Piero Graglia  
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L'ESILIO DI PUIDGEMONT


Come è triste Bruxelles, appena un giorno dopo…



Piero Graglia


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Torna o non torna? E se non torna, cosa sta facendo a Bruxelles e perché? E perché un uomo politico che ha messo in subbuglio tutto il panorama politico spagnolo ed europeo ha scelto, il giorno dopo la sua destituzione, di andarsene a Bruxelles?

La risposta è immediata: voleva attirare l'attenzione europea sulla situazione catalana, e ha scelto Bruxelles perché è sede della Commissione e del Parlamento europeo, nonché del Consiglio dell'Unione europea (il Consiglio dei Ministri). Sorge il dubbio se tale attenzione non fosse già stata attivata con tutto il movimento e il rumore che la richiesta catalana di indipendenza aveva fatto nei mesi precedenti, soprattutto a causa della secca risposta muscolare che Madrid aveva dato alle richieste del governo catalano e alle proteste di piazza.

Una risposta naturale e prevedibile del resto; se ci spostiamo geograficamente a est, possiamo fare un piccolo gioco di società e usare uno scenario reale del tutto diverso: anno 1994, l'anno della vittoria di Berlusconi alle elezioni politiche. Nella coalizione che vince le elezioni, il Polo delle Libertà/Polo del Buon governo, si trova la Lega Nord per l'indipendenza della Padania, con un programma apertamente indipendentista e separatista. Sempre per ipotesi, immaginiamo che la Lega Nord avesse dato concreto seguito alle sue posizioni politiche pubbliche, rivendicando per il nord Italia una sorta di indipendenza e di distacco dal resto della penisola, con la rottura del patto costituzionale nato dall'Assemblea Costituente eletta nel 1946. Qualcuno dubita che le istituzioni dello Stato - pur indebolite dagli scossoni susseguitisi dal 1992 in poi - non avrebbero fatto ricorso all'uso della forza per ristabilire "l'ordine costituzionale"? Certo, stiamo parlando per ipotesi e per gusto di fantapolitica: la Lega si limitò successivamente a propagandare sempre più stancamente le parole d'ordine indipendentiste che si ridussero alla fine alla imposizione della indicazione sui cartelli stradali dei nomi delle località governate dalla Lega in italiano e in dialetto. Una bazzecola rispetto alla domanda originaria della "indipendenza", ammesso che dire Lècch invece di Lecco fosse abbastanza per surrogare una reale indipendenza.

Questo per dire che non stupisce che il governo di Madrid abbia fatto ciò che qualsiasi altro governo europeo avrebbe fatto di fronte al tentativo effettivo di sovvertire l'ordine costituzionale, qualunque esso sia. È una posizione scomoda o scandalosa? Non proprio, è una posizione semplicemente naturale e connessa all'ordinamento degli stati che fanno parte dell'Unione europea.

Questo non vuol dire che la battaglia politica per il riconoscimento dell'indipendenza della Catalogna come stato autonomo non abbia diritto di cittadinanza nell'immaginario collettivo: significa però che tale battaglia, nel momento in cui si pone sul piano del sovvertimento dell'ordine costituzionale, porta a delle conseguenze, perfettamente prevedibili e non eliminabili con la propaganda o con i wishful thinking.

Si potrebbe discutere fino all'anno prossimo se tale richiesta - la nascita di uno stato nazionale sovrano catalano che stacchi del tutto dallo stato spagnolo il territorio della attuale Generalitat de Catalunya - sia una richiesta "di destra" o "di sinistra": è una richiesta; ma secondo me sbaglia chi tira in ballo i principi di libertà e autodeterminazione per il riconoscimento di tale indipendenza come stato indipendente e sovrano: gli indipendentisti non sembrano avere la maggioranza in Catalogna, e questo potrà senz'altro cambiare con le prossime elezioni, ma per il momento è così.

L'errore però lo fa anche Puidgemont quando motiva il suo "esilio" (proprio così, "exili" in catalano, con anche una pagina web dedicata all'evento: president.exili.eu) con la necessità di richiamare "l'attenzione dell'Europa" sul caso catalano. È una speranza fondata? Leggiamo il trattato istitutivo dell'Unione europea, all'art. 4, comma 2, e vediamo cosa dice:

L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro

Abbastanza chiaro, no? L'Unione è una organizzazione di Stati che hanno ceduto una parte delle loro funzioni all'Unione per la migliore gestione, ma i firmatari mantengono il monopolio della "identità nazionale", compresa la "salvaguardia dell'integrità territoriale" e la "sicurezza nazionale". Il viaggio di Puidgemont a Bruxelles è quindi del tutto inutile se spera che da tale atto nasca una mobilitazione delle istituzioni dell'Unione a favore del caso catalano (visto che, particolare non ininfluente, la Spagna è uno stato di diritto e non una dittatura repressiva). L'Unione in passato ha preso posizione contro comportamenti di alcuni stati, giudicati illiberali o potenzialmente pericolosi per l'ordinamento democratico, ma non si è mai pronunciata a favore (e neanche contro) di movimenti o intenzioni separatiste o secessioniste.

Si conferma che il caso catalano, lungi dall'essere un problema istituzionale europeo, è un problema politico spagnolo. Da affrontare e se possibile risolvere nell'ambito della dialettica politica interna che uno stato di diritto garantisce.

Siamo di nuovo alle solite: si confonde la speranza con la certezza, e il vincolo esterno di garanzia, che l'Unione sembra rappresentare in molti campi, viene di nuovo interpretato come un potere indipendente potenzialmente fiancheggiatore di richieste politiche partigiane quando esso invece è espressione, in tutto e per tutto, dei governi nazionali che lo alimentano e gli danno vigore e funzioni.

