Rosario Pavia  
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QUESTO PARCO S'HA DA FARE, OGGI PIÙ CHE MAI


Commento al libro di Alessandra Capuano e Fabrizio Toppetti



Rosario Pavia


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Il libro di Alessandra Capuano e Fabrizio Toppetti - Roma e l'Appia. Rovine Utopia Progetto (Quodlibet, 2017) con testi di Rachele Dubbini, Alessandro Lanzetta, Federica Morgia, la prefazione di Francesco Rutelli e la presentazione di Orazio Carpenzano - rivela subito, fin dal disegno impresso in copertina, il senso delle attività di ricerca e di esplorazione progettuale contenute nel testo. Il disegno rappresenta in modo essenziale, come in un logo, la figura planimetrica dell'area metropolitana romana. Pochi segni sulla macchia rossa dell'urbanizzato: le Mura Aureliane, il Grande Raccordo Anulare (GRA), i fiumi Tevere e Aniene, la linea di costa, l'asse dell'Appia Antica con il contorno del suo parco. Il segno dell'Appia Antica si pone immediatamente come infrastruttura urbana e insieme geografica, fa parte dell'identità della città ma anche della sua natura, appartiene al passato, incide sul presente, ma soprattutto si proietta nel futuro, delineando per la città una utopia concreta.

L'Appia Antica è in fondo una unità di misura , il suo asse è il raggio che interseca gli anelli delle mura e del grande raccordo, e va oltre. Roma nel suo disordine trova nell'Appia Antica un riferimento geometrico e spaziale: la linearità della strada romana e il grande vuoto del parco incidono entrambi nell'informe figura della metropoli attraversandola dal centro all'estrema periferia. A guardare bene questa arteria del passato diventa la misura della città contemporanea, non solo concettualmente ma concretamente, coinvolgendo la fisicità dei corpi in movimento. I romani misuravano lo spazio attraverso il passus che misurava 148 cm (in realtà comprendeva due passi) per cui attraverso il miglio romano, pari a 1480 m. vale a dire mille passus, possiamo ancora oggi misurare lo sviluppo della via Appia Antica e con essa il susseguirsi delle espansioni della città. È quello che Alessandra Capuano e Fabrizio Toppetti sembrano proporci con i loro saggi sulla crescita urbana e la trasformazione del paesaggio nel settore sud est della città.

La ricostruzione delle vicende dell'Appia Antica e del suo parco diviene un modo originale per riflettere sulla storia moderna di Roma. Il progetto di connettere l'area archeologica centrale con l'Appia Antica trova il suo avvio nel periodo napoleonico, in cui si coglie per la prima volta l'unitarietà del sistema archeologico e ambientale che dai Fori si proiettava nel territorio, allora deserto, attraverso la strada che era il simbolo stesso della conquista dell'impero. La visione è ripresa dopo un secolo (nel 1916) da Marcello Piacentini che associa l'Appia Antica all'ipotesi di un parco da inserire all'interno di una corona di aree verdi distribuite intorno alle mura Aureliane. Con tale modello di Piacentini si rifaceva alle esperienze più avanzate del momento da Chicago alla Grande Berlino. Dal punto di vista della strumentazione urbanistica l'idea del parco viene formalizzata con il piano del 1931, che vincola come una vasta area lungo l'Appia Antica e l'Ardeatina, senza tuttavia procedere a nessun esproprio per pubblica utilità. Nei decenni successivi, abbandonate le grandi visioni urbanistiche, l'area viene corrosa e intaccata da una serie di programmi attuativi e da una attività edilizia strisciante, minuta, in gran parte abusiva. Nel corso degli anni cinquanta, sarà Antonio Cederna, giornalista e archeologo, a denunciare il degrado dell'Appia Antica e a riproporre il tema della sua tutela attiva attraverso la creazione di un parco archeologico di grande dimensione. Il libro ricostruisce l'intensità del dibattito che porterà a vincolare circa 2500 ettari nel piano regolatore del 1962 (oggi 4580 ha), a cui seguiranno l'esproprio nel 1972 di 300 ha nella Valle della Caffarella come parco pubblico effettivo, la costituzione del Parco regionale dell'Appia Antica nel 1988, la sua estensione nella tenuta di Tor Marancia, l'acquisizione di nuove aree lungo gli acquedotti Claudio e Anius Novus. Con l'ultimo piano regolatore approvato nel 2008 l'Appia Antica e il suo intorno vengono individuati come uno dei cinque ambiti di programmazione strategica. Infine nel 2018 anche il Piano di assetto del parco è approvato.

Il risultato di questo lungo e controverso processo, in cui si inseriscono una serie di iniziative private con progetti a volte di qualificati professionisti come nel caso di Luigi Moretti (cui viene dedicata una interessante e inedita documentazione) è tuttavia deludente. Gli autori parlano a ragione di "un parco inesistente": le aree effettivamente espropriate e attrezzate sono meno del 18% dell'intera superficie; mancano i servizi di base, l'accessibilità è scarsa, degrado e abusivismo incombono ancora, il parco nella sua estensione non è fruibile per la mancanza di connessioni che rendano possibile l'attraversamento delle proprietà private. C'è da chiedersi perché finora non si sia imposto un uso mirato delle servitù di passaggio, facendone una questione di diritto come in Inghilterra con le Coutryside and Rights of Way Act.

