Giovanni Carosotti  
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IL NUOVO ESAME DI STATO


Uno scacco matto ai docenti?



Giovanni Carosotti


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Una delle critiche che con costante periodicità è stata rivolta negli anni al dicastero dell'istruzione è quella di avere concentrato lo sforzo riformatore su un aspetto tutto sommato secondario, e cioè l'Esame di Stato a conclusione del percorso delle Scuole secondarie superiori. In pratica, si insinua l'idea che i governi, incapaci di progetti riformatori di ampio respiro, intendano acquisire visibilità partendo dalla fine della carriera scolastica -su cui risulta più agevole intervenire- piuttosto che concentrarsi direttamente sulla sostanza e sulla qualità della didattica ordinaria.

Si tratta di un'opinione diffusa ma sostanzialmente errata, che non coglie la ratio propria del progetto riformatore, e l'impatto decisionista con cui si vogliono rendere irreversibili profonde trasformazioni della scuola pubblica, prescindendo dal parere degli insegnanti, la cui insofferenza viene delegittimata quale prova di una mentalità ancora corporativa. In realtà -già dalla decisione presa nel 1998 dall'allora ministro Berlinguer- la conformazione dell'esame di Stato era pensata con l'obiettivo di condizionare il lavoro dei docenti nel corso dell'anno. Poiché pesava sugli stessi la responsabilità di assicurare ai propri studenti una preparazione adeguata alle modalità dell'esame, le procedure dello stesso avrebbero costretto a ripensare la didattica. Il caso della riforma voluta da Luigi Berlinguer, rimasta sostanzialmente intatta sino allo scorso anno (sia pure con la grottesca parentesi della Commissione completamente interna all'epoca del ministero Moratti), rappresenta un classico esempio di eterogenesi dei fini, anche se estremamente significativa. Concepita inizialmente come procedura tesa a limitare l'invadenza del sapere disciplinare, per mancanza di coerenza interna, ma soprattutto per l'inconsistenza dell'apparato teorico fondato sul concetto di "competenza" che lo sorreggeva, si è risolta in una modalità d'esame imperniata proprio sulle singole discipline.

È impossibile immaginare, ad oggi, se lo stesso destino di eterogenesi dei fini investirà anche il recente decreto di riforma dell'Esame di Stato pubblicato dal ministero Bussetti(1); né se gli insegnanti riusciranno ancora una volta, con un'abile strategia di resistenza, a conservare alla valutazione finale del percorso di studi liceale un'adeguata dignità sul piano culturale, che coincide, a nostro parere, con il rispetto dello specifico disciplinare e dell'autonomia dei contenuti culturali, non piegati a qualsiasi forma di riduzionismo contenutistico o a strumentalizzazioni di ordine tecnocratico. In ogni caso, è bene che l'opinione pubblica conosca le reali motivazioni di chi ha voluto questo frettoloso cambiamento, e quanto esso contribuirà al processo di "deculturizzazione"(2)in atto.

Una breve contestualizzazione iniziale. Come già ben sanno i lettori del presente portale, nell'ultimo anno e mezzo si è manifestata una diffusa insofferenza per i principi didattico-pedagogici, auto proclamatisi "innovativi", sui cui si regge la narrazione della riforma della scuola da più di due decenni. A dire il vero, non sono mancate neanche precedentemente numerose pubblicazioni critiche (anzi, la bibliografia in merito è ponderosa e sempre più aggiornata); ma alcune prese di posizione pubbliche (in particolare l'Appello per la Scuola pubblica(3), ma anche altre iniziative) hanno conosciuto una diffusione e un successo insperati da non poter essere ignorati da parte delle autorità ministeriali e dalle istituzioni private e pubbliche che hanno diffuso e sostenuto le nuove teorie pedagogiche. In questo senso si spiega anche la recente pubblicazione della fondazione Agnelli(4), nonché le periodiche esternazioni del suo presidente, Andrea Gavosto, in particolare sul quotidiano La Stampa, a nostro parere molto carenti sul piano informativo, ma pubblicate sempre senza alcuna possibilità di contraddittorio.

