Renzo Riboldazzi  
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CITTA' BENE COMUNE 2015: QUATTRO LIBRI PER DISCUTERE


Incontri di cultura del progetto urbano



Renzo Riboldazzi


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La città è un bene comune? E se lo fosse, in che modo il progetto e il governo urbano e territoriale contemporanei possono contribuire a garantire ai cittadini questa condizione di civiltà? A queste e ad altre questioni rispondono quattro autori di pubblicazioni più o meno recenti che, sollecitati da un nutrito gruppo di discussant, parteciperanno alla terza edizione del ciclo di incontri di cultura del progetto urbano 'Città Bene Comune', organizzato anche quest'anno da chi scrive per la Casa della Cultura e il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano.

La tesi di fondo è che, per tutta una serie di aspetti dai confini non sempre ben definiti, la città sia un bene comune e lo siano non solo gli spazi o gli edifici di proprietà pubblica, ma l'intero organismo urbano nel suo insieme come fatto fisico, sociale e politico, con tutto quel corollario di diritti che ne consegue - diritto alla casa e all'abitare urbano, alla fruizione di servizi e attrezzature collettive, alla partecipazione nel governo della cosa pubblica - ben esemplificato da Edoardo Salzano nel suo La città bene comune (ed. Ogni uomo è tutti gli uomini,  Bologna 2009). Un approccio che evidentemente può essere esteso - così com'è stato fatto negli ultimi anni - ad altri temi non meno importanti che intersecano le sfere culturali e professionali di quanti si occupano di disegno urbano e territoriale, di quanti gravitano intorno al mondo dell'architettura, di quanti amministrano le nostre città e il nostro territorio o studiano e scrivono e riscrivono le regole per il loro governo ma soprattutto la galassia di quanti, singoli o organizzati, si sentono cittadini e non sudditi, di quanti a un parallelo e progressivo disinteresse verso la politica praticata dai partiti contrappongono un'idea di cittadinanza attiva, consapevole e direttamente partecipe nel determinare il futuro dei luoghi in cui vivono. Tra questi temi, per citarne alcuni, quello del paesaggio - a questo proposito rimando, per esempio, a Il paesaggio come bene comune di Salvatore Settis (Pitagora, Napoli 2010) o, dello stesso autore e per una lettura più ampia e approfondita, al fondamentale Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile (Einaudi, Torino 2010) -; oppure il tema del suolo, tanto come elemento essenziale per la sopravvivenza del genere umano quanto come substrato di una vita che va oltre l'esistenza e comprende dunque la cultura di un popolo e le sue testimonianze materiali  - su questo v., per esempio, Amor loci. Suolo ambiente cultura civile di Paolo Pileri e Elena Granata (Cortina, Milano 2012) -; infine - ci fermiamo qui ma è chiaro che potremmo spingerci fino alle grandi questioni dell'alimentazione, della salute e dell'istruzione - il tema dell'ambiente, considerato perfino negli aspetti climatici - come fanno Luca Mercalli e Alessandra Goria nel loro Clima bene comune (Bruno Mondadori, Milano 2013) -.

