Giovanna Fossa  
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URBANISTICA A MILANO TRA GUERRA E DOPOGUERRA


Commento al libro di Roberto Busi



Giovanna Fossa


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1944-1946 Piani per la Milano del futuro ovvero La solitudine del tecnico (Maggioli 2020) scritto da Roberto Busi, professore emerito di Tecnica e pianificazione urbanistica, è un libro di storia dell’urbanistica che dichiara la sua intrigante originalità già dal titolo: la scelta del biennio cruciale a cavallo della fine della seconda guerra mondiale come genesi del processo di ricostruzione e sviluppo post-bellico, anziché il momento singolare della Liberazione nel 1945 (consolidato punto di riferimento dell’immaginario collettivo e della tradizionale narrativa popolare e istituzionale); l’evidenza del termine “futuro” ad esplicitare la tensione progettuale della ricerca storica che viene qui sviluppata, magistra vitae in generale e nello specifico maestra di stili, approcci tecnico-culturali, deontologie professionali; non ultimo il colpo di scena della “solitudine” del tecnico che solletica la curiosità del lettore e dischiude una prospettiva colta, di profonda umanità, integrata alla competenza ed esperienza, facendo pregustare il coinvolgimento appassionato dell’autore nei confronti dei suoi personaggi, le empatie e le prese di distanza dei giudizi critici.

Il libro prende le mosse dal ritrovamento di un documento inedito (Relazione ministeriale Susini), al quale se ne aggiunge un secondo (diari del prof. Chiodi), articolandosi così in due parti sulla scia dell’evoluzione della viva esperienza di esplorazione del tema da parte dell’autore.

Il primo inedito è la relazione della missione ministeriale compiuta a Milano, intorno al capodanno del 1944, da Alfio Susini, progettista urbanista allora alto funzionario della Repubblica Sociale Italiana. La missione aveva lo scopo di rilevare l’attività nel campo dell’urbanistica e dell’edilizia negli ambienti amministrativi, professionali e culturali milanesi. Si tratta della minuta autografa, redatta dallo stesso Susini, del rapporto su tale compito svolto a Milano dal 24 dicembre 1944 al 7 gennaio 1945. Busi presuppone, in modo argomentato, che questa minuta abbia avuto un seguito, con un originale inoltrato al Ministro per vie ufficiali completo di allegati, documentazione formale poi andata persa con la fine della RSI. Ma a maggior ragione preziosi sono la minuta e l’inserto costituito da una sintesi dell’allegato n°3 sui lavori della Commissione per la ricostruzione di Milano, attivata presso il Sindacato degli Ingegneri sotto la presidenza di Cesare Chiodi (1).

La decisione di una missione nel periodo delle feste natalizie, non ideale per apertura uffici e disponibilità delle persone, denota urgenza e precarietà del governo. D’altro canto, la ricchezza di attività pianificatorie/progettuali e di dibattito tecnico-culturale in merito a quale città ricostruire o costruire ex novo, e con quali tecniche, che si riscontra nella relazione, suscita ammirazione, a fronte dell’avanzato stato di distruzione di Milano a causa dei bombardamenti; stupore anche per l’interesse ministeriale per attività di impensabile attuazione a breve e quindi improbabili come competenza della RSI e dello stesso ministro (2). Viene notato con relativa sorpresa che dalla relazione emergono interviste a figure eminenti della cultura e tecnica di allora notoriamente non appartenenti al partito fascista (come Chiodi), o addirittura antifascisti, e non compare nella relazione traccia di discriminazione per i contenuti da essi formulati nelle interviste. Busi spiega bene questa missione e il suo approccio culturale inquadrandolo nell’ambito dell’instabile clima politico della RSI in quel momento che si declinava anche in aperture agli ambienti non fascisti. Si rende merito a Chiodi della capacità di farsi portavoce e coordinatore, “fattore di coagulo”, di altrui plurimi contributi, oltre al suo proprio, per arrivare ad uno strumento urbanistico organico. Dal punto di vista dei contenuti pianificatori, spicca la lungimirante messa a fuoco di temi strategici quali il policentrismo, il rapporto infrastrutture-insediamento, l’inserimento di aree rurali e parchi urbani nel tessuto edificato, il disegno di forma da dare alla “nuova” Milano, la tensione fra innovazione e conservazione (“abbandonando il distrutto per salvare restaurando ciò che è ancora recuperabile”), l’integrazione fra pianificazione e fiscalità, l’attenzione alla fattibilità economica; soprattutto, l’approccio organico, concependo la ricostruzione in termini di riorganizzazione sistemica.

