Francesco Denozza  
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LA NOSTRA EPOCA È ANCORA L'ETÀ DEI DIRITTI?


Dopo decenni di neoliberalismo, un ciclo di incontri sul tema



Francesco Denozza


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1- L'età dei diritti

Trent'anni fa la nostra epoca venne autorevolmente definita come "l'età dei diritti" (da Norberto Bobbio, in una conferenza tenuta nel 1987 all'Università di Madrid).

Gli anni a cavallo della metà del secolo scorso avevano segnato infatti un momento importante nel riconoscimento internazionale di diritti fondamentali (v. ad es. Declaration concerning the Aims and Purposes of the International Labour Organisation, adopted at the 26th session of the ILO, Philadelphia, 10 May 1944; UN General Assembly, Universal Declaration of Human Rights, 10 December 1948, 217 A (III);European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, as amended by Protocols Nos 11 and 14, 4 November 1950, ETS 5) e nel riconoscimento di diritti, anche di natura economico- sociale, all'interno di costituzioni nazionali rigide ( tra cui, notoriamente, la nostra).

Questo movimento verso il riconoscimento ufficiale di nuovi diritti non è stato interrotto dal mutamento di rotta politica iniziato alla fine degli anni settanta del secolo scorso, ed è proseguito in tutto il successivo periodo di dominio dell'ideologia neoliberale.

I risultati che possiamo oggi osservare a livello globale non sono univocamente entusiasmanti e una valutazione complessiva della portata di questi riconoscimenti ufficiali, da alcuni esaltati come una tappa evolutiva di portata epocale, dovrebbe partire dall'osservazione di una realtà a dir poco contraddittoria, e dallo scioglimento di una serie di nodi, anche teorici, molto complessi.

 

2- I diritti e i loro limiti

Senza voler affrontare un simile compito nella sua interezza, e mantenendosi ad un elementare livello di osservazione, si può partire dalla considerazione per cui un diritto è in sostanza il riconoscimento che un certo interesse è meritevole di una certa positiva considerazione e protezione da parte dell'ordinamento. Il riconoscimento di un diritto non è però di per sè in grado di garantire la soddisfazione dell'interesse in questione. Ciò può dipendere da svariate circostanze di fatto che possiamo classificare in almeno tre gruppi. Esistono anzitutto circostanze che sono personali ai singoli soggetti (individui colpiti da gravi limitazioni fisiche hanno ovvie difficoltà a godere di molti diritti, a cominciare da quelli elementari di libertà). Esistono poi circostanze di natura sociale: chi non può permettersi adeguati mezzi di trasporto non gode gran che della libertà di viaggiare.

Rilevano infine anche circostanze di natura socio- istituzionale. In particolare, l'insufficiente creazione delle strutture materiali necessarie per l'effettivo esercizio del diritto, in assenza delle quali non si dà la conseguente soddisfazione dell'interesse protetto ( si pensi al diritto alla salute), rappresenta un ulteriore fattore di potenziale limitazione della portata dei diritti.

Esiste poi un altro potenziale limite che deriva dal possibile contrasto tra i diversi interessi (e, quindi, tra i soggetti che ne sono portatori). Quando sono protetti come diritti diversi interessi che entrano occasionalmente in conflitto, la protezione dell'uno implica necessariamente il sacrificio dell'altro ( ad es. in un famoso caso deciso dalla Corte di giustizia europea una manifestazione aveva bloccato un valico internazionale creando un conflitto tra la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di movimento all'interno dei confini dell'Unione).

 

3- Una certa "cultura dei diritti" e i suoi effetti deleteri

Vedere riconosciuti i propri diritti è ovviamente importantissimo (è nel momento in cui vengono negati che più dolorosamente ci si accorge di quanto i diritti contino nella nostra vita).