Il primo incontro alla Casa della Cultura (lunedì 4 maggio alle ore 18) sarà con lo storico dell'arte Tomaso Montanari che nel 2013 ha pubblicato, per i tipi di Minimum fax, Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l'arte e la storia delle città italiane. Non si tratta dell'ultimo libro di questo generoso autore che con lo stesso editore lo scorso anno ha pubblicato Istruzioni per l'uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà e, recentemente, per Einaudi, Privati del patrimonio. Tuttavia, questo lavoro - di cui discuteremo con il contributo di Giulio Ernesti, Jacopo Muzio e Paolo Pileri - appare interessante perché - al di là degli incresciosi fatti di cronaca di cui narra (e di cui Montanari è stato talvolta protagonista in prima persona) relativi al patrimonio artistico e culturale italiano e al di là della vivida e condivisibile denuncia circa la mercificazione delle cosiddette 'città d'arte ' nonché delle opere che dovrebbero gelosamente custodire - è fondato sulla tesi dell'inscindibilità tra forma dello spazio pubblico, identità collettiva e democrazia. 'Per secoli, anzi per millenni, la forma dello Stato, la forma dell'etica, la forma della civiltà stessa si sono definite e si sono riconosciute nella forma dei luoghi pubblici - scrive Montanari -. Le città italiane sono sorte come specchio, e insieme come scuola, per le comunità politiche che le abitavano. Le piazze, le chiese, i palazzi civici italiani - prosegue - sono belli perché sono nati per essere di tutti: la loro funzione era permettere ai cittadini di incontrarsi su un piano di parità '. Si tratta di una tesi forse non nuova, almeno per quanto riguarda gli aspetti dell'identità e l'idea di città come opera d'arte. Stendhal - ci ricorda lo stesso Montanari - considerava l'Italia il paese più bello del mondo 'non solo perché possiede molte singole opere d'arte eccellenti, ma perché consiste in un tessuto continuo, unico al mondo, di chiese, palazzi, cortili, giardini, paesaggi ' oppure - per venire ad autori contemporanei con cui ci siamo confrontati alla Casa della Cultura nelle scorse edizioni di questo ciclo - Marco Romano (nel suo La città come opera d'arte, Einaudi, 2008) o Giancarlo Consonni (nel suo La difficile arte. Fare città nell'era della metropoli, Maggioli 2008) affrontano questi stessi temi seppur con approcci sensibilmente differenti. Il lavoro di Montanari, tuttavia, appare di particolare interesse sia perché capace di mettere a nudo le drammatiche contraddizioni e le orribili speculazioni che su questo fronte si stanno perpetrando con le politiche culturali delle principali città italiane, sia perché - considerato che lo spazio pubblico delle nostre città 'da traduzione visiva del bene comune [appare, sempre più spesso, come la] rappresentazione della prepotenza e del disprezzo delle regole ' - suscita una serie di questioni sulle quali vale la pena riflettere. In particolare, vien da chiedersi se in una società multietnica e multiculturale come la nostra sia ancora possibile immaginare per il futuro un'idea di bellezza condivisa dello spazio pubblico e, in tal caso, come identificarla, come praticarla con i poveri strumenti culturali, normativi e operativi che abbiamo a disposizione. Se - considerate le logiche sottese a una produzione edilizia palesemente piegata alla rendita immobiliare e a un immaginario formale omologato dallo strapotere mediatico delle cosiddette 'archistar ' - siano ancora ipotizzabili forme di progetto e di governo del territorio in grado di parlare quella 'lingua di forme e figure [che nella Siena del trecento, così come in molte altre città italiane] era un fatto pubblico [perché - osserva lo stesso Montanari -] la bellezza della città era legata direttamente all'onore dei cittadini, e doveva essere al centro delle preoccupazioni del governo comunale '. Infine, vien da chiedersi se - considerato lo stato dell'urbanistica italiana e la miseria di certe pratiche amministrative - ci sia ancora spazio per coltivare la speranza di città che - come auspica l'autore e noi tutti con lui - 'non solo rappresentano, ma in qualche modo alimentano l'identità comune '.

