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PER UN CAMMINAR LENTO, CURIOSO E PENSOSO


I rifugi del vivere quotidiano nel libro di Giampaolo Nuvolati






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Negli interstizi il ritmo della città cala e il silenzio prevale. […] Forse è durante una solitaria e placida passeggiata serale che, pur assorti nei nostri pensieri, prestiamo attenzione a uno spiazzo di terra battuta dove eravamo soliti giocare a pallone da ragazzi, a un albero sul quale abbiamo inciso il nostro nome, o una piccola targa su di un muro che richiama un episodio della Resistenza a noi forse sconosciuto […]. In ogni caso gli interstizi segnano una frattura rispetto ai ritmi cadenzati che incontriamo negli altri contesti". Poiché: "Si tratta di luoghi importanti per la nostra storia personale, siano essi i grandi edifici istituzionali sia i piccoli anfratti, gli interstizi della quotidianità. Questo libro si occupa proprio di questi ultimi"

 

Sono parole di Giampaolo Nuvolati, tratte da momenti diversi dell'Introduzione al suo ultimo saggio - Interstizi della città. Rifugi del vivere quotidiano (Moretti&Vitali, 2018) -, dove il termine interstizi, e non solo in tali brani, viene sempre declinato al plurale. Tale opzione annuncia ai lettori che in queste pagine potranno trovarsi dinanzi ad uno spassionato elogio del molteplice e non della singolarità. E, del resto, non è forse vero che anche il concetto di città non può che rinviare a realtà plurime? Non può che coniugarsi in frammenti destinati a scomporsi ulteriormente, oppure, a riaggregarsi in forme imprevedibili? Inoltre il nostro autore pare già preavvisarci che, per la pacatezza ritmica del genere di prosa da lui privilegiata, non ci imbatteremo nei consueti, monotoni, toni espositivi e descrittivi, assertivamente definitori che come è noto (e dovuto, talvolta) contrassegnano il consueto linguaggio saggistico. Non per questo i lettori, che mi auguro davvero numerosi, potranno evitare di imbattersi in qualche pagina (e ben vengano) più di tono accademico. Tuttavia, anche in questo frangente, il loro procedere si avvale pur sempre di cadenze mitigatrici dei consueti tecnicismi; poi gioiranno della assenza delle sfiziose citazioni di rito e ancor più accetteranno ben volentieri di riprendere fiato quando nel libro, ritmicamente, si schiuderanno talune finestre - autentici preziosi interstizi testuali - abitate da storie. Vere? Immaginate? Raccolte per le strade? Poco importa. Sicuramente emblematiche, commoventi e tali da confermare l'originalità e il valore a tratti letterario dell'opera. Tali prime considerazioni hanno infatti voluto sottolineare che uno dei meriti del volume è senza dubbio la scelta dello stile narrativo che Nuvolati vi ha impresso: fluenza della scrittura, adozione di procedimenti cadenzati tra sfondi teorici e primi piani empirici, punteggiature frequenti di accenni scenografici la cui liricità illumina i molti oggetti della ricerca. Donando ad essi effetti ben più convincenti e veridici di quanto ci accada solitamente di leggere in altre modalità argomentative.

Agli Interstizi della città Giampaolo Nuvolati, professore di Sociologia dell'ambiente e del territorio all'Università degli studi di Milano Bicocca, autore di saggi che hanno intrapreso nuovi sentieri di ricerca nel suo campo, contaminandone senz'altro altri, dedica quindi una proposta nella quale la sensibilità dell'autore è nondimeno poetica, problematicamente filosofica, autobiografica. È nelle sue pagine che dobbiamo perciò prima di tutto cercare e scoprire i motivi interstiziali ora adombrati, ora palesati. Il che lo rende un testo polimorfo e, con una metafora, simile alle voci, ai rumori, alle concitazioni, ai silenzi inquietanti delle nostre metropoli. Questo libro è insomma paragonabile al pulsare delle città. Anche ai non detti, ai rimossi, ai refusi perché gli interstizi non appartengono soltanto alla visibilità. Dove tali figure e momenti dell'esistenza dall'autore non sono soltanto quelli esplorati, registrati, catalogati sempre con grazia e acume dialettici. Sono gli stessi spazi bianchi del volume; li cogliamo lungo i margini dei fogli, li intravediamo nelle illustrazioni e negli schizzi che paiono attendere che il lettore li ricopra di annotazioni personali o di altri schizzi, trasformandosi egli stesso in un interstizio, in un brano aggiuntivo trascurato. È difficile infatti sfuggire alla tentazione di penetrare di persona in quei racconti aggiungendovi i propri. Non solo di leggerli ma di aprire sentieri di domande in essi, di proteggerli per questo o di rispecchiarvisi.