Proprio nell'Appello per la Scuola pubblica, tra le richieste conclusive, vi era quella di una moratoria sulle modifiche relative all'esame di Stato, nella consapevolezza che, una volta resa autonoma questa prova dal sapere disciplinare, sarebbe stato più facile imporre ai docenti nel corso dell'anno una didattica non più incentrata sulle singole materie di studio, bensì su macro-argomenti, quanto mai artificiali e di dubbia legittimità formativa. Che tale preoccupazione fosse giusta, lo si evince dalle modifiche approvate per il nuovo esame, concretizzando di fatto tutte le preoccupazioni presenti in questo documento. Proviamo a motivare tali affermazioni.

Dal punto di vista politico, è bene sgombrare subito il campo da un equivoco. Se alcuni provvedimenti simbolo del nuovo esecutivo sono oggetto di pesanti e vivaci contestazioni da parte delle opposizioni, di destra come di sinistra, per quanto riguarda la politica scolastica l'attuale governo ha scelto di agire in piena continuità con quelli precedenti. Condividendone le finalità, e proseguendo nella politica di decidere senza tenere in alcun conto il parere degli insegnanti. Non è un caso che, in merito al tema che stiamo qui discutendo, non è arrivata alcuna contestazione da parte dei rappresentanti dei precedenti governi, i quali colgono la totale continuità con lo spirito della Legge 107(5).

L'elemento più eclatante che salta all'occhio, e che contraddistingue le diverse parti dell'esame nella sua generalità, riguarda la marginalizzazione del sapere disciplinare. Questa caratteristica appare in modo eclatante soprattutto per la parte dell'esame dedicata al colloquio orale: questo sarà diviso in tre parti, che appaiono tutte molto deboli, nel senso che è difficile attribuire loro un contenuto definito, rispetto al quale già oggi lo studente può orientare la propria preparazione. La loro scansione sembra più concepita per scardinare l'esame nel suo complesso, e per impedirvi il protagonismo delle discipline, piuttosto che per introdurre nuovi contenuti.

Per esempio, la parte del colloquio che farà riferimento all' Alternanza scuola-lavoro (indicata però con la vacua espressione: "esperienze svolte nell'ambito dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento"(6)), si inserisce in un quadro contraddittorio. Infatti, almeno per quest'anno, le ore effettuate in merito a questa peculiare e discussa attività non sono affatto obbligatorie -come era stato stabilito in un primo tempo- per poter accedere all'esame. Quindi, anche uno studente che non avesse alcuna ora di tale attività avrebbe il diritto di sostenere l'esame. Inoltre, dal momento che non tutte le esperienze di Alternanza scuola lavoro sono state positive, sarà difficile ipotizzare un adeguato criterio di valutazione; sarà anzi dovere delle Commissioni evitare che la disparità delle condizioni di partenza (avere avuto la possibilità di recarsi all'estero, di avere organizzato esperienze ASL a pagamento, ecc.) pesino sulla valutazione, facendo ricadere sulla votazione finale condizioni ineguali di partenza che né la scuola, né tanto meno lo studente potevano modificare.

Per quanto riguarda invece la fase del colloquio dedicata a "Cittadinanza e Costituzione", essa per ora non fa riferimento a una disciplina specifica del curricolo, ma a contenuti che, a seconda degli indirizzi di studio, sono di responsabilità dei docenti o di storia o di diritto. Sembra intenzione dell'esecutivo far corrispondere a questa dizione, dal prossimo anno, una disciplina autonoma per un monte ore di 33 all'anno, che con continuità seguirà l'alunno dalla scuola materna sino alle superiori. Non si sa ancora a quale classe di concorso o docente sarà assegnato questo insegnamento, anche se è stato ventilato un corso di formazione, immaginiamo fondato su particolari metodologie e finalità che ancora è impossibile precisare nei dettagli. A questo punto dell'anno, invece, con programmazioni e insegnamenti già avviati, i contenuti di Cittadinanza e Costituzione faranno probabilmente riferimento a qualche progetto organizzato dalla scuola, cui poi riferire le domande del colloquio. Si tratta comunque di un'attività ancora una volta proposta secondo modalità di improvvisazione, che peseranno su una credibile conduzione dell'esame.