Il secondo incontro (lunedì 11 maggio alle ore 18) sarà con il giurista Paolo Maddalena autore de Il territorio bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico (Donzelli, Roma 2014), un libro che - come osserva Salvatore Settis nell'introduzione al volume - si muove entro tre coordinate principali - quella della politica, quella della cittadinanza e quella dello 'scontro frontale fra le ragioni del mercato e i principi del bene comune ' - offrendoci 'un contributo, appassionato e rigoroso, a quella discussione sui beni comuni che va oggi dilagando, ma - scrive Settis - non sempre con piena consapevolezza  delle categorie giuridiche adoperate né del loro spessore storico né, infine, del loro concreto potenziale politico e civile '. Maddalena - che alla Casa della Cultura si confronterà con Giancarlo Consonni, Luigi Mazza e Gabriele Pasqui - apre la sua riflessione evidenziando i pesanti squilibri ambientali ed economici del pianeta. Ne deduce l'improcrastinabile necessità 'di agire […] colpendo le idee che sono la causa diretta e immediata di [quella che definisce una] immane tragedia '. Infine propone di passare da una 'visione individualistica dei diritti a quella collettivistica […] secondo il principio indefettibile dell'uguaglianza economica e sociale di tutti i cittadini '. Tutto ciò, facendo sereno affidamento sulla Costituzione italiana in cui già oggi - sostiene Maddalena - 'nulla si oppone, dal punto di vista del diritto positivo, a considerare l'uomo e l'ambiente sul piano dei valori '. Ecco, forse proprio qui sta il contributo più importante di Maddalena, ovvero nella sua capacità di rileggere il documento che è alla base della nostra democrazia e del nostro vivere civile - tanto in prospettiva storica, quanto intrecciandolo ad aspetti politici, economici, sociali e ambientali contemporanei - facendo emergere caratteri e potenzialità inaspettati sul fronte della tutela del territorio e, più in generale, dei beni comuni. L'ex giudice della Corte costituzionale, per esempio, ricostruisce il percorso attraverso cui, 'con il predominio della cultura borghese e della nuova cultura neoliberista, si è persa […] l'idea della 'proprietà collettiva ' ', un 'tipo di proprietà che - afferma -, a torto, si considera non più esistente ', mentre non solo ha un fondamento storico antichissimo ma 'è tuttora presente e attiva nel nostro ordinamento giuridico '. La 'dimensione del collettivo ', che - sostiene l'autore - è stata 'portata a livello di principio fondamentale del nuovo sistema ordinamentale della Costituzione repubblicana ', è - per Maddalena - quella 'nella quale si pongono i beni comuni '. Tra questi, il territorio - ' 'bene comune unitario ' formato da 'più beni comuni ' ' -su cui il popolo - 'considerato nella sua interezza, senza alcuna distinzione 'di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali ' (art. 3 Cost.) ' - mantiene la sua sovranità e a cui, proprio in virtù di quest'ultima, 'spetta - secondo l'autore - anche di decidere della destinazione d'uso e di godimento del territorio stesso; e, dunque, il potere di stabilire […] quanta parte del territorio medesimo debba essere riservato all'appartenenza e all'uso inclusivo, pubblico e diretto del popolo stesso [e debba quindi essere] oggetto di proprietà collettiva, e quanta parte possa essere ceduta in appartenenza e uso esclusivo dei singoli ' ovvero alla proprietà privata. Ma ci sono almeno altri due aspetti del contributo di Maddalena che mi pare interessante sottolineare perché gravidi di conseguenze sul piano del progetto e del governo del territorio e perché da un lato contribuiscono a riaffermare la legittimità della pianificazione urbanistica, dall'altro sembrano presupporre la necessità di un ripensamento dei suoi strumenti e delle sue pratiche. Si tratta del principio, ancora una volta costituzionale, in base al quale anche l'uso e la gestione di una proprietà privata non possono prescindere dal perseguimento del bene comune, dell'interesse pubblico. E si tratta del 'principio della partecipazione di tutti i cittadini all'attività di carattere amministrativo […] sancito - ci ricorda l'autore - a chiare lettere ' dalla Costituzione. In altri termini, per Maddalena, 'il Costituente ha subordinato la tutela giuridica della proprietà privata alla funzione sociale ' stabilendo in tal modo 'la sacralità del territorio, la sua intangibilità come patrimonio comune del popolo e come luogo nel quale è garantito lo svolgimento delle libertà costituzionali '.

