Jacopo Gardella  
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ATTENZIONE AL CLIMA E ALLA QUALITÀ DEI PAESAGGI


Commento al libro di Marco Bovati



Jacopo Gardella


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Il titolo del libro di Marco Bovati - Il clima come fondamento del progetto (Christian Marinotti Edizioni, 2017) - è accattivante e allo stesso tempo spiazzante: accattivante per l'argomento trattato che sta diventando ogni giorno più attuale e imprescindibile; spiazzante per il significato perentorio che è implicito nell'asserzione: "Fondamento del progetto". Fondamento è un termine impegnativo e non secondario né pleonastico; significa sostegno, basamento, supporto; e presuppone che la sua assenza equivalga al crollo dell'intero edificio (uso questo termine non in senso metaforico ma reale visto che si sta parlando di architettura). Chi ha anche solo una minima competenza e dimestichezza con l'attività del progettare sa perfettamente che non esiste un fondamento del progetto ma molti fattori che contribuiscono, tutti insieme, a determinare il risultato finale. Tra questi va annoverato certamente anche quello climatico, da qualche decina d'anni sempre più importante e non più procrastinabile. Prima del periodo che intercorre fra le due guerre mondiali, cioè prima del ventennio 1920-1940, il clima non veniva considerato fra i fattori determinanti della progettazione architettonica. Oggi non è più così: aggiungendosi agli altri aspetti che da sempre sono presi in considerazione nel fare architettura, il clima - come dimostra in modo chiaro ed esaustivo il ben documentato libro di Bovati - è divenuto una della componenti essenziali della progettazione architettonica attinente non soltanto il problema del riscaldamento o raffrescamento degli edifici ma anche a molti altri aspetti della costruzione edilizia: dall'orientamento alla distribuzione interna dei locali, dalla produzione di energia al contenimento dei consumi energetici, cosi come tutto ciò che riguarda l'aspetto estetico degli edifici.

I fattori che condizionano il progetto di architettura sono riconducibili a due grandi categorie: una appartiene al mondo della tecnica, l'altra alla sfera delle intuizioni, del portato soggettivo. Fanno parte della prima la scienza delle costruzioni, lo studio degli impianti, la conoscenza dei materiali costruttivi, le valutazioni economiche (i fattori di questa categoria sono misurabili in termini oggettivi e sono espressi in misure quantitative). Fanno parte della seconda la qualità estetica, la sensibilità artistica, la cultura storica, la considerazione data ai problemi sociali (i fattori di questa seconda categoria sono da considerarsi di natura soggettiva e giudicabili in considerazione delle loro proprietà qualitative). Di primo acchito, il titolo del libro fa dunque nascere il timore che tutta l'interpretazione della realtà architettonica venga fatta dipendere da condizionamenti tecnico-scientifici in omaggio a una concezione del fenomeno architettonico rigorosamente positivista. Per fortuna non è così. L'Autore, fin dalle prime righe del testo, manifesta una visione del processo di progettazione assai più ampia e complessa; e soprattutto ribadisce con convinzione che tra i fattori determinanti di quel processo, insieme ai dati oggettivi, calcolabili in termini matematici, concorrono fattori soggettivi, valutabili solo in termini culturali. La sua tesi è dunque alquanto coraggiosa, specie in un momento come l'attuale dominato da una dilagante e pervasiva presenza della tecnologia in ogni ambito della nostra vita. Accanto a quella scientifica e oggettiva, nel progetto architettonico non è infatti eliminabile la componente artistica e soggettiva che molti ancora si ostinano a negare. A questo proposito sono illuminanti le citazioni riportate nel testo di due importanti figure della cultura architettonica italiana: il maestro Ernesto Nathan Rogers (1909-1969) e l'allievo Aldo Rossi (1931-1997). Entrambi, in estrema sintesi, riconoscono l'autonomia dell'architetto e la sua libertà creativa; rivalutano la componente soggettiva del progetto; ammettono che per uno stesso tema possa verificarsi la compresenza di più soluzioni, ciascuna dipendente e determinata da un differente orientamento culturale dei progettisti. Rossi, in particolare, pur essendo aperto sostenitore dell'ideologia comunista, ha sempre rifiutato di accettare l'interpretazione deterministica dell'arte e dell'architettura. Si è cioè sempre posto in aperto contrasto con i compagni di uguale orientamento politico spesso ostinati a dare una miope interpretazione delle teorie marxiste che vedevano l'arte come una sovrastruttura e che quindi facevano dipendere l'architettura direttamente della struttura economica notoriamente considerata da Marx quale primaria e fondamentale della vita di un popolo. Non priva di un certo coraggio anche la posizione di Rogers che, pur avendo aderito da giovane al Movimento Moderno di Architettura e alla sua versione italiana denominata Razionalismo, ha tuttavia saputo abbandonare alcuni rigidi dogmi compositivi propri di questa scuola di pensiero e ha ammesso la necessità di introdurre nel progetto più ampie e allargate componenti da lui denominate "nuove valenze". Tra queste, compare la storia, non quella aulica e retorica esaltata dai fascisti bensì la storia della gente umile, della popolazione sopravvissuta alla tragedia della guerra.