Puidgemont queste cose le deve sapere, perché se non le sa è un avventuriero sconsiderato; se le sa e ha deciso di voler "forzare" per ottenere un riscontro mediatico, c'è da dire che la cura è peggiore del male.

Guardando alla storia e alle esperienze passate, quando un movimento o una parte politica si propone la sovversione dell'ordinamento costituzionale nel quale è inserito, esso si pone immediatamente fuori dalla legalità. La cosa può suonare antipatica o irritante, ma i crudi dati di fatto sono questi: chi si propone di immettere "ordini nuovi", come avrebbe scritto Machiavelli, deve fare i conti con i nemici naturali (chi detiene il potere e il controllo dell'ordine esistente) e con i tiepidi amici che lo possono fiancheggiare ma che temono reazioni e conseguenze. Tuttavia tale battaglia, eminentemente politica, può essere combattuta in molti modi: già la Catalogna godeva di uno statuto specialissimo all'interno dello Stato spagnolo, e la richiesta di indipendenza piena è sembrata a molti una fuga in avanti della quale non si sono valutate appieno tutte le implicazioni sul piano interno. Quanto al piano esterno è perfettamente inutile sperare in una solidarietà dell'Unione europea sul tema, perché sarebbe un po' come chiedere al tacchino (i governi) di festeggiare il Natale (le molte tendenze e posizioni separatiste o secessioniste che - silenti o meno - costellano il panorama europeo). Resto convinto che, a parte lo scarso stile di allontanarsi di corsa dal Paese che si è messo sotto tensione con le proprie azioni politiche quando ha sentito odore di giudici, a Puidgemont - e ai suoi seguaci - resti solo la strada di giocare la sua battaglia sul piano interno, tenendo presente che non troverà una sponda nell'Unione europea, ma che potrà trovare solidarietà e sostegno in una opinione pubblica spagnola; una volta però che essa abbia superato la cattiva impressione che la "fuga" ha dato, un po' a tutti: unionisti e secessionisti. Concludo con un consiglio per il presidente catalano: la sera, prima di addormentarsi, dia una occhiata non distratta a Stato e rivoluzione e Che fare? Di Vladimir I. Lenin, e a Il Principe di Niccolò Machiavelli. Due che di nuovi ordini se ne intendevano abbastanza, anche se non frequentavano - fortuna loro - Facebook e Twitter.

 

 

Postilla

I "valori dell'Unione" - che tanti proclamano e tirano in ballo nel caso catalano, senza neppure sapere quali siano - non sono quelli scritti nel Manifesto di Ventotene (il superamento dello stato nazionale sovrano di matrice ottocentesca, padrone del sangue e del suolo, che deve cedere sovranità in alcuni ambiti fondamentali - difesa, politica estera, moneta e politica economica - come presupposto per il sorgere di un'Europa federale libera e unita), ma sono quelli scritti nelle carte costituzionali europee, e il mercato. Trovo davvero commovente, ma politicamente irrazionale, che si voglia fare dell'Unione ciò che non è: un contenitore di diritti "nuovi" che prescindano dagli stati che hanno costituito l'Unione per la promozione e la difesa dei rispettivi interessi. Poi, negli anni, la retorica europeista ha riempito i buchi con le frasette sulle magnifiche sorti e progressive di una grande Europa spazio di libertà, giustizia e uguaglianza, ma la realtà è che l'Unione è una forma di collaborazione tra governi che mantengono ben saldo il controllo degli spazi interni, controllo amplificato - e non diminuito - dall'esistenza stessa dell'Unione. Spiacevole, ma è così. Un movimento che si propone la nascita di una nuova entità statuale deve essere considerato allora in due modi diversi: dal punto di vista della "libertà", variamente declinata, è un processo ammirevole, ma dal punto di vista della fattibilità (una dimensione che giocoforza deve essere sempre tenuta ben presente quando ci si propone di istituire "ordini nuovi") si tratta di una pretesa assurda nella condizione di interdipendenza economica e commerciale che avvolge non solo la Spagna, ma tutto lo spazio economico europeo (SEE). Non difendo il governo di Madrid: sono per formazione e posizione politica un critico e un nemico degli stati centralizzati, ma proprio per questo vedo nella pretesa di far sorgere una piccola patria in più un elemento di confusione e non di razionalizzazione. Carlo Rosselli scriveva nel 1935: "Oggi non si tratta di ridurre la patria alla regione, ma all'Europa; ed è solo togliendo al concetto di patria il Valore territoriale che le formazioni territoriali interne possono riprendere tutto il loro vigore". Ecco, io vorrei una sinistra che invece di scattare come una molla quando qualcuno propone un nuovo stato (grande lotta di libertà, un nuovo risorgimento, gli oppressi che si levano come un solo spirito ecc. ecc.) rifletta sui danni che la pretesa del sovranismo esclusivo ha prodotto negli anni passati.

La Catalogna aveva una solida autonomia, tutelata e fuori discussione, che solo per motivi economici contingenti il governo di Barcellona ha voluto trasformare in qualcosa di diverso. Non hanno MAI proposto uno stato federale spagnolo negli ultimi mesi di "lotta". Non è una lotta di progresso e di emancipazione, ma è un ripiegamento su valori localistici e limitati a uno spazio ben delimitato. Con tutta la loro buona volontà, non mi convincono che quella lotta sia la mia lotta.

 


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06 NOVEMBRE 2017