Ma l'aspetto forse più eclatante, e che a nostro parere meglio rispecchia le finalità del nuovo esame, riguarda il cosiddetto argomento pluridisciplinare che, a quanto pare, verrà estratto a sorte dal candidato tra una rosa compilata dalla Commissione. Si tratta di un esito che è stato adeguatamente anticipato da prese di posizione autorevoli, che ci era già capitato di rimarcare anche in articoli sul presente sito. Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli, aveva sostenuto sul quotidiano La Stampa(7)che per gli studenti sarebbe stato sufficiente apprendere anche un solo argomento in un anno, per incontrare tutte le competenze metodologiche a loro necessarie. A tale boutade ne è seguita un'altra, a cura dell'Associazione Nazionale Presidi, la quale, probabilmente già a conoscenza delle intenzioni di riforma del colloquio, auspicava la fine di una didattica fondata sulle discipline, per essere sostituita da quella per argomenti(8). Detto, fatto: il nuovo esame di stato propone il macro argomento che dovrebbe permettere al candidato di riferirsi a tutte le discipline (almeno quelle rappresentate dai docenti della Commissione).

Possiamo immaginare come tali novità, introdotte ad anno scolastico abbondantemente iniziato, saranno attuate con un vistoso margine di improvvisazione: ci aspettiamo incertezze procedurali, dubbi sulla congruità degli argomenti decisi dalla Commissione, inconsapevolezza dei limiti rispetto ai quali, a partire dalle affermazioni del candidato, proporre ulteriori valutazioni contenutistiche relative ai programmi e alle singole discipline, rigidità -dovute anche al timore di possibili ricorsi- con cui alcuni presidenti di Commissione vorranno stabilire le procedure, e che potrebbero portare a forti contrapposizioni anche all'interno delle stesse.

Probabilmente, rispetto a tali difficoltà, l'esecutivo cercherà di prendere dei provvedimenti: si parla già -ma attendiamo conferma- di eventuali corsi di formazione per dare indicazioni ai docenti sulle modalità con cui dovranno concepirsi questi macro-argomenti, immaginiamo tutte fondate sulla didattica per competenze, cioè su quel principio per cui non è indispensabile conoscere i contenuti culturali nella loro complessità, ma possedere "bussole", costruirsi una "cassetta degli attrezzi" concettuale in grado di affrontare gli urgenti problemi che lo studente incontrerà nell'attuale mercato del lavoro, quanto mai competitivo e spietato(9). Un principio -come abbiamo già avuto occasione di sostenere- decisamente anti culturale, scientemente orientato a perseguire la "deculturalizzazione" delle figure che partecipano alla vita scolastica, e oltretutto controproducente anche rispetto alle finalità pratico-economiche che intenderebbe conseguire.

Gli insegnanti potrebbero -ed è quello che noi auspichiamo- contrapporsi a questa logica, e far valere la loro preparazione disciplinare contro la falsa sapienza di questi formatori, la cui intenzione sarà quella di imporre senza contraddittorio l'inevitabilità di procedure spacciate quali esito di presupposti scientifico-pedagogici validati scientificamente; contestandone sul piano dei contenuti le affermazioni e rivendicando il loro diritto, in nome della libertà d'insegnamento, a decidere in modo autonomo, e sulla personale conoscenza del gruppo classe che hanno seguito negli anni, le modalità didattiche più opportune per offrire contenuti in grado di affinare la capacità critica degli studenti.

Ma al di là di questa possibile e auspicata reazione, c'è da chiedersi le ragioni per cui il nuovo esecutivo ha voluto accelerare in maniera così improvvida una decisione che, ammesso possegga una sua validità, avrebbe avuto bisogno di essere concepita con largo anticipo e che sarebbe stato ragionevole introdurre solo dal prossimo anno scolastico. L'attuale esecutivo, in particolare in una delle sue componenti, aveva affermato di voler sostanzialmente modificare la struttura della Legge 107, nel lodevole tentativo di ristabilire un onesto confronto con i docenti. Questi, invece, ancora una volta non sono stati consultati, mentre si è agito seguendo in modo pedissequo le indicazioni della loro controparte, quale di fatto è l'Associazione Nazionale Presidi.