Il secondo documento inedito è costituito dai diari tenuti da Cesare Chiodi in quegli anni. Se il primo inedito è stato lui a trovare Busi, contattato dal figlio di Susini che ne stava sistemando l’archivio, il secondo è frutto della passione di ricerca dell’autore. Infatti la presa d’atto, attraverso la relazione Susini, della disponibilità già alla fine del ’44 di tale e tanta strumentazione pianificatoria per il futuro della città, frutto della cultura e tecnica milanesi, lo ha spinto ad indagare ulteriormente. Si è focalizzato, in base alla scoperta del contributo dato da Cesare Chiodi alla ricognizione di Susini, sui materiali del suo lavoro, per lo più ancora inediti, in disponibilità del Politecnico dagli anni ‘70 e raccolti nel “Fondo Chiodi”. In complementarietà alla ricerca in tale archivio, con l’intuizione della possibilità di avvalersi di un prezioso supporto interpretativo, l’autore ha ottenuto personalmente da Antonia Chiodi, nipote del prof. Cesare Chiodi, la possibilità di consultare i diari (inediti) del professore da lei conservati, e di poterne usare i contenuti ai fini del libro in oggetto.

Si tratta di diari autografi, con contenuti su temi bellici, politici, culturali, professionali e familiari; assolutamente non aneddotici né cronachistici. Chiodi li scrive dal 1939 al 1963, spinto dallo stimolo del conflitto e dall’interesse per la ricostruzione e successiva evoluzione dello sviluppo di Milano. Li scrive per sé, con cura. Oltre che valenza documentale hanno soprattutto una valenza testimoniale, preziosa in complementarietà con la documentazione del Fondo Chiodi: testimonianza sul processo di ricostruzione di Milano che vede Chiodi sia come protagonista della disciplina urbanistica sia come parte attiva e osservatore attento della società e dell’assetto fisico di Milano. Busi nota come dai diari emergano fra i caratteri distintivi della personalità di Chiodi il suo “positivismo lombardo, tra illuminismo e cattolicesimo”, e la sua cultura umanistica strettamente intrecciata a quella tecnica. Interessante il passaggio in cui l’autore ipotizza che “lo scrivere i diari servisse a lui medesimo come potente ed essenziale strumento di approfondimento…della conoscenza del mondo e di sé”, osservazione alla quale segue il riconoscimento dello stesso processo nella ricerca scientifica: è uno dei tanti punti in cui si svela un’affinità elettiva fra Busi e Chiodi: “È come nella ricerca scientifica – e Chiodi, lo sappiamo, era un ricercatore – dove la stesura inappuntabile dei contenuti serve innanzitutto allo scrivente, forzandolo a scavare nella profondità dei concetti, a corroborare al massimo il suo sapere conseguendolo a seguito della conquista della più rigorosa forma espressiva”. E in questo io stessa ho avuto risposta a domanda latente anche da parte mia con riferimento alla mia attività di ricerca, riconoscendo una volta di più il professor Busi come maestro.