Esiste però anche una cultura per così dire "passiva" dei diritti, che sta producendo effetti assolutamente negativi. Questa cultura "passiva" deriva dalla perdita della consapevolezza di un fatto elementare (naturalmente collegato a quanto osservato al paragrafo precedente) e cioè del dato per cui nessun diritto è al sicuro senza il sostegno di una robusta azione sociale che solleciti e sorvegli la sua concreta realizzazione. L'idea, oggi molto diffusa, che basti il riconoscimento formale per assicurare una garanzia, invece di una semplice opportunità, di protezione dell'interesse riconosciuto, induce tutti coloro che avvertono come calpestati i propri diritti ( da quello alla protezione dei risparmi, alla salute, al lavoro, ecc.) non ad intensificare il loro impegno sociale in difesa della effettiva concretizzazione di questi diritti in favore di tutti, ma ad allontanarsi dalla politica. Una parte della tanto frequentemente lamentata disaffezione dalla politica deriva a nostro avviso non solo dalla generalizzata sfiducia nella classe politica tanto spesso evocata, ma anche, e molto, dalla delusione provocata dal fatto che il formale e generico riconoscimento di tanti diritti si è rivelato sostanzialmente irrilevante. Persa l'idea che una robusta azione sociale è indispensabile per la concretizzazione di qualsiasi diritto, molti collegano la loro negativa situazione personale, non all'assenza di un adeguato sostegno sociale alla protezione dei loro interessi, ma a qualche imbroglio con cui politici lazzaroni, e i soliti padroni del vapore, li hanno privati dei diritti che credono di possedere solo perché hanno sentito dire che sono scritti da qualche parte in qualche carta.

Collegata a questa tendenza negativa è anche quella a dimenticare che non tutti i problemi sociali possono essere risolti semplicemente riconoscendo gli opportuni diritti individuali. Significativo è, ad esempio, il caso dei vaccini, che molti pensano di risolvere ricorrendo alla distribuzione di diritti, quando invece si tratta di stabilire (tutti insieme) se il fatto che tutti si vaccinano, produce complessivamente più vantaggi o più svantaggi e se quello che gli scienziati ci dicono è sicuramente attendibile, o può essere frutto di pregiudizi o addirittura di una più o meno blanda "corruzione". Questi sono però problemi sociali, la cui soluzione non può essere trovata nel consentire a ciascuno di fare quello che vuole, perché la vaccinazione ( se efficace) è decisiva per accrescere la salute di tutti (come è successo nella lotta contro malattie che erano veri flagelli e sono quasi scomparse) mentre la non vaccinazione può mettere in pericolo non solo la salute di quelli che non sono vaccinati, ma anche quella di altri. È insomma un problema sociale da risolvere insieme, e non una materia di diritti individuali.

 

4- I diritti e il mercato

Un cenno merita infine il tema del rapporto tra i diritti e il mercato. Il mercato non è un meccanismo neutrale di produzione della ricchezza, potenzialmente compatibile con qualsiasi distribuzione dei diritti.

Il mercato ( almeno quello effettivamente esistente ) presenta una caratteristica che tende, tra l'altro, a far sì che il suo naturale funzionamento entri facilmente in conflitto con la protezione di alcuni diritti. Questa caratteristica, benissimo descritta nel secolo scorso da Karl Polanyi, consiste nel fatto che il mercato tratta come merci alcune risorse che merci invece non sono, come la natura, il lavoro umano e la moneta (oggi potremmo forse aggiungere all'elenco la conoscenza). Queste risorse non sono merci perchè non possono essere immesse o tolte dal mercato a volontà, come tutte le altre merci.

Esemplificando gli effetti di questa mercificazione artificiale con riferimento al lavoro, il problema è facile da descrivere. Il conclamato pregio del mercato è quello di calibrare la produzione dei beni in rapporto alla domanda pagante che esso mercato registra. Perciò se la gente si stanca di andare a piedi e ha i soldi per andare in carrozza, il mercato opportunamente e tempestivamente interviene, creando gli appropriati incentivi affinché venga aumentato l'allevamento dei cavalli da tiro. Quando la gente ha la voglia di ( e i soldi per) andare in automobili con l'autista, il mercato velocemente scoraggia l'allevamento dei cavalli e favorisce l'invio al macello di quelli esistenti che non servono più. Il problema è che quando la gente si stanca poi degli autisti (o non ha più i soldi per pagarli) e vuole guidare le automobili da sé, gli autisti esistenti non possono essere dismessi come i cavalli. O il mercato trova subito per loro altri impieghi, oppure sono guai.

