Annalisa Calcagno Maniglio  
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NON È COSÌ CHE SI TUTELA IL PAESAGGIO


Una riflessione a partire dal caso del porto di Otranto



Annalisa Calcagno Maniglio


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La baia di Otranto è un'insenatura naturale che dall'antichità costituiva un'importante base navale dei viaggi verso l'Epiro e il Peloponneso; a seguito della caduta dell'Impero romano d'Occidente è divenuta uno scalo commerciale dei mercanti veneziani, greci, armeni. La penisola salentina è stata chiamata 'Terra d'Otranto' per il ruolo assunto da Otranto come polo importante politico e culturale del territorio. Negli ultimi secoli, a nord della baia, è stato definito il porto nelle sue attuali forme e dimensioni a seguito della costruzione di una lunga banchina, protetta all'esterno da grossi frangiflutti; è stata allungata negli ultimi anni per riparare la baia dai forti venti dominanti di grecale e tramontana. A est, la banchina del porto si collega con la terraferma dove sono sorte la Capitaneria di Porto, un piccolo bar, la sede della Lega Navale, un'officina meccanica dotata delle attrezzature necessarie per l'alaggio e il varo e una stazione di servizio per i rifornimenti delle imbarcazioni. A sud, il quadro principale e dominante della baia è costituito dai resti di una spiaggetta chiamata "fabbrica", dai bastioni, dalle antiche mura, dal piccolo molo per le barche da pesca, dal lungo- mare degli eroi, dai lidi Miramare e Camillo. A ovest la baia proseguiva con alcune grotte e un'alta scogliera nella località denominata "Punta"; purtroppo sono scomparse le grotte e i ruderi del vecchio castello napoleonico e tutta la zona, in passato ricca di dune, è stata intensamente edificata nella seconda metà del secolo scorso.

Gli elementi identificativi del paesaggio della baia sono la possente cinta delle antiche mura aragonesi, i bastioni, i torrioni cilindrici, insieme ai volumi architettonici emergenti della Cattedrale romanica e del Castello aragonese. In alcune cartografie storiche e nelle antiche vedute pittoriche, la baia è sempre rappresentata dalla presenza di barche, velieri e imbarcazioni di ogni tipo che emergono, in primo piano, sullo sfondo delle antiche mura. Con lo sviluppo turistico di Otranto, all'importanza del suo porto, come primo approdo sicuro dall'attraversamento del Canale d'Otranto e sosta stabile delle imbarcazioni dei pescatori, si sono aggiunti nuovi traffici commerciali, libero ormeggio, nel lungo periodo estivo, di numerose imbarcazioni da diporto e frequenti servizi navali da e per la Grecia. Si è così imposta così al Comune di Otranto la necessità di creare un ordine nel casuale sorgere di corpi morti per gli ormeggi delle imbarcazioni stagionali e l'addensarsi di barche di varie dimensioni e caratteristiche non solo d'estate, ma anche d'inverno. È stata perciò progettata e costruita una struttura a pontili galleggianti, a "pelo d'acqua", con alcuni ancoraggi sul fondo marino, costituita da quarantadue elementi di dodici metri di lunghezza e di sei metri di larghezza, disposti in parte parallelamente alle mura, in parte a pettine, muniti di prese elettriche e approvvigionamento idrico. Il primo pontile dista una quarantina di metri dalla cinta muraria.

Recentemente, però è accaduto che la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto ha imposto al Comune di Otranto di smontare, al termine di ogni stagione estiva, i pontili recentemente installati nella baia del porto e di rimontarli all'inizio della stagione successiva: una decisione motivata dalla necessità di "restituire integrità panoramica alle mura" e di mitigare, nella stagione invernale, l'alterazione dell'integrità visiva causata dai pontili galleggianti (e dalle imbarcazioni che li affiancano). Il Comune di Otranto ha finora resistito a un ordine ritenuto illogico e oneroso, ma il Consiglio di Stato, per ben due volte, ha affermato e ribadito che la valutazione tecnico discrezionale della Sovrintendenza di Lecce, è ragionevole e adeguatamente motivata, perché il mantenimento, durante la stagione invernale, dei pontili nel porto di Otranto, altera permanentemente l'integrità visiva e la cornice ambientale dei beni tutelati.