Quindi, oltre alla rilettura critica della corposa letteratura in merito, il Fondo Chiodi e i diari sono le fonti documentali di materiale inedito alla base della seconda parte del libro, dove si sviluppa una “rivisitazione ed integrazione di linee esegetiche considerate consolidate con proposta anche di nuove interpretazioni”… “per il progresso disciplinare di quanto accaduto in quei tempi (intorno temporale di qualche anno del 1945) ed in quel luogo (Milano) ma anche, in generale, sulla complessa tematica di metodo della ricostruzione – o meglio: della nuova costruzione – della città a seguito di catastrofe”. È un riposizionamento critico della narrativa disciplinare consolidata su quegli anni cruciali della ricostruzione e anche sull’evoluzione della disciplina urbanistica, dando a Chiodi il giusto merito, oltre a riconoscere e prendere posizione su altri eminenti attori. Un atto di giustizia e di verità. Busi definisce Chiodi “disincantato protagonista” della ricostruzione di Milano, dove l’aggettivo sintetizza il suo realismo di fronte al fatto di essere stato estromesso dal processo di piano dopo tutto il lavoro preparatorio condiviso con la città e sostenuto teoricamente con successo nel Convegno per la ricostruzione edilizia di Milano tenutosi nel dicembre 1945. E, nonostante ciò, Chiodi ha moltiplicato il suo impegno nella società civile per Milano e l’Italia (“tra impegno e distacco”, termine questo usato dall’autore in senso positivo, per indicare la posizione di chi si concentra sul contenuto tecnico a servizio del bene comune senza interferire con interessi personali o politici).

In questa prospettiva sembra potersi leggere anche l’evocazione della “solitudine del tecnico” che richiama all’assunzione seria di responsabilità anche controcorrente, la scelta di una dirittura morale guidata dalla tecnica, dal contenuto, da un approccio problem solving, senza lasciarsi influenzare da ideologie o appartenenze politiche.

Il protagonista del libro è certamente Cesare Chiodi che emerge ad esempio di figura integrata per umanità, professione e accademia. A lui è dedicata la seconda parte del libro. Nella prima parte insieme a lui c’è anche il deuteragonista Alfio Susini (come ben illustra la copertina di Sereno Innocenti). La distanza per l’essere fascista del funzionario viene gestita al servizio della città nel rispetto istituzionale e di competenza tecnica da parte di entrambi. Nel libro c’è infine anche l’antagonista, il contro-esempio, messo in appendice come caveat dal pericolo delle interpretazioni a priori ideologiche rispetto alla ricerca e al rispetto del dato di fatto, offerto alle prossime generazioni di giovani ricercatori.

Proseguendo con la metafora teatrale, la scena è la città di Milano, ma lo sfondo chiaramente ha un respiro nazionale, come enfatizzato dall’appartenenza alla bella collana di quaderni del CENSU Centro Nazionale di Studi Urbanistici. Milano emerge come esempio di reazione costruttiva (in senso letterale e figurato) alla guerra, già un anno prima della fine del conflitto impegnata a prepararsi a voltare pagina, affinché le possibilità e le sfide del futuro trovino la società consapevole, culturalmente e moralmente salda, con obiettivi e strumenti ragionati e non improvvisati. Gli eventi del luglio e settembre ‘43 (sbarco degli alleati in Sicilia, caduta del fascismo e armistizio) avevano aperto gli occhi alle élite milanesi, in contatto con ambienti internazionali, contribuendo a far pensare soluzioni per la città in vista di un ritorno alla pace ritenuto vicino e grande slancio morale alla volontà di prepararsi a reagire è stato dato dal magistero del cardinale Schuster (3); in questo clima del ‘44, la speranza è attestata nel libro, accanto a cenni ad alcuni investimenti economici, soprattutto da questo encomiabile impegno e volontà di tanti ingegneri, con la loro associazione di categoria, e di alcuni architetti, professioni eminenti ai vertici della classe dirigente di allora, di operare insieme perché Milano potesse avere un piano per risorgere dopo la guerra.