Il terzo incontro (lunedì 18 maggio alle ore 18) sarà con l'urbanista Paolo Berdini autore de Le città fallite. I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano (Donzelli, Roma 2014). Si tratta di un libro da cui - osserva Paolo Maddalena nella prefazione al volume - emerge chiaramente come, in Italia, la 'distruzione territoriale e ambientale [degli ultimi decenni] sia andata di pari passo con la cancellazione delle regole dell'urbanistica ' e da cui appare in modo altrettanto evidente 'l'importanza delle regole urbanistiche, del loro valore di civiltà '. Berdini - che alla Casa della Cultura discuterà dei temi del suo libro con Corinna Morandi, Federico Oliva e Graziella Tonon - traccia un quadro desolante di come, tanto per ragioni economico-finanziarie quanto per ragioni politiche, negli ultimi decenni si sia progressivamente smantellato un 'patrimonio di idee e conquiste ' faticosamente costruito dalla cultura urbanistica e amministrativa nel XIX e nel XX secolo. Un patrimonio di strumenti progettuali, norme e teorie che - seppur imperfetto, lacunoso e perfino responsabile di alcune delle situazione più problematiche delle grandi città (pensiamo alle condizioni di molti quartieri di edilizia sociale del secondo dopoguerra) -, consentiva di offrire, almeno quando c'era la volontà di farlo, un minimo di resistenza a quelle forme di speculazione immobiliare che agiscono in assoluto disprezzo di ogni forma di ragionevole pianificazione e, più in generale, del bene comune. 'Oggi - afferma Berdini - stanno [perfino] venendo meno le condizioni culturali, economiche e sociali che hanno garantito alle città una storia ininterrotta di sei millenni. La finanza dominante - prosegue - ha deliberatamente rotto lo storico patto sociale su cui è fondata la vita delle città ed è stata conseguentemente minata alla radice la stessa concezione del vivere comune '. Da un lato, infatti, l'enorme produzione edilizia degli ultimi decenni non ha ridotto la domanda di case tanto che l'abitare urbano appare come qualcosa di inaccessibile a fasce sempre più ampie di popolazione: si stima che 'la fascia del disagio abitativo riguardi […] 4 o 5 milioni di italiani ' mentre la 'consistenza del patrimonio abitativo realmente inutilizzato sia pari a 3 milioni di alloggi, la metà dei quali è di recente produzione '. Dall'altro - osserva l'autore - ha pesantemente contribuito al dissesto delle casse comunali: 'al 2014 sono 180 i comuni falliti per motivi economici e la maggioranza delle città italiane è indebitata '. Questo anche per l'enorme impegno economico richiesto alle municipalità per la realizzazione e il mantenimento in efficienza di opere di urbanizzazione, infrastrutture e servizi in aree sempre più ampie e irrazionalmente edificate 'sulla base esclusiva della convenienza del proprietario ', proprio in anni in cui - a fronte di una riduzione dei finanziamenti statali - alle amministrazioni veniva concesso di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente mettendo così in moto un circolo vizioso con conseguenze devastanti per il territorio. Un fenomeno che per lungo tempo ha goduto di un vasto consenso - 'dal 1994 al 2008 - scrive Berdini - i sedici milioni di famiglie proprietarie  hanno visto crescere il valore del proprio alloggio almeno del doppio ' e questa è parsa a molti la via per facili arricchimenti -, ma nello stesso tempo un fenomeno che ha avuto effetti pesantissimi sull'intero sistema di welfare urbano e - come dimostrano le sempre più frequenti manifestazioni di dissesto idrogeologico che colpiscono le città italiane - perfino sulla sicurezza dei cittadini. La soluzione che Berdini propone per uscire da questa situazione è drastica: 'bloccare definitivamente le espansioni urbane in modo da permettere il ripensamento e l'abbellimento di quanto è stato costruito [...]. Soltanto finanziando il rinnovo urbano e non la crescita, la creazione di sistemi di trasporto non inquinanti e non ulteriore asfalto, la messa in sicurezza dei servizi, delle abitazioni e dei corsi d'acqua - afferma - si potranno creare le premesse per una nuova fase economica ' e per una città più attenta al bene comune.