Nel conflitto d'interessi insorto, lascio ai giuristi il compito di indagare se - alla luce della legislazione europea e nazionale che ha molto legiferato in materia di paesaggio - debba prevalere il parere dell'amministrazione comunale o quello degli organi dello Stato che si oppongono alla volontà manifestata dalla maggioranza della popolazione otrantina. Saranno gli economisti a dirci se corrisponda all'interesse pubblico sostenere annualmente un'ingente spesa per lo smontaggio e il rimontaggio dei pontili. E gli ecologi a chiarire se il consolidamento una tantum e definitivo dei pontili sul fondale, sia meno dannoso all'ambiente marino di quanto non lo sia lo sconvolgimento del fondale marino, causato due volte l'anno, dallo smontaggio e dal riposizionamento dei pontili. Desidero, invece, intervenire personalmente - nella logica paesaggistica e ambientale delle motivazioni addotte dalla Soprintendenza - perché da oltre mezzo secolo mi occupo di Architettura del Paesaggio e presumo di avere una certa conoscenza della materia per dissentire dalla decisione del Consiglio di Stato che, confermando quella della Soprintendenza, ha tautologicamente ritenuta esistente l'alterazione permanente dell'integrità visiva e della cornice ambientale del porto di Otranto, provocata dalla installazione dei pontili. Vorrei anzitutto cercare di entrare nella logica che ritiene necessario mitigare, nella stagione invernale, l'alterazione dell'integrità visiva provocata - a parere della Soprintendenza - dai pontili galleggianti per "restituire integrità panoramica" alle mura: vorrei trovare le ragioni che giustificano la complessa e onerosa operazione di montaggio e smontaggio dei pontili che conferiscono una chiara identità nautica, a conferma del ruolo portuale di Otranto. Poiché il mantenimento "in loco" dei pontili ancorati al fondo comporta, secondo il parere della Soprintendenza, "l'alterazione permanente dell'integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati", s'impone, poi, un'analisi dei significati attribuiti alle locuzioni "alterazione", "integrità visiva", "cornice ambientale", "beni tutelati" per comprendere a quale normativa si riferiscano.

Il parere della Sovrintendenza, a mio avviso, è un assioma superficiale perché non è accompagnato da un'adeguata motivazione, necessaria ad individuare l'ubi consistam dell'alterazione dell'integrità visiva e perché non tiene in alcun conto di come, dai tempi della legge sulle bellezze naturali del 1939, sono intervenuti provvedimenti evolutivi, legislativi e amministrativi, per superare la concezione esclusivamente estetica del territorio. Nel 1967, la Commissione Franceschini aveva richiamato l'importanza di "un'interpretazione storica e geografica globale della complessa realtà culturale di cui strutture e forme del paesaggio umanizzato sono l'espressione"; nel 1985, la legge Galasso aveva iniziato ad introdurre nella normativa del nostro Paese l'importanza di una pianificazione del territorio sotto l'aspetto paesistico e l'approfondimento attraverso varie analisi di linee e forme che strutturano il paesaggio ed esprimono i suoi aspetti e caratteri naturali, biotoci e abiotici. La Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) - importante trattato internazionale, ratificato dallo Stato italiano nel 2006 - fonda il suo impianto normativo sulla dimensione paesaggistica dell'intero territorio, portando il paesaggio a una nuova attenzione di amministratori, studiosi e professionisti, per le importanti funzioni che svolge "sul piano culturale, scientifico, ecologico, sociale ed economico" e ne riconosce la centralità strategica nelle politiche territoriali e nella considerazione della società. Le successive Raccomandazioni del 2008 dell'Unione Europea approfondiscono le disposizioni contenute nella CEP, ai vari livelli, nazionale, regionale e locale, analizzando i principi fondamentali che vi sono contenuti per facilitarne l'attuazione e le modalità di applicazione. I metodi di osservazione e interpretazione del paesaggio devono considerare l'intero territorio nel suo insieme e integrare tra loro i numerosi approcci conoscitivi, ecologici, archeologici, storici, culturali, percettivi, unitamente a quelli sociali ed economici. La percezione del paesaggio, conosciuto e vissuto dalla popolazione, deve essere tenuta, a sua volta, nella necessaria considerazione " sia nella sua evoluzione storica che nei suoi attuali significati e qualità". È chiara ed evidente, in queste considerazioni, la sollecitazione a superare le vecchie politiche fondate sulla tutela unicamente estetica e passiva di elementi e di singole parti di territorio riconosciute come notevoli, in favore di una considerazione e una cura attiva del territorio nella sua totalità paesaggistica.

L'intento politico della Convenzione si estende a ogni intervento umano che abbia operato nell'evoluzione del paesaggio, qualunque sia il valore culturale che antecedentemente all'intervento è stato attribuito a quell'area o territorio. Si è così passati da una visione vincolistica e statica della "conservazione", a un approccio legato alle prospettive di sviluppo sostenibile delle trasformazioni che prende in attenta considerazione le modifiche che possono essere apportate ai caratteri culturali e biofisici dei luoghi, ai nuovi sviluppi economici e sociali, allo sfruttamento delle risorse naturali: un approccio che deve essere concepito secondo "obiettivi di qualità paesaggistica" per rendere più equilibrata e armoniosa l'evoluzione del contesto socio-ambientale, la qualità della vita e delle attività delle popolazioni e il miglioramento delle risorse economiche dei territori della collettività. I riferimenti della Convenzione ai bisogni sociali, alla cultura locale ed al benessere individuale e collettivo riconoscono al paesaggio una dimensione di condivisione sociale che si configura come assolutamente necessaria affinché le popolazioni possano "godere di un paesaggio di qualità e svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione". In questa prospettiva il paesaggio costituisce il risultato di un processo percettivo e identificativo affidato alla popolazione che nel paesaggio vive e che nel paesaggio intende realizzare le proprie aspirazioni "per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del (proprio) ambiente di vita". È quanto riconosce espressamente la norma di cui all'art. 5 della Convenzione allorché impegna ogni parte contraente a "riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità".