Nel loro complesso le due parti del libro, integrate dalla continuità di tempo, luogo e personaggi e dall’unità del tema focale della pianificazione per la ricostruzione, configurano un saggio storico sulle vicende della pianificazione urbanistica di Milano in quel biennio strategico; l’ampia contestualizzazione di tali vicende allarga però l’orizzonte alla storia della disciplina urbanistica in quanto tale (tra ordini professionali ed accademia), all’evoluzione del tessuto fisico e sociale della città di Milano, al ruolo fondamentale svolto dalla società civile. Questa ricchezza di sfaccettature, di chiavi di lettura, si riflette anche nell’interdisciplinarietà delle prefazioni, ben correlate nei loro diversi approcci complementari; si riverbera anche nelle corpose note, l’insieme delle quali avrebbe quasi una dignità a sé stante per la raccolta di biografie di personaggi, più o meno noti, che hanno avuto un ruolo nell’evoluzione di Milano in quegli anni e anche dopo, a partire dai semi lanciati in quel periodo o legati da una catena di relazioni agli attori del dibattito e delle scelte di quel biennio. Sono biografie tutte non scontate e non acritiche, ma delineate ciascuna come disegno di personaggio in primo piano o pennellata di sfondo. Nell’insieme, le note dipingono il fondale spazio-temporale sul quale si stagliano le vicende storiche di quegli anni nella prospettiva del loro sviluppo futuro; in particolare l’evoluzione della disciplina urbanistica viene tratteggiata mettendo in luce le biografie di maestri e scuole degli atenei italiani e in particolare del Politecnico, completando il testo con ulteriori informazioni, utili ad esempio a capire la genesi delle pluriennali tensioni fra ingegneria e architettura, ora ricomposte.

Il libro ci regala anche una lezione di metodo storiografico, per lo scrupolo e la precisione con cui l’autore tratta le fonti e i dati, in modo sempre trasparente distinguendo i fatti dalle interpretazioni. Il rigore metodologico non è asettico: Busi ricerca e parte dai dati documentali amandoli da appassionato, descrivendone contenuto ma anche consistenza, materiale, forma, il sistema di relazioni di provenienza che pure fa parte della storia, con una viva partecipazione sul piano dell’interesse culturale e della compassione delle vicende umane, che a volte lascia immaginare persino un’immedesimazione. Nella coerenza del quadro metodologico si inserisce la scelta alla base dell’opera di dare valore alla microstoria, come genesi del dubbio a fondamento della ricerca, e di lasciare emergere il racconto in parallelo alla vicenda di scoperta e ricerca dell’autore, via via che i contenuti venivano acquisiti, con un processo di ricerca storica adatto a temi inesplorati (4). Alla serietà e controllo metodologico si accompagna la piacevolezza della lettura, come raramente avviene: il libro si legge gradevolmente proprio come una “storia” nella quale ci si immerge con interesse culturale e non solo disciplinare, oltre a viva curiosità sull’esito degli eventi e processi narrati. È scritto infatti come un giallo (e così dice di averlo vissuto in prima persona anche l’autore), con suspense e ironia, ma metodo rigoroso e sicuro di uno storico dell’urbanistica che rilegge con coraggio e libertà, forte di competenza e conoscenza, senza pregiudizi, la pianificazione di quel biennio a partire dalla scoperta di fonti documentali inedite. Un linguaggio discorsivo e preciso al tempo stesso, uno stile sicuro, sciolto e scorrevole nel quale ritrovo il tono di tante discussioni e conversazioni disciplinari avute negli anni con l’autore, condividendo anche un percorso fatto insieme, con la gratitudine di insegnamenti ricevuti per contenuti e valori.

