al sorgere di un orizzonte estetico è costituita dalla mancanza nella Grecia omerica di un potere politico centralizzato paragonabile agli imperi orientali e perfino di una organizzazione federale stabile di città e di villaggi. Tutte le istituzioni politiche di quest'epoca avevano un carattere fluido e flessibile. I cosiddetti re greci non sono a capo di veri e propri stati, ma di entità socio-politiche sovrapposte e la regalità non è affatto sinonimo di monarchia. Le decisioni sono normalmente precedute dalla convocazione di assemblee o di consigli. Anche dal punto di vista socio-economico, la condizione dei notabili non è molto lontana da quella dei sottoposti. Questa debolezza del potere politico rappresenta, non meno dell'assenza di una casta sacerdotale, un evento decisivo per l'estetica, perché separa fin dall'inizio la nozione di eccellenza da quella di supremazia sociale. Infatti l'aristocrazia in Grecia non è tanto una classe o un sistema di governo, quanto un principio regolatore, un'idea che presiede alla domanda quale sia il miglior tipo di regime, da scegliersi tra la monarchia, l'oligarchia e la democrazia. I valori sono sempre espressi in termini aristocratici e - cosa di enorme rilievo - è l'aedo (non il capo politico) il giudice dell'eccellenza, colui che decide la reputazione e la trasmette ai posteri. La massima aspirazione di un capo dell'età omerica è quella di diventare celebrato nei canti dei poeti. Il peggio che gli possa succedere è che non si dica nulla di lui. Fin dall'inizio in Occidente la poesia assume un ruolo di assoluta preminenza nei confronti della politica. In altre parole, la letteratura a quell'epoca era un potere più grande della religione e della politica. Questo spiega tra l'altro perché perfino Cesare ed Augusto scrivessero opere letterarie. Nelle cento pagine centrali del romanzo di Hermann Broch, La morte di Virgilio (1945) il confronto tra la letteratura e la politica è illustrato in tutti i suoi drammatici aspetti. Tutto questo spiega le origini della cosiddetta "passione letteraria": essere più forti della politica e della religione.

 

Storiette è un esordio o un ritorno?

Io provengo dalla letteratura, più precisamente dall'ermetismo. Poi sono passato al romanzo, ma mi è sembrato che con L'innominabile di Beckett, non fosse più possibile scrivere romanzi. Thomas Bernhard è ancor andato più in là. Nel 1968 ho pubblicato un piccolo romanzo, Tiresia, che avevo scritto qualche anno prima. L'unico ad accorgersene fu Enzo Siciliano. Di questo libro per più di cinquant'anni mi sono completamente dimenticato, o più precisamente l'ho rimosso. L'anno scorso una casa editrice argentina mi ha chiesto di tradurlo e pubblicarlo in spagnolo. Sono stato perciò costretto a rileggerlo e ho avuto l'impressione che a quelle epoca avevo una scrittura letteraria (ispirata da Lautréamont, Henry Miller e altri). Successivamente, tanti anni di saggistica di filosofia e di scienze umane, di giornalismo, di lezioni universitarie e di convegni me l'hanno fatta perdere. Spero di ripubblicarlo in italiano con un'appendice che in due parole, molto deleuziane, dice l'essenziale: DIVENIRE DONNA.

In che rapporto stanno Terrore e Ironia?

Probabilmente questi non sono i concetti più precisi per caratterizzare il libro Del terrorismo come una delle belle arti; mi riconosco più nella tendenza a pensare le cose nei loro esiti estremi (ma questa è una caratteristica della filosofia in generale), e in un specie di distacco emozionale nei confronti della vita, che ha origini nel pensiero degli antichi filosofi Stoici e nel Buddismo.

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04 SETTEMBRE 2016

 

 

 

 

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