Gli interstizi, il sottotitolo ci rammenta, si rivelano nondimeno rifugi. Per lo più psicologici, memorialistici e in forma di ritiri meditativi. Al fine di reagire alle aggressioni delle distonie quotidiane, alienanti, disumanizzanti della metropoli. I ricoveri, i nascondigli, le tane urbane da luoghi di fortuna per i più sfortunati, man mano li vediamo convertirsi in zone di autodifesa, di solitudine cercata non nelle proprie case necessariamente. Bensì all'aperto, nei labirinti dei metro, nei tentativi di appropriarsi clandestinamente di un'appartenenza sociale rifiutata, tale da rendere le donne e gli uomini insignificanti interstizi. In altri momenti interstizi sono i luoghi della resistenza muta, della ricerca degli scarti, dell'annichilimento. Sono le suggestioni tematiche che saettano, si soffermano, riprendono sfuggono a ogni nostro tentativo preoccupato di disporle in un rassicurante ordine consecutivo.

Il tempo del libro è sovente sincronico: gli argomenti vengono qui anticipati e attraversati secondo un estro creativo, in un gioco di interconnessioni che ci consentono di prefigurare il possibile, uscendo finalmente dai rifugi: ovvero di ricomporre talune mappe di "epistemologia ambientale" alternative nelle quali emozioni, affetti sentimenti finalmente non vengo espunti. L'invito sempre gentile è quello di aprire finalmente gli occhi, ben oltre le tentazioni alla astensione e agli intimismi delle abitudini private. La ricerca e la determinazione dei paesaggi interstiziali, quando questi si dilatano, è resa possibile dalle trame concettuali che l'autore ci insegna a tessere avvalendosi di talune modalità eidetiche, senza le quali il pensiero sulle città non trova modo di evolvere. La nostalgia per le categorie fenomenologiche di Nuvolati si avverte quando nella lista del sommario (una sorta di lessico interstiziale) ogni voce binaria non in opposizione reciproca (ma all' insegna di un fecondo et...et; e non aut-aut) si rivela uno strumento metodologico cruciale per dar conto di come ermeneuticamente le rappresentazioni dei mondi interstiziali non possano che affidarsi, prima di tutto, alla cultura filosofica. Gli echi del pensiero di Edmund Husserl, di Martin Heidegger, di Jean-Paul Sartre, di Walter Benjamin tra gli altri qui evocati scoprono le loro carte a livello di utili, censitarie pratiche investigative per chiunque voglia avvicinarsi alle interstizialità che anche noi siamo in modo accettabile. Giampaolo Nuvolati ce ne propone non poche, le più salienti ci invitano ad interrogare concetti topologici quali: grande e piccolo, abitudine e sconcerto, indistinto e delimitabile, presente e memoria, bellezza e quotidianità, pubblico e privato... Ma non è ancora tutto, anzi ora a rigore dovremmo ricominciare da capo.