Uno dei risultati più preziosi del libro è anche quello di accendere una nuova luce sul Fondo Chiodi del Politecnico di Milano, uno dei preziosi Archivi Storici dell’Ateneo. Il Fondo consta di 910 unità archivistiche, il cui arco temporale si estende dal 1971 al 1994. La parte più consistente del Fondo raccoglie una significativa e variegata documentazione sull’attività del professor Cesare Chiodi (1885-1969), alla quale si aggiungono raccolte minori di documenti relativi all’attività del padre ingegner Giuseppe Chiodi (1854-1907) e del figlio ingegnere e architetto Giuseppe Chiodi (che porta il nome del nonno e visse dal 1913 al 1994). La composizione del Fondo già mostra un sapere e una competenza professionale che fa parte del patrimonio familiare e si trasmette attraverso le generazioni, fenomeno tipico dei maggiori esponenti culturali della società milanese dopo la guerra e negli anni dello sviluppo; altrettanto esplicita dai titoli di studio è l’osmosi fra accademia e libera professione e fra le discipline politecniche dell’ingegneria e dell’architettura.

Ritengo opportuno dedicare spazio al Fondo perché è la terza fonte di materiali inediti del libro, oltre al rapporto Susini e ai diari di Chiodi.

La storia della donazione di tale Fondo al Politecnico inizia a metà degli anni ’70 qualche anno dopo la scomparsa di Cesare Chiodi, per desiderio del figlio; è lo stesso Busi a darne notizia nel libro. Io stessa anni più tardi ne ho fatto esperienza diretta, con curiosità e gratitudine, quando ho iniziato la mia carriera accademica in Tecnica Urbanistica al Politecnico, entrando negli stessi spazi del padiglione Sud dove Chiodi aveva dato vita alla sua scuola e dove ancora erano conservati i materiali del suo archivio (5). Una prima organizzazione archivistica è stata fatta con sensibilità e consapevolezza nel 1994 da Renzo Riboldazzi, accompagnata da una pubblicazione dedicata (6), seguendo un approccio di tutela e valorizzazione dell’organizzazione originale dei materiali, probabilmente data dallo stesso Cesare Chiodi. Fondamentale è la suddivisione fra materiali archivistici (progetti, opere, commissioni, congressi) e bibliotecari (scritti editi, biblioteca Chiodi, collezione di cartografie 1800-1960). Nel 2002 l’Archivio Chiodi viene trasferito nel nuovo campus Bovisa del Politecnico dove si apre una parentesi di sperimentazione di applicazione di software archivistico poi sospesa per questioni di coerenza metodologica d’archivio. Nel 2011 il materiale archivistico viene formalizzato nel “Fondo Chiodi”, presso i neoistituiti “Archivi Storici” di Ateneo, mentre il materiale bibliotecario nel “Fondo librario Chiodi”, presso la Biblioteca di Ateneo, entrambi all’interno dell’area servizi denominata “Biblioteca e Archivi” situata nel campus Bovisa, via Candiani 72, loro collocazione attuale. La definitiva organizzazione archivistica del Fondo (2012, curata dall’arch. Sabrina Conti e dalla dottoressa Paola Ciandrini) ripristina una maggior aderenza alla sistemazione originaria, in parallelo distinguendo fra i materiali riferibili a Vincenzo Columbo, all’Istituto di Tecnica Urbanistica e le carte IGM; inoltre vengono integrate con principi uniformi le donazioni minori successive (7). Il principale criterio archivistico adottato è l’ordine cronologico, eccetto per le “Unità Progetto” dove prima viene considerata la tipologia dei materiali (es. elaborati grafici).

I contenuti dei materiali archivistici riguardano soprattutto l’attività professionale di Cesare Chiodi, specie in ambito urbanistico, studi e ricerche, attività extra professionale di impegno culturale/civile (oltre a minori documenti sull’attività professionale di Giuseppe Chiodi figlio ed alcuni documenti su Giuseppe Chiodi padre). Il fondo è articolato nelle seguenti sezioni: “Opere e progetti” (fra i progetti conservati, dal 1926 al ‘34, si cita il concorso per Piano Regolatore Milano 1926, con Giuseppe Merlo; fra le opere, dal 1926 al ‘60, si ricordano i piani regolatori di Salsomaggiore, nel 26 e nel 57, e di Fidenza, nel 46 e nel 59);Commissioni e gruppi di studio” (in particolare, numerose commissioni giudicatrici di concorsi per piani regolatori);Congressi” (nazionali e internazionali); “Studi, scritti e ricerche” (in particolare la documentazione raccolta ed elaborata in preparazione del libro “La città moderna”);Pubblicazioni di C. Chiodi” (oltre a La città’ moderna. Tecnica urbanistica, Hoepli, Milano, 1935, conservata in edizione originale, sono raccolti articoli su riviste tecniche come “Il Monitore Tecnico” e varie altre); infine la sezione “Biografia, formazione, enti e istituti” (con ampia documentazione del suo impegno tecnico-civile, ad es. per TCI, Rotary, Comune di Milano).