Il Parco dell'Appia Antica è una risorsa immensa, un patrimonio archeologico unico per il suo inserimento paesaggistico, per la presenza di ambiti naturali che vengono da lontano (alcuni ambienti appartengono al mondo preromano), di terreni agricoli e di prati per il pascolo, di cave che raccontano la storia geologica di un territorio segnato dalle colate laviche di 40.000 anni fa. Tutto questo fa del Parco dell'Appia antica un bene comune inestimabile. Straordinario eppure misconosciuto, periferico nel senso che non è diventato una centralità urbana, fa parte della periferia romana come i quartieri che si sviluppano ai suoi lati (dall'Appiolatino, al Tuscolano, all'Ardeatino, a Grotta Perfetta, allo Statuario e Capannelle….). Tra le periferie urbane e il parco non si è stabilito un rapporto di integrazione, di scambio, di appartenenza; la popolazione ignora il parco, non vi si riconosce. È una questione di accessibilità, di assenza di servizi, ma anche culturale. Manca da tempo una politica urbana attenta allo spazio pubblico e al ruolo del verde come infrastruttura per la salute e il piacere della popolazione, alla sua funzione di connessione territoriale.

Il parco dell'Appia Antica è una risorsa periferica anche sul piano della valorizzazione economica: la sua bellezza, il suo patrimonio non producono ricadute produttive, non promuovono servizi, imprese, innovazioni, sono vissuti piuttosto come costi passivi. L'intento del nuovo piano regolatore di farne un ambito di programmazione strategica non ha avuto sviluppi operativi: non ci sono stati investimenti né sul piano infrastrutturale, né sul piano della manutenzione e della gestione (l'ultimo grande intervento risale al Giubileo del 2000 ed è stato l'interramento del Grande Raccordo Anulare che tagliava in due l'Appia Antica). Il libro nell'analizzare e raccontare le straordinarie bellezze dell'area, i suoi valori storici, archeologici, naturali e culturali, nel ricostruire un immaginario che attraversa i secoli, fa trapelare un senso di amarezza e di nostalgia per un futuro che non si è realizzato. Lo spazio verde dell'Appia Antica è in fondo un'assenza, un'attesa, un vuoto che esprime una domanda di progetto.

Gli autori sono consapevoli che il futuro di Roma e della sua area metropolitana si gioca in gran parte in questo vuoto da riscattare e proporre come struttura portante di un nuovo sviluppo. Molti saggi del volume si muovono in questa direzione. Tra questi, quello dedicato alle carte e alle mappe offre una selezione di rappresentazioni del territorio (dal Cinquecento alla contemporaneità) che, interpretando la relazione tra Appia Antica, paesaggio e città, sembrano già orientare le proposte progettuali attraverso cui gli autori del volume danno prospettiva al loro lavoro di ricerca. Per loro il vuoto verde dell'Appia Antica cela un'utopia: riconnettere il parco alla città ed estenderlo nel territorio metropolitano congiungendolo a quello dei castelli romani. La proposta di un Superparco raccoglie le visioni del passato, ma le rielabora in una idea di città che va oltre i confini amministrativi, alla ricerca di un nuovo statuto di città regionale e di governance. Su questi ultimi aspetti gli autori non si soffermano, ma sembrano far riferimento alle tesi che Walter Tocci porta avanti da tempo per una città metropolitana con i poteri di una Regione capitale.

Il Superparco dell'Appia Antica diventa così l'occasione per riorganizzare la rete della mobilità (in particolare ferroviaria), per riqualificare i margini delle periferie attraversate, per rendere fruibile e accessibile un bene con servizi e attrezzature adeguate. Il Superparco è un progetto ambizioso, il suo obiettivo di aprirsi al mondo come patrimonio dell'umanità rivela l'utopia di restituire a Roma una centralità perduta. L'utopia sta proprio in questo: la rigenerazione della città non muove dall'interno, dal pieno del sistema urbano, ma dal vuoto, da un parco archeologico unico al mondo, ma forse e soprattutto dal suo essere stratificazione geologica, culturale e naturale: un grande corpo verde, organico, un grande suolo che respira e restituisce alla città il suo equilibrio ambientale. Si tratta di un messaggio importante. In fondo, portare dentro il sistema urbano un grande parco ripropone in termini nuovi il progetto moderno di integrare la città con la natura. Oggi sappiamo che da tale integrazione dipende la capacità di adattarsi al cambiamento climatico.

Rosario Pavia

 

 

N.d.C. - Rosario Pavia, già professore ordinario di Urbanistica all'Università degli Studi "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara, ha diretto il Dipartimento Ambiente Reti e Territorio dello stesso ateneo e il periodico "Piano Progetto Città".

Tra i suoi libri: Le paure dell'urbanistica (Costa & Nolan, 1996); con A. Clementi, Territori e spazi delle infrastrutture (Transeuropa, 1998); Babele. La città della dispersione (Meltemi, 2002); con L. Caravaggi e S. Menichini, Stradepaesaggi (Meltemi, 2004); Adriatico risorsa d'Europa (Diabasis, 2007); con M. Di Venosa, Waterfront. Dal conflitto all'integrazione (LISt, 2012); Il passo della città. Temi per la metropoli futura (Donzelli, 2015); Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale (Donzelli, 2019).

Per Città Bene Comune ha scritto: Il suolo come infrastruttura ambientale (11 maggio 2016); Leggere le connessioni per capire il pianeta (21 giugno 2018).

Sui libri di Rosario Pavia, v. i commenti di: Renzo Riboldazzi, Città: e se ricominciassimo dall'uomo (e dai suoi rifiuti)? (23 settembre 2015); Patrizia Gabellini, Un razionalismo intriso di umanesimo (22 settembre 2016).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

19 APRILE 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2013: programma/present.
2014: programma/present.
2015: programma/present.
2016: programma/present.
2017: programma/present.
2018: programma/present.
2019: programma/present.
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019:

M. Talia, Salute e equità sono questioni urbanistiche, commento a: R. D'Onofrio, E. Trusiani (a cura di), Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018)

M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)

A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)

P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)

M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)

M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)

P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)

C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)

F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

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