Risulta evidente, a parere di chi scrive, che tale rischio doveva essere corso, perché la priorità era quella di imporre un cambiamento irreversibile; una svolta che si inseguiva da anni, che si è protratta per la resistenza intelligente sia degli insegnanti sia dell'opinione pubblica. Bisognava agire in fretta, per impedire un ripensamento, soprattutto in una fase storica in cui l'intero impianto della "didattica per competenze", come abbiamo ricordato all'inizio, si trova in forte difficoltà. Un'analoga circostanza si è verificata per l'Alternanza scuola-lavoro, le cui criticità, come sappiamo, sono sotto gli occhi di tutti. Anche in quel caso le difficoltà che si sono poi incontrate erano assolutamente prevedibili; eppure, nonostante fosse evidente l'impossibilità di condurre l'Alternanza Scuola Lavoro a un soddisfacente esito organizzativo, la si è voluta imporre in ogni caso, anche accettando l'eventualità che essa finisse per coincidere con esperienze improbabili, sganciate da qualsiasi rapporto razionale con il percorso di studi. L'importante era che tale attività facesse pesare il proprio impatto sull'intera vita scolastica, per convincere in merito a due assunti, destinati a diventare col tempo senso comune: 1) ciò che viene realizzato al di fuori dell'aula e dei programmi curricolari ha maggior valore dello studio continuato delle singole discipline, in quanto risponde in modo più efficace alle esigenze che provengono dalla realtà economica esterna; 2) vi sono soggetti esterni alla scuola che hanno pieno diritto ad agire, quali attori formativi, in totale concorrenza coi docenti. Anzi, grazie alla loro esperienza nell'economia concreta, che si contrapporrebbe a quella auto referenziale e lontana della realtà degli insegnanti, essi sarebbero portatori di una didattica più innovativa e coinvolgente.

Il nuovo esame di Stato si presenta con la stessa finalità: ormai imposto per decreto, deve definitivamente convincere, in ispecie gli insegnanti, che l'insegnamento disciplinare risulta superfluo, puramente strumentale rispetto ad altri obiettivi formativi. Non solo, il decreto immagina già come prevenire una possibile resistenza dei docenti responsabili, i quali vorrebbero comunque che nel corso dell'esame venisse valorizzato quel bagaglio di conoscenze cui hanno dedicato l'intero lavoro e che rappresenta il lascito più importante comunicato ai rispettivi studenti. Nel Decreto si legge: "La commissione cura l'equilibrata articolazione e durata delle fasi del colloquio e il coinvolgimento delle diverse discipline, evitando però una rigida distinzione tra le stesse", ovvero, non sarà possibile approfondire sul piano delle conoscenze (per gli estensori del decreto sarebbe puro nozionismo) i singoli contenuti disciplinari. Più avanti si legge: "La scelta da parte della commissione dei materiali di cui al comma 1 da proporre al candidato ha l'obiettivo di favorire la trattazione dei nodi concettuali caratterizzanti le diverse discipline". Che cosa siano tali "nodi concettuali", come potranno legarsi se non in una maniera strumentale o occasionale discipline di diversi indirizzi e aree disciplinari, tutto ciò resta un mistero, e rappresenterà una forte criticità dell'esame(10).

Vorremmo però ribadire un punto già più volte da noi testimoniato. Lo spirito del nuovo Esame di Stato si contrappone alla più profonda tradizione della cultura italiana, con un atteggiamento iconoclasta verso il contributo di conoscenza che il nostro Paese ha offerto alla civiltà nel suo complesso. Si tratta di relegare nel superfluo, in particolare proprio nella scuola, cioè il luogo di formazione privilegiato delle nuove generazioni, tutto ciò che fa parte dell'approfondimento (gratuito, ma solo apparentemente) di conoscenza. Ovviamente, non potendo affermare in modo così esplicito una tale convinzione, i riformatori identificano i contenuti di cultura con una retorica superficiale, che prescinde dall'approfondimento e dal confronto critico, che si accontenta di una conoscenza molto approssimativa, unita a un'abilità retorica (che si vorrebbe creativa, ma in realtà meccanica ed eterodiretta) di individuare relazioni superficiali e strumentali tra ambiti diversi.