L’opera di Busi rende evidente, in generale, il ruolo e l’importanza dell’archivio quale roccia di verità, perché offre la base documentale sulla quale innestare scritti inediti, nuovi tasselli che vi trovano la struttura di inquadramento, come nuovi elementi nella tavola periodica di Mendeleev. Gli archivi sono un presidio di libertà, permettono anche a distanza di anni reinterpretazioni significative dei dati fattuali di periodi storici strategici. Anche il luogo dove è collocato un archivio, e il Fondo Chiodi in particolare, è importante, non solo perché aperto al pubblico ma soprattutto per il suo ruolo di lievito per il futuro, collocato a Bovisa, nel cuore dei processi di rigenerazione della città di Milano. Questo ruolo del Fondo Chiodi e il fatto che sia del Politecnico sono fattori significanti rispetto al “futuro” citato nel titolo: ben si esprime la tensione progettuale dei documenti trattati e il punto di vista dell’autore che non vede la ricostruzione storica fine a se stessa ma portatrice di frutti per il futuro, in primis attraverso la ricerca e la formazione universitaria. E, come suggerisce lo stesso Busi, il messaggio del libro è quanto mai attuale perché si può applicare anche oggi alla “ricostruzione economica e morale di comunità e città per il dopo la pandemia del Covid 19”.

Giovanna Fossa

 

 

Note
1) Tale sintesi dell’allegato 3 alla relazione Susini era stata resa disponibile ad Alfio Susini dallo stesso Chiodi (nella forma di fogli battuti a macchina) e dal Susini inserita nella sua minuta a mano, come parte integrante, con il titolo “Relazione generale dell’ing. prof. Cesare Chiodi sugli studi e proposte degli ingegneri milanesi intorno ai problemi della ricostruzione edilizia della città”: così rinvenuta dall’autore all’interno della minuta autografa, come pagine inserite in sequenza numerata.
2) Ruggero Romano, che sarà infatti fucilato nel 1945.
3) Cfr. la prefazione dello storico Alberto Cova.
4) Cfr. le prefazioni di Stefano della Torre (professore ordinario di Restauro al Politecnico di Milano) e di Alberto Cova (professore emerito di Storia economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore).
5) I materiali dell’archivio di Cesare Chiodi, messi a disposizione del Politecnico negli anni ’70 dal figlio Giuseppe, erano stati sistemati presso locali del Padiglione Sud del complesso di piazza Leonardo da Vinci, dove aveva sede dal 1936 il Gabinetto di Tecnica Urbanistica, annesso alla omonima cattedra sotto la direzione di Chiodi, poi evoluto nell’Istituto di Tecnica Urbanistica, fondato dallo stesso Chiodi con la collaborazione di Luigi Dodi e Vincenzo Columbo. Tali materiali erano costituiti da
tavole ed elaborati grafici, raccolti in cassettiere di formato A10 in fogli distesi, o arrotolati sopra le cassettiere o in carrelli porta rotoli; libri, periodici e riviste custoditi in mobili libreria aperti; altri materiali vari racchiusi in scatoloni.
6)
Cfr. S. F. Lucchini (a cura di), Archivio Cesare Chiodi. Materiali e letture, Esculapio, Bologna, 1994.
7) Donazioni minori, successive all’istituzione del Fondo Chiodi, da parte di Antonia Chiodi, Francesco Lucchini, Augusto Mercandino.