A ciò si aggiunga che il mercato è un luogo non di cooperazione, ma di competizione, in cui i conflitti d'interessi interindividuali sono esasperati. Esso tende perciò naturalmente a mettere le persone le une in conflitto con le altre. Nel caso dei diritti sociali questo si è visto molto bene quando è stato affrontato il problema se proteggere, o non proteggere, iniziative volte ad assicurare a lavoratori provenienti da stati più poveri e " importati" in stati più ricchi, le condizioni economiche e contrattuali esistenti nello stato ospitante, ovviamente molto migliori di quelle esistenti nello stato di provenienza. Sorprendentemente ( o forse non tanto) molti provenienti dai paesi più poveri che fornivano la mano d'opera, hanno protestato contro il migliore trattamento prospettato per i loro connazionali, sostenendo che il trattare tutti ugualmente è un modo per annullare il maggior vantaggio competitivo ( forse l'unico) che i paesi più poveri hanno nei confronti dei paesi più ricchi, e cioè la disponibilità di una forza lavoro disposta a vendersi a prezzo molto più basso. Insomma: assicurare ai lavoratori estoni che vanno a lavorare in Finlandia il trattamento previsto da leggi e contratti finlandesi anziché quello, molto inferiore, previsto dalle norme estoni, non andrebbe a vantaggio dei lavoratori estoni, ma sarebbe una misura protezionistica a difesa degli stessi lavoratori finlandesi.

E, in effetti, in un certo senso un aspetto protezionistico esiste. Solo che per capire quale è l'interesse effettivamente protetto bisogna chiedersi se a lungo termine sia davvero nell'interesse dei lavoratori estoni il fatto che le condizioni di lavoro dei finlandesi, grazie alla concorrenza che essi lituani possono far loro, si abbassino anch'esse al livello esistente in Estonia.

Qui si aprirebbe un interessante discorso sul tema del lungo e del breve termine e su chi sia al riguardo più miope, il mercato o la politica, che però dobbiamo lasciare per ora aperto.

Si noti poi che il potenziale contrasto tra le esigenze del mercato e la protezione dei diritti non riguarda solo i diritti c.d. sociali, ma anche diritti più legati alle c.d. libertà negative. È il caso ad es. del diritto alla privacy ed al suo contrasto con l'indiscriminata raccolta di informazioni che alimenta il c.d. big data ( si pensi anche alla discriminazione "efficiente" che proprio l'utilizzazione dei dati in questo modo raccolti, può rendere possibile).

Il mercato è anche un potente selettore, dotato di una sua propria gerarchia di valori, che si riflette sia nell'attribuzione di enorme importanza ad alcuni diritti a scapito di altri, sia nel modo stesso in cui alcuni diritti sono concepiti. Si pensi ai diritti sui beni immateriali (brevetti, marchi, diritti d'autore, ecc.) concepiti e tutelati non tanto come diritti personali (al riconoscimento dei meriti dell' effettivo autore), ma come diritti alla proprietà e allo sfruttamento economico esclusivo del bene immateriale, con tutti gli effetti che ciò comporta sia in termini di loro protezione giuridica ( sono equiparati in sostanza alla proprietà tradizionale) sia in termini di loro effetti pratici sulla disponibilità sociale, e sul prezzo, dei prodotti che incorporano l'idea protetta (si pensi ad es. all'incidenza che la presenza dei brevetti ha sul costo dei medicinali e, di conseguenza, sull'effettiva tutela dell'interesse alla protezione della salute).

5- I diritti e la "logica mercantile"

Come già si è detto all'inizio, l' investimento di risorse è un potentissimo condizionatore della protezione effettiva di determinati interessi. Ciò vale in particolare per tutti gli interessi la cui effettiva soddisfazione dipende dalla predisposizione di un contesto istituzionale e materiale che la renda possibile ( come è nel caso dei principali diritti economico - sociali, dalla sanità, alla previdenza, all'istruzione, ecc.), ma vale anche per diritti più "tradizionali". Abbiamo già accennato alla privacy, ma si pensi anche alla manifestazione del pensiero, evidente essendo che un conto è la circolazione delle idee che si ha in un contesto di mezzi di comunicazione liberi, accessibili e pluralisti e altro conto è quella che si può avere in un contesto di oligopolio e di controllo sulla diffusione dei contenuti, controllo magari realizzato proprio attraverso l'esercizio di diritti, come ad es. quello d'autore.