Sarebbe necessario un intervento del mondo della cultura e di quello universitario, finalmente incisivo, capace di stabilire una alleanza duratura, strategica ed efficace con l'insieme dei docenti italiani. E, soprattutto, che il mondo intellettuale seguisse con attenzione il destino del provvedimento: fosse pronto ad intervenire anche con giudizi severi sulla qualità dei corsi d'aggiornamento che saranno organizzati, se non corrispondenti a una qualità dignitosa e rispettosi del pluralismo tra le varie teorie didattiche; che aiutasse a diffondere le informazioni sulle criticità che inevitabilmente il nuovo esame porrà in evidenza; e, soprattutto, che sostenesse il lavoro degli insegnanti nel valorizzare il loro sapere disciplinare. Soprattutto a partire dal prossimo anno scolastico, quando si vorrà imporre ai docenti la programmazione per argomenti, e la conseguente rinuncia alle discipline(11). Proprio in virtù della futura preparazione agli esami, i docenti e chi con loro intende solidarizzare, dovranno far propria un'altra prospettiva interpretativa: se anche rimanesse l'idea dei macro argomenti in vista dell'esame finale, ciò non toglie che questa modalità si configurerebbe come una dimostrazione di creatività intellettuale da parte dello studente, capace di assemblare contenuti affini dei vari programmi. I quali -per permettere una simile abilità- devono essere mantenuti nella loro specificità contenutistica e metodologica- per poi in ultimo proporne una valutazione comparata. Sarebbe necessario sostenere uniti questa linea interpretativa, che può rappresentare un momento iniziale di resistenza.

Conviene, in conclusione, soffermarci anche sulle altre due prove, quelle scritte, previste per il nuovo esame. Qualcuno potrebbe infatti obiettare la parzialità delle nostre analisi per il fatto che le prime due prove si configurano come essenzialmente disciplinari, mentre solo il colloquio avrebbe tali caratteristiche generalizzanti. Come già accennato, a smentire una tale impressione basterebbe citare il comunicato entusiasta dell'Associazione Nazionale Presidi, che pone proprio in relazione la nuova tipologia d'esame con la prospettiva concreta di non fare più didattica attraverso le discipline.

D'altra parte, se a chi scrive pareva già evidente che l'impostazione delle nuove prove scritte anticipava la logica del colloquio e ne preparava il terreno, è doveroso ammettere che non tutti i commenti comparsi in rete o sulla stampa si sono mostrati concordi su quest'impostazione. L'impressione però, alla luce della lettura dell'intero decreto, è che non sia possibile separare astrattamente queste due fasi.

Per quanto riguarda la prima prova scritta, le reazioni si sono in particolare concentrate, in modo giustamente indignato, sulla scomparsa della traccia di argomento storico, legittimamente messa in relazione con una ricercata svalutazione nei confronti della disciplina storica e di un approccio storicistico al sapere nel suo complesso. In realtà, come mi è capitato di argomentare altrove(12), la ragione peculiare della scomparsa del tema di storia è innanzitutto di carattere metodologico; ovvero, l'intenzione è stata quella di escludere tra le tracce proposte l'unica che lasciava libero lo studente di organizzare a piacimento il proprio discorso, scegliendo le eventuali citazioni sulla base di personali conoscenze, guadagnate attraverso il lavoro di approfondimento in classe. L'idea che è prevalsa -e in effetti il tema storico rappresentava ormai un'eccezione, dopo l'abolizione da diversi anni della compianta traccia di approfondimento letterario- è quella che lo studente deve pronunciarsi esclusivamente a partire da un testo dato, secondo una procedura guidata e scandita in diversi punti, decisa a priori. E, inevitabilmente, le considerazioni contestuali e le richieste di storicizzazione appaiono sempre come accessorie, ausiliarie. In ogni caso, la problematica posta è offerta insieme a una procedura di soluzione; il che può anche rappresentare un'interessante possibilità applicativa, ma risulta mortificante se esclude a priori l'eventualità, per chi lo volesse, di proporre una propria linea di lettura. In questo caso contestiamo non la caratteristica di una prova in sé, ma la sua assolutizzazione metodologica, che è in linea non a caso con il principio per cui la scuola deve valorizzare in via esclusiva le competenze. Per cui, con tracce siffatte, lo studente sarebbe in grado di svolgere un elaborato scritto anche in mancanza di conoscenze specifiche dell'argomento, grazie alle indicazioni date. Il fatto che il tema storico fosse svolto solo dall1% degli studenti, nonostante il crudo dato numerico, non rappresenta affatto un'argomentazione definitiva, perché è un fenomeno che segue anni di disincentivo a svolgere prove obiettivamente più rischiose, e risente inoltre della diminuzione del monte ore dedicato alla disciplina, dato di cui spesso non hanno tenuto conto le tracce ministeriali proposte in questi anni.