 

Bibliografia
Busi R., L'urbanistica in Italia, i fondatori, in “Il giornale dell'ingegnere”, 2017
Busi R., Cesare Chiodi: il nostro primo maestro, in “Urbing tre. Quadernetti per la didattica”, a cura di R. Gerundo, Università degli Studi di Salerno, Fisciano 2006
Busi R., L'insegnamento dell'urbanistica nelle facoltà di ingegneria, in La formazione urbanistica dell'ingegnere e il governo del territorio, a cura di L. Carollo e A. Richiedei, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2018
Imbesi G., Invito alla riflessione, in C.Chiodi, La città moderna. Tecnica urbanistica, a cura di G. Sartorio, Gangemi, Roma 2006.
La Greca P., Cesare Chiodi: il rigore della tecnica nel percorso scientifico, in “Urbing tre. Quadernetti per la didattica”, a cura di R. Gerundo, Università degli Studi di Salerno, Fisciano 2006
Lucchini S. F. (a cura di), Archivio Cesare Chiodi. Materiali e letture, Esculapio, Bologna 1994
Riboldazzi R. (a cura di), C. Chiodi, Scritti sulla città e il territorio, Unicopli, Milano 2006
Riboldazzi R., Una città policentrica. Casare Chiodi e l'urbanistica milanese nei primi anni del fascismo, Polipress, Milano 2008
Sartorio G., Chiodi e la sua opera: un nuovo incontro, in C. Chiodi, La città moderna. Tecnica urbanistica, a cura di G. Sartorio, Gangemi, Roma 2006
Verga G., Una città vera, in C. Chiodi, La città moderna. Tecnica urbanistica, a cura di G. Sartorio, Gangemi, Roma 2006

 

N.d.C. - Giovanna Fossa è professore ordinario di Tecnica e Pianificazione Urbanistica al Politecnico di Milano. Da anni collabora con Politecnico di Zurigo, SUPSI di Mendrisio e Regional Plan Association di New York. È stata fellow dell’Italian Academy at Columbia University, New York (1998) e dal 2018 è membro del comitato scientifico di Urban Land Institute ULI Italy.
La sua attività di ricerca, didattica e sperimentazione mette al centro il progetto con un approccio multiscalare, aperto ad integrazioni disciplinari, in particolare con i settori ambiente e heritage. Nell’aprile 2021 con il progetto di ricerca “Towards the Smart Villages of Italy” ha vinto il Research Grant “Global Seed Fund”, MISTI MIT International Science and Technology Initiatives (MIT-Fondazione Rocca - Politecnico di Milano), iniziando un percorso di ricerca condiviso con MIT City Design and Development Group.
È autrice di saggi, articoli e monografie.
Tra le sue pubblicazioni: The 15-minute city (Transportation Reseach Procedia, 2022); Shaping space for ever-changing mobility (Tema 2020); Settlement as Factory (Routledge 2020); Planning Talks (Maggioli 2018); Industrial Heritage Sites in Transformation (Routledge 2014); Itatour (F. Angeli 2012); Un atlante per Milano (Skira 2006); Transforming the Places of Production (Olivares 2002).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

29 LUGLIO 2022

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Conferenze & dialoghi

2017: Salvatore Settis
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2018: Cesare de Seta
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2019: G. Pasqui | C. Sini
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locandina/presentazione
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Gli incontri

2021: programma/1,2,3,4
2022: programma/1,2,3,4
 
 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
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2017: online/pubblicazione
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2021: online/pubblicazione
2022:

 

 

A. di Campli, Forme ed ecologie della coesistenza, commento a A. Gabbianelli, La differenza amazzonica (LetteraVentidue 2021)

M. C. Ghia, Roma: una città reale, molte immaginarie, commento a: P. O. Rossi, La città racconta le sue storie (Quodlibet, 2021)

G. Consonni, Una città visionaria per catturare l'incanto, commento a: N. Dal Falco, Un viaggio alla Scarzuola (Marietti, 2021)

L. P. Marescotti, Pianificare è necessario, nonostante tutto, riflessione a partire dai libri di: F. Schiaffonati (Lupetti, 2021), P. Portoghesi (Marsilio, 2019), G. Piccinato (Roma-Tre Press), et al.