Nel libro c'è una presenza tematica, o meglio un convitato importante, fin qui volutamente non evocato. Eppure decisivo, senza il quale la trama, il plot complessivo, non reggerebbero la fatica di scrivere. Un apparente rimozione da parte mia? La cui non citazione potrebbe aver colpito qualche estimatore delle opere di Giampaolo Nuvolati? Ebbene nulla di tutto questo. Invito pertanto prima di tutto i suoi fedeli lettori e leggere tra le righe del titolo per ritrovarne le ben definite tracce. C'è una presenza presupposta, quasi implicita che si rende l'autentico protagonista, il regista, della narrazione nel suo insieme. Una omissione e un trucco di scena talvolta; un riconoscimento esplicito altrove, per altro così caro all'autore di cui non poteva evidentemente tacere. Ebbene è la flânerie - sostantivo femminile, si badi - il motivo determinante che torna alla grande a qualificarsi come "il tema esistenziale", come il continuum intellettuale, di un pensatore che ad ogni sua pubblicazione ce lo ripropone in forme originali. Se nel saggio non potessimo salutare il ritorno di alcune parole che ormai fanno parte del lessico intellettuale e autoriale di Nuvolati quali flânerie, flâneur, flâneuse, gli "interstizi", "le città", "i rifugi" del "vivere quotidiano" che campeggiano sul frontespizio ci apparirebbero come avvolti in una grigia, persino plumbea fissità alla Mario Sironi.

In verità se avessimo dato un' occhiata al primo contatto con il libro ai risvolti di copertina avremmo potuto già trarne qualche indizio. Leggiamo perciò:

"Quando si parla di interstizi è naturale riferirsi ad una figura come il flâneur - e ovviamente anche alla versione femminile: la flâneuse - perché questo personaggio […] rappresenta l'arte del perdersi nella città e dunque di entrare in rapporto con gli angoli più reconditi e le fenditure a prima vista più insignificanti e banali del contesto urbano".

Come possiamo dimenticare quei titoli che hanno fatto di Nuvolati lo studioso italiano più fecondo e determinato nell'associare alla flânerie suggestioni e proposte di questa sua nuova opera? Da quello Sguardo vagabondo che uscì per il Mulino nel 2006, ai più recenti L'interpretazione dei luoghi. Flânerie come esperienza di vita (University Press, 2013) o al contributo apparso sul Journal of Theories and Research in Education nel 2017.

Le tre parole hanno il potere di introdurre nelle esposizioni più sobrie all'inizio evocate una ventata di vigoria euristica e di vitalismo narrativo. Si tratta di autentiche folate critiche. Sono il frutto di accurate osservazioni sul campo come "persona qualunque", come viandante accorto e senziente; sono l'eco di rivisitazioni concettuali. Allorquando Nuvolati torna a essere scienziato sociale e lettore accanito di autori più noti in altre fonti del sapere, piuttosto che in ambito sociologico. Le quali, soffiando via la polvere dagli interstizi urbani o la mestizia dai rifugi nei quali estenuati e stressati ci ripariamo, hanno il potere, venendoci incontro con quei ritratti biografici esemplari e con quelle immagini prima inaspettate e più oltre attese, di rendere più leggere le necessarie indagini e più gradevoli le nostre interstiziali passeggiate metropolitane che il libro ci sollecita a intraprendere con uno sguardo disincantato, ma mai distratto e segnato da tediosi spleen che il flâneur disconosce e aborre.

Dove tale topos di tanta letteratura, riassume connotazioni per molti versi ormai mitiche: se citiamo i pochi ma autorevoli autori che già nell'Ottocento e poi nel Novecento se ne occuparono adottando altri nomi (vagabondo, girovago, ramingo, errante) per raccontarne i caratteri e le tensioni esistenziali. Sulle tracce autobiografiche di Thoreau, Baudelaire, Proust, Hesse, Rilke, Walser e, in altre direzioni critiche, ancora Benjamin, Mumford, Simmel, Perec. Le cui evocazioni non sono state sacrificate grazie ancora una volta alla leggerezza della penna. Il flâneur incarna e interpreta un mitologema contrassegnato dalla dinamicità, dal divenire, dalla inquietudine che molto rispecchia i tratti del germanico wanderer: il capostipite settecentesco di un modo di saper stare "instabilmente al mondo". Quando Nuvolati ne fa, e non per la prima volta: "L'emblema di un riscatto, delle piccole cose che si fanno grandi in quanto nascondono in se stesse un valore inestimabile". Aggiungendo che senza flânerie verrebbe meno la stessa possibilità di identificare i mondi, le isole, gli anfratti interstiziali ai quali apparteniamo spesso senza accorgercene, sprecando così l'occasione di farli anche poeticamente più nostri. Pertanto, finalmente:

"Perdendoci nella città cercheremo di rintracciarne il disegno tanto nei suoi tratti più materiali quanto in quelli simbolici. Gli interstizi si depositano sul fondo della nostra vita ordinaria e lì sedimentano i propri significati più preziosi, fino a farsi pronti per essere intercettati dal flâneur".

La fedeltà al motivo della flânerie rende possibile la scoperta dei "piccoli interstizi fisici che costellano la città", fanno parte delle nostre storie personali e ci consentono di tracciare "mappe urbane intessute di interstizi riscontrabili soltanto nei luoghi aperti. Laddove questi punteggiano il paesaggio della città… tessono una sottile trama, una ragnatela di significati". I quali lo sguardo riesce a cogliere e a connettere avvalendosi della preposizione tra: evocatrice di affettività, emozioni e commozioni proprie dei momenti temporali di attesa, sospensione, tregua contemplativa che la valorizzazione degli interstizi ci consente di percepire. Ma, nuovamente, non potranno che essere il flâneur / la flâneuse le figura meditative compagne di strada in grado di indicarci la via dell'epochè, della messa tra parentesi del pensiero e dei gesti. Dal momento che tali rifugi, ben lungi dal rivelarsi delle nicchie intimistiche e rassicuranti, difensive. È in questi momenti - come già sottolineato da un altro studioso Gianni Gasparini nei suoi lavori da Nuvolati giustamente citati - che è dato scoprire nondimeno il carattere connettivo degli interstizi, consistente nel "tenere insieme la realtà, il ricordo e la fantasia". In quanto "situazioni che non sempre saltano immediatamente agli occhi ma vanno ricercate e forse solo se vissute in prima persona possono diventare rilevanti". Nel libro "le prime persone" non per nulla emergono nelle loro più disparate soggettività e storie sia nei già citati ritratti, sia quando l'autore ci coinvolge in una sequela di quelle dicotomie sopracitate che la realtà empirica, materiale, fattuale poi sfuma, sotto la prudente e sapiente arte di coloro che rendono corpo vivente, osservante e attento, la flânerie. Ma Giampaolo Nuvolati non è soltanto un flâneur alla ricerca di interstizi, per ciò che scrive, ma per come scrive. È un esempio emblematico di un modo di procedere secondo flânerie applicato alla narrazione. Al di là di uno dei suoi temi di ricerca tra i più prediletti, ai quali si dimostra fedele anche quando non ne tratti in modo esplicito. Egli è flâneur della parola. Del discorrere, dell'argomentare e del pensiero. A suo dire: "Il riferimento agli interstizi rende naturale riferirsi alla figura del flâneur e della flâneuse [… ] in quanto arte di perdersi nella città e dunque di entrarvi in rapporto con gli angoli più reconditi e le fenditure a prima vista più insignificanti e banali del nostro vivere urbano". Soltanto a coloro che abbraccino i principi della filosofia del camminar lento, curioso e pensoso è dato forse comprendere compiutamente la filosofia e la sociologia degli interstizi. Come rifugio e come fuga dal tedio metropolitano e come conquista quotidiana all'aria aperta: anche nel proprio quartiere, sotto casa, guardando non solo in terra, ma verso l'alto e scoprendo interstizi aerei, sospesi, pencolanti innumerevoli e più in su le nuvole. Interstizi del cielo.

Duccio Demetrio

 

 

 

 

 

 

N.d.C. - Duccio Demetrio, già professore ordinario di Pedagogia generale e sociale all'Università degli Studi di Milano-Bicocca dove ha insegnato Filosofia dell'educazione e Teorie e pratiche della narrazione, ha fondato la Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari, di cui dirige il Centro studi e ricerche, e la Società di Pedagogia e Didattica della Scrittura.