Il libro di Bovati, tuttavia, ha anche e soprattutto una forte componente tecnico-operativa. In esso si trova infatti un'accurata descrizione delle misure da adottare per affrontare progetti compatibili con le nuove esigenze climatiche e sono indicate nel dettaglio le informazioni necessarie per dotare le costruzioni di efficienti impianti energetici. Si tratta di una parte dettagliata e chiara fino al punto da elencare meticolosamente le iniziative da prendere e le operazioni da compiere. Meno esauriente, invece, quella che rivolge il proprio sguardo agli esiti di queste modalità progettuali, quella che riflette sugli impatti paesaggistici delle nuove installazioni ecologiche, quella che - a mio giudizio - dovrebbe avanzare proposte innovative per una progettazione attenta al clima e, al tempo stesso, alle tematiche compositive e paesaggistiche. Mi riferisco, in particolare, a due tipi di installazioni - se così le possiamo chiamare - che pur essendo piuttosto diffuse sono entrambe criticabili perché, a mio avviso, compromettono frequentemente il paesaggio naturale e nuocciono alla sua integrità: parlo dei pannelli solari collocati su tetti di costruzioni storiche o tradizionali o, peggio, distesi su campi non coltivati in piena campagna e delle pale eoliche innalzate nei punti più ventilati e spesso più panoramici del nostro territorio. È noto che entrambe queste attrezzature, seppur utili e necessarie per la produzione di energia pulita, non migliorano l'aspetto estetico dei fabbricati né il panorama della campagna. Un problema ancora sostanzialmente irrisolto tanto è vero che sembra ancora lontana una soluzione che sia pienamente convincente dal punto di vista paesaggistico. È vero che la storia del nostro territorio è ricca di episodi di violente intrusioni nell'ambiente naturale che, con il passare dei decenni, sono state in tutto o in parte accettate al punto che oggi non sono più considerate presenze lesive del paesaggio. In campagna, per fare qualche esempio, vengono ormai tollerati interminabili sequenze di tralicci elettrici; in montagna, vertiginose condotte forzate; sulle vette alpine, ingombranti impianti di funivie, seggiovie, skilift: tutti manufatti che di rado contribuiscono ad accrescere la bellezza del paesaggio eppure oggi paiono parte integrante di esso, non suscitano in noi alcun moto di disapprovazione. Forse succederà la stessa cosa anche per le distese di pannelli solari o le concentrazioni di pale eoliche, ma ciò non toglie che la loro installazione dovrebbe essere maggiormente ponderata e realizzata con più attenzione, in termini di impatto sul paesaggio, di quanta sia stata posta fino ad oggi. Chi sostiene che le pale eoliche non sono altro che la versione moderna dei pittoreschi mulini a vento sparsi nella piatta campagna olandese, sbaglia. Tra le due cose, per esempio, vi è una grande differenza di dimensioni e quindi di impatto paesaggistico: l'altezza delle pale eoliche è circa quattro volte maggiore di quella dei mulini a vento. Per non parlare della notevole differenza di caratteri architettonici e quindi di continuità con la tradizione del paese: i mulini sono costruiti in mattoni e si integrano con l'architettura locale mentre le pale eoliche sono realizzate con forme e materiali tali da introdurre situazioni di forte contrasto con il paesaggio naturale.