La popolazione otrantina aveva, da anni , "occupato" con piccole imbarcazioni per lo svago e per la pesca tutto lo specchio d'acqua antistante le vecchie mura e l'amministrazione comunale, mostratasi sensibile al nuovo stato di fatto venutosi a creare, prevalentemente d'estate, ma anche d' inverno, ha voluto porre fine allo spettacolo della sua bella baia caratterizzata, soprattutto nella bella stagione, da un caotico disordine, anche visivo, creato dal casuale ancoraggio, di decine e decine di imbarcazioni, ciascuna con il proprio corpo morto, in tutte le direzioni. È accaduto così che le aspirazioni espresse dalla maggioranza della popolazione otrantina, nei confronti della baia del porto di Otranto, sono state democraticamente condivise dall'amministrazione comunale che ha proceduto a installare i pontili dove le barche, prima sparpagliate in lungo e largo, sono oggi ordinatamente ormeggiate, d'estate e d'inverno. La vista dall'alto delle mura è decisamente migliorata ed anche la vista delle mura, dal basso della baia, non risulta alterata in alcun modo perché i primi pontili dove sono ormeggiate le barche, sono distanti una qurantina metri dalla loro base. Il porto di Otranto è sempre esistito nella bella baia e, come in tutti porti del mondo, ospita barche e navi che entrano, escono e sostano, senza disturbare o alterare, con la loro presenza, i siti in cui sono inseriti; i bassi pontili dove sono ormeggiati i natanti che sostano nei porti, non possono alterare la visione dell'ambiente circostante che continua a essere gradevole indipendentemente dalla presenza dei pontili costruiti a pelo d'acqua. La Sovrintendenza ha dunque trascurato di considerare nel suo complesso unitario l'intero ambiente paesistico-territoriale in cui si collocano le mura e i contestati pontili galleggianti e di rilevare che la baia del porto di Otranto ha una storica identità paesistica da salvaguardare nel suo complesso unitario, composto da tutti gli elementi che lo compongono: Chiesa, Castello, Mura, spiagge, case, banchine portuali e barche. Questo insieme paesistico non può essere frazionato, protetto solo in alcuni aspetti, ma va conservato nella sua coerenza evolutiva, nei caratteri della sua esistenza e nella percezione dei valori e delle aspirazioni sociali espressi dalle popolazioni nei confronti dei luoghi della loro vita e delle loro attività: un porto vivo e vitale che risponde pienamente alle esigenze della popolazione otrantina, proprio come espresso nel processo di elaborazione dell'azione paesistica contenuto nei principi della Convenzione Europea del Paesaggio.

Dalle motivazioni addotte a giustificazione della rimozione invernale dei pontili, si comprende che la Sovrintendenza ha inteso tutelare soltanto l'integrità visiva delle mura, soprattutto d'inverno, quando, smontati i pontili, la baia del porto ritornerà parzialmente vuota di barche perché buona parte di esse dovrà essere messa a secco; ma se il bene da proteggere sono solo le mura e la loro prossima cornice ambientale, mi domando come sia stato possibile consentire la costruzione, sul bordo marino e nelle immediate vicinanze dei resti delle antiche mura messapiche, di alcune strutture per la ristorazione e la vendita, trascurando un tratto importante della "cornice ambientale" secondo il significato che sembra essere stato attribuito a questa espressione.

Deve inoltre essere ricordato che il MIBACT ha recentemente raccomandato di attivare nei vari Comuni degli "Osservatori del paesaggio" (già individuati e presentati dalla Convenzione Europea del Paesaggio), per il loro ruolo fondamentale di "laboratori del paesaggio" capaci di attivare, coordinare, la partecipazione dei cittadini per creare una cittadinanza attiva nelle scelte da attuarsi, in sede locale, come centri di sensibilizzazione e di produzione di conoscenze condivise, accessibili a tutti e di forte stimolo nelle politiche di integrazione del paesaggio nella trasformazione dei territori e nelle operazioni di valorizzazione paesistica e ambientale. Secondo il MIBACT, un intervento può dirsi appropriato ai luoghi a cui si applica, quando è passato al vaglio del processo di partecipazione-condivisione dei cittadini.

Per concludere, in queste mie personali osservazioni su questo caso particolare e solo apparentemente marginale è contenuta la risposta alle domande che mi sono posta sul significato delle espressioni "integrità visiva", "cornice ambientale", "beni tutelati" che, ahimè, ancor oggi vengono spesso utilizzate impropriamente e strumentalmente.

Annalisa Calcagno Maniglio*

 

 

 

*Professore Emerito di Architettura del Paesaggio

 

 


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12 GIUGNO 2019