Il quarto e ultimo incontro del ciclo Città Bene Comune (lunedì 25 maggio alle ore 18) sarà con il politico Walter Vitali che lo scorso anno ha curato, per i tipi de il Mulino, Un'Agenda per le città. Nuove visioni per lo sviluppo urbano, un libro che raccoglie tredici saggi in cui si indagano, anche a partire dal caso bolognese, temi e questioni inerenti il futuro delle politiche urbane praticate dalle grandi città: si va dalle differenze di genere (Lorenza Maluccelli) alla democrazia urbana (Vando Borghi e Chiara Sebastiani), dalla partecipazione (Micaela Deriu e Raffaella Lamberti) alle città metropolitane (Luciano Vandelli e lo stesso Vitali), dallo sviluppo in tempi di crisi (Paola Bonora e Piergiorgio Rocchi) all'economia verde (Leonardo Setti e Silvia Zamboni), dalla mobilità sostenibile (Catia Chiusaroli e Carlo Santacroce) al welfare (Marisa Antonelli e lo stesso Vitali), dal ruolo della cultura (Mauro Felicori) a quello dell'università (Maurizio Sobrero e ancora Vitali), dagli ecosistemi digitali (Sergio Bonora e Marzia Vaccari) ai temi del lavoro (Cesare Minghini) e dello sviluppo locale (Silvano Bertini e Cristina Brasili). Si tratta di un lavoro - di cui discuteremo alla Casa della Cultura con Alessandro Balducci, Matteo Bolocan Goldstein e Patrizia Gabellini - che si inquadra nelle attività di Laboratorio urbano e si intreccia con quelle del Comitato interparlamentare per le politiche urbane (Cipu) dei quali Vitali è stato promotore con l'obiettivo di rispondere all'invito dell'Unione europea 'a ciascun paese membro, di dotarsi di 'un'ambiziosa Agenda urbana ' con almeno il 5% delle risorse assegnate a livello nazionale '. L'ex sindaco di Bologna e senatore del Partito Democratico imposta la sua riflessione su due questioni fortemente interrelate. La prima riguarda la distribuzione della popolazione sul territorio, le concentrazioni urbane e il loro impatto ambientale. La seconda concerne gli impatti della crisi economica e le potenzialità di ripresa che passano da un ripensamento integrale delle città, la loro riprogettazione 'come affermazione di un nuovo modello di sviluppo su scala globale '. 'Nel 2010 - scrive - per la prima volta nella storia, sui circa sette miliardi di abitanti del pianeta la popolazione urbana ha superato quella rurale. Ha così avuto inizio - afferma - un nuovo 'millennio urbano ', ed è previsto - sostiene -  che nel 2050 il 70% dei circa nove miliardi di abitanti di tutto il pianeta vivrà nelle città, 2,8 miliardi in più rispetto al 2010 '. Tuttavia, osserva, 'il modo in cui le città sono cresciute nel mondo occidentale non è più né ambientalmente né socialmente sostenibile […] ': l'impronta urbana delle città europee - è stato dimostrato - tende a crescere pericolosamente, i livelli di emissione di anidride carbonica delle città appaiono intollerabili, le disuguaglianze sociali chiedono risposte più incisive. 'L'Europa - scrive Vitali - è il continente più urbanizzato del mondo. […] Circa il 70% dei 507 milioni di abitanti dell'Unione vive in un'agglomerazione urbana con più di 5.000 abitanti '. Qui - sostiene - forse ancor più che negli Stati Uniti per effetto delle politiche di austerità imposte dall'Unione europea, la crisi economica 'ha picchiato duro ', soprattutto in alcune nazioni, ma è proprio da qui che - afferma - è possibile immaginare un nuovo modello urbano capace di trascinare la ripresa economica. Le città - scrive - possono infatti essere 'causa di gravi e insolubili problemi, oppure culla di un nuovo e diverso paradigma dello sviluppo a livello globale '. Questo - secondo Vitali - non dovrebbe prescindere da politiche volte all'azzeramento o al drastico contenimento del consumo di suolo e dello sprawl urbano; alla riduzione della filiera di produzione, distribuzione e consumo dei prodotti alimentari e non che conduca a una 'città a zero emissioni di carbonio '; alla 'riduzione della povertà e [all']affermazione di principi di uguaglianza '. Se superassimo - conclude l'autore - quel blocco cognitivo che ci impedisce di vederne le potenzialità e ci avventurassimo con più decisione verso un modello istituzionale che ne riconsidera decisamente il ruolo, le città potrebbero così essere tra i principali 'attori del cambiamento nel prossimo decennio '.

                                                                                         Renzo Riboldazzi

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

28 APRILE 2015

 

   

PROGRAMMA

 

lunedì 4 maggio 2015

ore 18.00

Tomaso Montanari

Le pietre e il popolo

Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane

intervengono: Giulio Ernesti, Jacopo Muzio, Paolo Pileri

 

 

  

lunedì 11 maggio 2015

ore 18.00

Paolo Maddalena

Il territorio bene comune degli italiani

Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico

intervengono: Giancarlo Consonni, Luigi Mazza, Gabriele Pasqui

 

 

  

lunedì 18 maggio 2015

ore 18.00

Paolo Berdini

Le città fallite

I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano

intervengono: Corinna Morandi, Federico Oliva, Graziella Tonon

 

 

  

lunedì 25 maggio 2015, ore 18.00

Walter Vitali

Un’Agenda per le città

Nuove visioni per lo sviluppo urbano

intervengono: Alessandro Balducci, Patrizia Gabellini, Franco Sacchi