Lo stesso può dirsi dei pannelli solari che frequentemente coprono e occultano le tradizionali coperture in tegole di laterizio o di lastre in pietra sfigurando le architetture che da secoli connotano certi paesaggi. Tanto per i pannelli solari quanto per le pale eoliche sarebbe necessario prefigurare soluzioni alternative in cui il progetto formale del manufatto tecnologico possa contribuire a migliorare i paesaggi, non a peggiorarli. A mio giudizio, per esempio, sarebbe auspicabile che i pannelli solari cessassero di essere posati sulle coperture tradizionali o sui campi in aperta campagna, ma venissero concentrati in apposite strutture isolate e autonome. L'energia solare potrebbe cioè essere captata da "torri solari" interamente vetrate su ciascuno dei lati soleggiati; nel contesto paesistico queste potrebbero eventualmente configurarsi come volumi emergenti, "land-mark", segnali visibili e caratteristici del territorio. Sfortunatamente, invece, pannelli solari e pale eoliche sono disegnati prevalentemente dagli uffici tecnici delle aziende che li producono, evidentemente e legittimamente interessate più agli aspetti funzionali o economici di questi dispositivi che non al risultato estetico del loro prodotto. Possibile - mi chiedo io - che non si sia sentito il bisogno di indire un concorso internazionale per dotare l'Italia e l'Europa di attrezzature per la produzione energetica decorose e degne della posizione panoramica in cui vengono collocate?

Sarebbe infine necessario tenere presente che il problema del clima e dell'incidenza che esercita sull'aspetto generale del paesaggio va ben oltre il settore edilizio e non può limitarsi agli aggiornamenti da considerare nella progettazione di costruzioni edilizie. Che atteggiamento assumere di fronte alla minaccia incessante che pende sulla città di Venezia per opera dei grandi piroscafi da crociera a cui è concessa la navigazione a poca distanza da piazza San Marco? Che resistenza opporre alle colossali infrastrutture proposte per collegare territori separati tra loro da brevi tratti di mare (in Italia il ponte di Messina, in Russia il ponte tra la città di Vladivostok e l'isole di Russkij, ecc.)? La previsione di simili mastodontiche strutture rappresenta una seria incognita non solo per la salvaguardia della bellezza naturale di quei contesti o per le alterazioni ambientali che potrebbero determinare ma anche per le conseguenze sul modo di vivere delle persone. La diga di Assuan in Egitto, per fare un solo esempio, ha avuto forti impatti ambientali in tutta la valle del Nilo. Il mito della velocità, la ricerca di malintese comodità, il consumo vorace di beni superflui sono altri fattori che conducono la nostra esistenza verso mete irrazionali e autolesioniste; una maggiore considerazione del fattore climatico e, più in generale, per la natura potrebbe forse evitare future e prevedibili catastrofi ecologiche ma anche sociali. Soprattutto da questo punto di vista il libro di Marco Bovati è di grande utilità e appare decisamente importante.

Jacopo Gardella

 

 

 

N.d.C. - Jacopo Gardella, architetto, ha iniziato la sua carriera professionale con il padre Ignazio. Assistente universitario di Pier Giacomo Castiglioni e Aldo Rossi, ha insegnato come docente a contratto nelle Facoltà di Architettura di Pescara-Chieti, Torino, Venezia, Ascoli Piceno e Milano-Bovisa. Ha collaborato con "L'Europeo", la Radio Svizzera Italiana e "La Repubblica". Tra le sue opere: sezione italiana della XIV Triennale di Milano, con M. Platania, 1° premio (1968); sala di lettura del Politecnico di Milano (1994-2000); adeguamento del Teatro G. Rossini a Pesaro, con A. Ciccarini, 1° premio (1997- 2003); arredo della "Sala Lalla Romano" all'interno della Pinacoteca di Brera a Milano (2013).

Per Città Bene Comune ha scritto: Mezzo secolo di architettura e urbanistica, dialogo immaginario sulla mostra 'Comunità Italia' (5 marzo 2016); Disegno urbano. La lezione di Agostino Renna (13 aprile 2017); Architettura e Urbanistica per fare comunità (13 aprile 2017).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

23 MARZO 2018

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
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prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
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Oriana Codispoti

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Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)

M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)

A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

 

 

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