L. Rossi, La cartografia come spazio di vita, commento a: D. Poli, Rappresentare mondi di vita (Mimesis, 2019)

C. Tedesco, Una cultura urbana che riparta dal vissuto, commento a: C. Cellamare, F. Montillo, Periferia. Abitare Tor Bella Monaca (Donzelli, 2020)

M. Barzi, Indagare i margini, ovunque si trovino, commento a: J. L. Faccini, A. Ranzini, L’ultima Milano (Milano, Fondazione G. Feltrinelli, 2021)

C. Mazzoleni, Riaffermare il ruolo dell'Urbanistica, Commento a: C. Doglio, Il piano aperto, a cura di S. Proli (Elèuthera, 2021)

A. M. Brighenti, Il fascino discreto dell'interstizio urbano, commento a: B. Bonfantini, I. Forino, (a cura di), Urban interstices in Italy (Lettera Ventidue, 2021)

R. Pavia, Il porto come soglia del mondo, commento a: B. Moretti, Beyond the Port City (Jovis, 2020)

S. Sacchi, Lo spazio urbano è necessario, commento a L. Bottini, Lo spazio necessario (Ledizioni, 2020)

D. Calabi, La "costituzione" degli ebrei di Roma, commento a: A. Yaakov Lattes, Una società dentro le mura (Gangemi, 2021)

F. Ventura, Memoria dei luoghi ed estetica dell'Ircocervo, riflessione a partire da: G. Facchetti, C’era una volta a San Siro (Piemme, 2021) e P. Berdini, Lo stadio degli inganni (DeriveApprodi, 2020)

E. Scandurra, Il territorio non è una merce, commento a: M. Ilardi, Le due periferie (DeriveApprodi, 2022)

A. Mela, Periferie: serve una governance coerente, commento a: G. Nuvolati, Alessandra Terenzi (a cura di), Qualità della vita nel quartiere di edilizia popolare a San Siro, Milano (Ledizioni, 2021)

M. A. Crippa, Culto e cultura: una relazione complessa, commento a: T. Montanari, Chiese chiuse (Einaudi, 2021)

V. De Lucia, La lezione del passato per il futuro di Roma, commento a: P. O. Rossi, La città racconta le sue storie (Quodlibet, 2021)

M. Colleoni, Mobilità: non solo infrastrutture, commento a: P. Pucci, G. Vecchio, Enabling mobilities (Springer, 2019)

G. Nuvolati, Una riflessione olistica sul vivere urbano, commento a: A. Mazzette, D. Pulino, S. Spanu, Città e territori in tempo di pandemia (FrancoAngeli, 2021)

E. Manzini, Immaginazione civica, partecipazione, potere, commento a: M. d'Alena, Immaginazione civica (Luca Sossella, 2021)

C. Olmo, Gli intellettuali e la Storia, oggi, commento a: S. Cassese, Intellettuali (il Mulino, 2021); A. Prosperi, Un tempo senza storia (Einaudi, 2021)

A. Bagnasco, Quale sociologia e per quale società?, commento a: A. Bonomi (a cura di), Oltre le mura dell’impresa (DeriveApprodi 2021)

R. Pavia, Le parole dell'urbanistica, commento a A. A. Clemente, Letteratura esecutiva (LetteraVentidue, 2020)

G. Laino, L'Italia ricomincia dalle periferie, commento a: F. Erbani, Dove ricomincia la città (Manni, 2021)

G. Consonni, La bellezza come modo di intendersi, commento a: M. A. Cabiddu, Bellezza. Per un sistema nazionale (Doppiavoce, 2021)