Per quanto riguarda la seconda prova scritta, la scelta è ancora una volta quella di non proporre mai una disciplina in modo isolato, come se la riflessione esclusiva su di essa rappresentasse un limite di esercizio intellettuale che penalizzerebbe l'alunno. Segnaliamo il carattere epistemologicamente ambiguo della prova che unisce, nei licei scientifici, fisica e matematica, denunciato da autorevoli docenti delle due discipline(13); avanziamo poi dei dubbi in merito alla decisione di proporre, nei licei linguistici, una prova dove ci si deve esprimere contemporaneamente in due lingue straniere diverse. Però, al di là del fatto che le Commissioni possano sforzarsi di rendere queste prove miste le più dignitose possibili (le simulazioni pubblicate dal MIUR non hanno invero suscitato commenti particolarmente convinti), rimane il principio per cui le materie non devono più presentarsi nel loro carattere puro. Non c'era alcuna ragione, metodologica e formativa, di creare questa prova mista, per le discipline d'indirizzo, e di abolire la terza prova, dove le materie escluse potevano essere valutate con maggiore autonomia e possibilità di valorizzazione per gli studenti(14).

L'abolizione della terza prova, infine, esprime una visione gerarchica delle discipline, oltre a essere una manifestazione di debolezza, per quanto non ammessa, da parte dei teorici delle competenze. Essi sono infatti costretti a riconoscere che almeno le discipline d'indirizzo, e in particolare quelle da loro maggiormente valorizzate in quanto di più immediato valore pratico (matematica, fisica, le lingue straniere, le materie tecniche) debbano essere comunicate, e successivamente valutate, secondo procedure in qualche modo tradizionali. Mentre le altre, storia, filosofia, le stesse scienze, storia dell'arte, diventano di fatto accessorie, non oggetto di un'analisi specifica, mediate sino all'irriconoscibile (si ricordi la raccomandazione di "evitare una rigida separazione" tra le discipline), facendo di esse solo delle cornici, degli sfondi contestuali, non dotati di una specifica sapienza e, quindi, incapaci di dare un apporto particolare alla formazione di ciascuno.

Se si proiettano negli anni a venire gli effetti di questo stravolgimento della didattica, possiamo figurarci un futuro quadro generazionale drammaticamente peggiorato non solo nelle condizioni materiali d'esistenza, ma nelle stesse capacità di seguire, commentare e attivamente partecipare a un confronto intellettuale di alto livello, come quelli che si tengono presso la casa della Cultura. Che tutto ciò non possa avere ripercussioni negative per il futuro dell'Italia nel suo complesso, per la sua economia come per la sua collocazione internazionale, risulta un'ipotesi molto azzardata.

 

 

Note:
1)
http://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Esami+di+Stato.pdf/0d97daea-3ea4-4ea0-bf3d-0299cc065bb0?fbclid=IwAR2um4MIysw33udYQX2qZ6yvuXmybZnLHQmejfo38pG3KkyqtioTWxNYLqM
2) Facciamo riferimento a un concetto introdotto da Francesco Germinario in Un mondo senza storia, Asterios, Trieste 2018, e da noi già commentato: http://www.casadellacultura.it/784/l-impossibile-incontro-tra-
3) https://sites.google.com/site/appelloperlascuolapubblica/.
4) Fondazione Agnelli, Le competenze, Il Mulino, Bologna 2018.

