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GLI INSEGNANTI E 'LA BUONA SCUOLA'


A difesa della qualità della didattica






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Il fermento che attraversa in questi giorni il mondo della scuola trova ragioni principalmente di carattere sindacale; e a ragione, dal momento che la professione docente si troverebbe totalmente stravolta e destinata, in prospettiva, a un destino di precarizzazione e di perdita della propria autonomia. In particolare, il docente non sarebbe più titolare nella propria scuola di appartenenza, bensì in un Albo territoriale da cui i Dirigenti Scolastici li sceglierebbero, ritenendoli i più idonei a concretizzare il Piano didattico del proprio Istituto; un Piano, di durata triennale, non più deciso sovranamente dal Collegio dei Docenti, bensì dal Dirigente Scolastico, forse coadiuvato (ma bisognerà aspettare le eventuali modifiche al Disegno di Legge in discussione) da un ristretto gruppo di collaboratori. Una prospettiva, quella di un docente mero esecutore di un progetto didattico deciso da altri, che fa sorgere fondati sospetti di incostituzionalità [art.33: 'L'arte e la scienza sono libere e libere ne è l'insegnamento '].

Vorremmo però soffermarci su un'altra caratteristica peculiare del Disegno di Legge in oggetto, che preoccupa in pari modo i docenti più consapevoli, esito in realtà di un'idea di scuola sostenuta anche dai precedenti progetti di riforma. Ci riferiamo allo scadimento che la cosiddetta 'Buona Scuola ' causerebbe alla qualità della didattica, pregiudicando lo spessore del percorso formativo del discente, il quale uscirebbe dalla scuola superiore con un bagaglio culturale decisamente inferiore rispetto a oggi, più in difficoltà peraltro a competere nel mercato globale. Si realizzerebbe cioè una paradossale eterogenesi dei fini, poiché vanto dell'esecutivo è proprio quello di voler rendere più efficace il contributo della scuola al futuro successo professionale degli allievi. Il progetto della 'Buona Scuola ', nel suo complesso,  fa suo il principio, ripreso da tutt'altro che trasparenti teorie cognitiviste, in merito alla non centralità del sapere disciplinare; principio che  si è diffuso nel mondo della scuola dagli anni Novanta e che fa perno sul concetto di 'competenza '. I contenuti di cultura non avrebbero un valore formativo in sé, ma sarebbero solo strumenti utili per conseguire abilità astratte, da spendersi in contesti altri dall'ambito disciplinare in cui li ha incontrati lo studente. Obiettivo prioritario, secondo questa prospettiva, è mettere l'alunno in grado di svolgere funzioni operative, pratiche; di conseguenza, diventa imprescindibile ripensare il valore formativo delle discipline nonché la loro modalità di insegnamento. Esse non verrebbero più approfondite nella loro continuità storicistica, come un insieme di posizioni succedutisi nel tempo in un proficuo confronto culturale, bensì spezzettate in moduli autonomi, selezionate per argomenti più facili a svolgersi secondo criteri formalizzanti. Come si è detto, il fine di tale pratica didattica  non è il contenuto disciplinare in sé, ma la metodologia con cui lo si è acquisito, che deve poter essere riprodotta in contesti pratici del tutto differenti.

Viene estromessa dall'ambito educativo, in questo modo, l'idea stessa di cultura come fonte di sapere alla base di un'autentica emancipazione, che è dovere dello Stato trasmettere a tutte le componenti sociali perché possano vivere con consapevolezza la propria appartenenza alla cittadinanza. La capacità critica di rapportarsi alla contemporaneità, che può essere acquisita solo attraverso il confronto teorico (in particolare storiografico), viene sacrificata in nome di un'efficienza tecnica che farebbe degli studenti dei futuri buoni esecutori. Eppure è dubbio che tale risultato possa essere proficuamente raggiunto. La straordinaria velocità con cui si succedono i saperi, e che renderebbe necessaria, secondo le teorie pedagogistiche, tale nuovo approccio utilitaristico, in realtà è destinata a fallire proprio perché i contenuti 'tecnici ' imparati a scuola sarebbero già obsoleti nel momento in cui il discente si trovasse a confrontarsi con la realtà del lavoro. Laddove proprio una consapevolezza del mutamento storico, ovvero uno studio delle diverse discipline anche attraverso l'approccio storicistico, e quindi l'abitudine a riflettere sulle relazioni critiche tra le diverse ipotesi conoscitive, fornirebbe a lui quella disponibilità mentale adatta a porsi problemi e a gestire eventuali e repentini cambiamenti.

Ancora una volta, come si nota, è in discussione il ruolo attribuito al sapere storico, che subisce nella nuova scuola un ulteriore attacco, ovviamente non dichiarato in modo diretto, ma implicito negli obiettivi formativi citati nel Comma 3 dell'Articolo 2 del Disegno di Legge, che il Dirigente Scolastico -tutt'altro che libero, in realtà-  dovrà obbligatoriamente ottemperare nel Piano didattico triennale.  È interessante notare che tali obiettivi non coincidono affatto con le attuali Classi di Concorso; quindi il Dirigente Scolastico potrebbe scegliere i docenti non in relazione alle competenze disciplinari,  ma in base ad altri requisiti (conoscenza di una o più lingue straniere, abilità informatiche, ecc.). Un Dirigente Scolastico, per esempio, potrebbe decidere che la filosofia nel suo Istituto venga insegnata unicamente per valorizzare il pensiero computazionale, non svolgendola storicamente ed espungendo molti autori fondamentali. Il curriculum compreso nell'albo servirebbe a selezionare questo tipo di personale, magari mettendo da parte gli insegnanti con una lunga esperienza nella didattica disciplinare. Facile anche immaginare -ritornando sul terreno più propriamente sindacale- il clima di pressione cui sarà oggetto il docente, non più libero nelle proprie scelte didattiche.

Nell'opinione pubblica non vi è piena consapevolezza di questa trasformazione, e anzi prevale  la convinzione che tale ruolo del Dirigente Scolastico assicuri una valutazione del 'merito ' dei docenti. Come si è visto, invece, tale merito farebbe riferimento a criteri totalmente estranei ai fini più autentici della relazione educativa. In molte scuole si è avvertita l'esigenza di instaurare un confronto diretto tra insegnanti e genitori, per chiarire questo importante aspetto. E laddove la scuola è in grado, grazie alla professionalità dei docenti, di garantire  la qualità dell'istruzione, questo confronto è stato proficuo e ha permesso di controbattere e correggere le argomentazioni semplificanti per lo più portate a sostegno del Disegno di legge. 

 


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13 MAGGIO 2015

 

 

 

 

          Una prospettiva, quella di un docente mero esecutore di un progetto didattico deciso da altri, che fa sorgere fondati sospetti di incostituzionalità

 

 

 

             I contenuti di cultura non avrebbero un valore formativo in sé, ma sarebbero solo strumenti utili per conseguire abilità astratte, da spendersi in contesti altri dall'ambito disciplinare in cui li ha incontrati lo studente

 

 

 

             proprio una consapevolezza del mutamento storico, ovvero uno studio delle diverse discipline anche attraverso l'approccio storicistico, e quindi l'abitudine a riflettere sulle relazioni critiche tra le diverse ipotesi conoscitive, fornirebbe a lui quella disponibilità mentale adatta a porsi problemi e a gestire eventuali e repentini cambiamenti

 

 

             Un Dirigente Scolastico, per esempio, potrebbe decidere che la filosofia nel suo Istituto venga insegnata unicamente per valorizzare il pensiero computazionale, non svolgendola storicamente ed espungendo molti autori fondamentali