Tra i suoi libri più recenti: L'interiorità maschile. Le solitudini degli uomini (Cortina, 2010); Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione (Cortina, 2011); La religiosità degli increduli. Per incontrare i Gentili (Messaggero, 2011); con Pierangelo Sequeri, Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Lindau, 2012); Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura (Mimesis, 2012); I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora (Mimesis, 2012); con Francesca Rigotti, Senza figli. Una condizione umana (Cortina, 2012); La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo (Cortina, 2013); Silenzio (Messaggero, 2014); Green autobiography. La natura è un racconto interiore (Booksalad, 2015); Silenzi d'amore. Scrivere i sentimenti taciuti (Mimesis, 2015); Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo (Mimesis, 2016); Ingratitudine. La memoria breve della riconoscenza (Cortina, 2016); Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi (Guerini e associati, 2017); Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare di sè (Messaggero, 2017); La vita si cerca dentro di sé. Lessico autobiografico (Mimesis, 2017); Foliage. Vagabondare in autunno (Cortina, 2018); La scrittura e silenzio interiore (Castelvecchi, 2018); Terra (In dialogo, 2018).

Per Città Bene Comune ha scritto: Una letteratura per la cura del mondo (14 luglio 2017).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

27 SETTEMBRE 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019:

G. Nuvolati, Scoprire l'inatteso negli interstizi della città, commento a: C. Olmo, Città e democrazia (Donzelli, 2018)

P. C. Palermo, Oltre la soglia dell'urbanistica italiana, commento a: P. Gabellini, Le mutazioni dell'urbanistica (Carocci, 2018)

S. Vicari Haddock, Le periferie non sono più quelle di una volta, commento a: A. Petrillo, La periferia nuova (FrancoAngeli, 2018)

G. Consonni, La rivincita del luogo, commento a: F. Erbani, L'Italia che non ci sta (Einaudi, 2019)

D. Patassini, Urbanistica per la città plurale, commento a: G. Pasqui, La città, i saperi, le pratiche (Donzelli, 2018)

C. Cellamare, Roma tra finzione e realtà, commento a: E. Scandurra, Exit Roma (Castelvecchi, 2019)

P. Briata, Con gli immigrati per capire città e società, commento a: B. Proto, Al mercato con Aida (Carocci, 2018)

S. Viviani, Urbanistica: e ora che fare?, Commento a: P. Gabellini, Le mutazioni dell'urbanistica (Carocci, 2018)

C. Tosco, Il giardino tra cultura, etica ed estetica, commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Padovani, La questione della casa: quali politiche?, commento a: G. Storto, La casa abbandonata (Officina, 2018)

P. Burlando, Strategie per il (premio del) paesaggio, commento a: Paesaggio e trasformazione (FrancoAngeli 2017)

P. Pileri, Suolo: scegliamo di cambiare rotta, Commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli 2019)

A. Petrillo, Oltre il confine, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

L. P. Marescotti, Urbanistica e paesaggio: una visione comune, commento a: J. Nogué, Paesaggio, territorio, società civile (Libria, 2017)

F. Bottini, Idee di città sostenibile, Prefazione a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)

M. Baioni, Urbanistica per la nuova condizione urbana, commento a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)

R. Tadei, Si può comprendere la complessità urbana?, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

C. Saragosa, Aree interne: da problema a risorsa, commento a. E. Borghi, Piccole Italie (Donzelli, 2017)

R. Pavia, Questo parco s'ha da fare, oggi più che mai, commento a: A. Capuano, F. Toppetti, Roma e l'Appia (Quodlibet, 2017)

M. Talia, Salute e equità sono questioni urbanistiche, commento a: R. D'Onofrio, E. Trusiani (a cura di), Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018)

M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)

A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)

P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)

M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)

M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)

P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)

C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)

F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

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