5) Conviene citare il commento al recente Decreto Ministeriale da parte dell'Associazione Nazionale Presidi, che ci sembra confermi in pieno la tesi del presente articolo, nonostante si tratti di una fonte sicuramente favorevole alle politiche riformatrici. http://www.anp.it/il-miur-pubblica-le-materie-della-seconda-prova-per-lesame-di-stato/: "Si tratta di un cambiamento radicale che presuppone un diverso approccio didattico e culturale da parte delle scuole e che ANP considera ormai ineludibile. Apprezziamo la nuova visione, volta a superare la rigida e ormai antiquata impostazione delle discipline scolastiche, auspicando che si tratti di un effettivo preludio al complessivo rinnovamento della scuola tradizionale. Il nuovo esame rappresenta l'occasione per misurarsi con quella didattica per competenze verso la quale lo scenario educativo internazionale si orienta da molto tempo, utile ad affrontare un contesto sociale sempre più complesso".
6) Espressione comunque interessante, se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla volontà dell'attuale esecutivo di accettare in modo acritico la teoria delle competenze e non metterne in discussione i dubbi assunti metodologici.
7) A.Gavosto, Un insegnamento più europeo passa per il lavoro di gruppo, "La Stampa", 19 dicembre 2017.
8) Cfr. https://www.orizzontescuola.it/associazione-presidi-vuole-abolizione-delle-materie-scolastiche-e-delle-graduatorie/.
9) Cfr. https://www.roars.it/online/il-docente-di-filosofia-un-intellettuale-organico-della-buona-scuola/ e http://www.casadellacultura.it/784/l-impossibile-incontro-tra-.
10) Sia chiaro, che non c'è da parte nostra alcun ottuso atteggiamento di contrarietà verso la collaborazione pluridisciplinare. Solamente che questa non deve corrispondere a un combinazione superficiale decisa a priori per forzare contenuti difformi in un unico contenitore. Ma deve sorgere spontanea in base al lavoro svolto singolarmente, per iniziativa dei diversi docenti, che mettono a disposizione degli alunni una collaborazione che valorizza e confronta le diverse impostazioni metodologiche. Possibile su argomenti specifici, come procedura d'approfondimento di programmi che devono essere in ogni caso conosciuti nella loro linearità. I macro argomenti previsti per il nuovo Esame di Stato non hanno nulla, da questo punto di vista, di effettivamente pluri disciplinare, ma rappresentano una mortificazione delle discipline oltre che -come si sosterrà più avanti- una strumentale gerarchizzazione delle stesse.

11) Nel commento dell'Associazione Nazionale Presidi, riportato nella nota 4, noi individuiamo una strategia d'azione dirigenziale volta proprio a fare pressione sui docenti e sui Consigli di Classe, per costringerli a programmare collegialmente per argomenti, tralasciando la coerenza dei programmi. Una giustificazione sarà proprio la preparazione richiesta dal nuovo esame. Noi proponiamo, più avanti del testo, un'interpretazione alternativa, pur consapevoli che essa non corrisponde alle intenzioni del legislatore.
12) https://www.lidentitadiclio.com/una-didattica-pro-o-contro-la-storia/#.XEX9yFxKiUk
13) Cfr. il testo della seguente petizione https://www.change.org/p/ministro-marco-bussetti-no-a-prove-di-questo-tipo-all-esame-di-stato , che a oggi è vicina alle 15.000 firme.

14) Non vogliamo proporre ad ogni costo un'apologia della Terza prova, né del passato esame nel suo insieme, che prevedeva forse un eccessivo carico di lavoro. Altro effetto perverso di quella eterogenesi dei fini cui abbiamo accennato all'inizio: si voleva dare l'impressione di un ritorno alla serietà includendo tutte le discipline, per poi, in nome delle competenze, stemperare la difficoltà in percorsi generici. Non potendosi realizzare quest'ultimo assunto, l'esame è rimasto probabilmente sovraccarico di contenuti ben oltre le effettive necessità. In ogni caso la terza prova rimaneva per gli alunni una modalità per mostrare quanto meno la loro capacità di lavoro sistematico nell'arco dell'ultimo anno. Senza dare a questa mia testimonianza alcun peso specifico, riporto la reazione perplessa di alcuni studenti, che temono, con la scomparsa della terza prova, oggettive difficoltà per la Commissione ad accertare in modo credibile il lavoro svolto da ciascuno nel corso degli anni. Una valutazione che andrà corroborata nel tempo.

 


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30 GENNAIO 2019