La crisi finanziaria e la conseguente grande recessione rappresentano poi un drammatico punto di emersione della problematica relativa al rapporto risorse- diritti. La riduzione della ricchezza disponibile non solo ha un'ovvia incidenza sull'effettività di tutti quei diritti il cui esercizio implica il diretto consumo di risorse materiali, ma ha anche l'effetto di indebolire le capacità di intervento degli stati e, in definitiva, della politica ( anche lasciando perdere l'eccezionale e strabiliante potenza economica notoriamente raggiunta dai colossi finanziari, si può ricordare, giusto per avere un'idea dei rapporti di forza, che la capitalizzazione delle prime otto imprese tecnologiche del mondo è pari a circa due volte e mezzo il PIL italiano). In una situazione in cui anche le più importanti entità statali dipendono dagli umori del mercato (e cioè, in sostanza, dagli orientamenti degli operatori economici in grado di spostare rilevanti risorse) è evidente che è molto più difficile ipotizzare interventi a sostegno di quei diritti che sono per loro natura meno coerenti con il mercato, e meno compatibili con il suo funzionamento, e molto più facile che gli interventi degli stati muovano della direzione di una maggiore protezione di interessi tipicamente mercantili ( come avviene ad es. per il trattamento dei diritti degli investitori operato nei trattati commerciali internazionali) o , peggio ancora, in direzione di una concezione mercantile del modo in cui i diversi interessi debbono essere gerarchizzati e protetti (sostanzialmente in un'ottica di scambio- chi più riceve, più deve dare, e viceversa- che tende a marginalizzare ogni istanza solidaristica).

6- Dove siamo arrivati e dove stiamo andando? Le osservazioni che precedono sollevano un' ampia serie di interrogativi pratici e teorici. Bisognerebbe fare un bilancio, settore per settore, degli effetti prodotti dalla crisi su vari diritti che sono magari rimasti formalmente indiscussi, ma la cui concreta, attuale, sostanza è tutta da accertare. Si tratterebbe poi di approfondire i rapporti tra la proclamazione di diritti e la diffusione nella società di logiche sempre più pervicacemente mercantili. Che senso ha riconoscere formalmente diritti che il mercato non riconosce, che magari considera non compatibili con le sue esigenze, e che tende a svuotare di ogni concreto contenuto? È, in concreto, possibile correggere le gerarchie tra diritti stabilite dal mercato, e in che direzione e in che limiti? E, posto che, comunque, anche nel momento in cui la politica avesse a recuperare un maggiore livello di autonomia dal mercato, resteranno sempre problemi di limitatezza di risorse e di conflitto tra incompatibili diritti, quali logiche sociali dovranno governare il coordinamento tra risorse e diritti e tra diritti e diritti? E infine, e forse più importante, quali strutture di organizzazione sociale potranno garantire la coerenza di queste logiche e la loro concreta attuazione?

Evitando volutamente le situazioni più drammatiche, in cui problemi di effettiva protezione dei diritti si presentano in forme assolutamente tragiche (si pensi al diritto alla semplice sopravvivenza e alle carestie in atto e incombenti in Africa), abbiamo pensato di cominciare a discutere gli interrogativi di cui sopra a partire, per così dire, dal basso, da alcune situazioni che fanno parte della vita quotidiana di ognuno di noi, e, soprattutto, da una prospettiva che ponga al centro non astratti riconoscimenti, ma le effettive possibilità di soddisfazione degli interessi di volta in volta protetti.


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24 GENNAIO 2018

L'ETÀ DEI DIRITTI?
DOPO TRENT'ANNI DI NEOLIBERALISMO

Ciclo di incontri a cura di
Francesco Denozza
Lorenzo Sacconi

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