Vittorio Prina  
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ESPLORARE E RACCONTARE VARESE


Commento al libro curato da Luciano Crespi



Vittorio Prina


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Decenni or sono, durante i miei viaggi in Europa alla ricerca di opere di architettura moderna o contemporanea, ho notato che moltissime cittadine in numerose nazioni disponevano di libri o guide sull’architettura moderna o contemporanea locale: fatto all’epoca impensabile in Italia. In seguito la situazione è in parte migliorata e ho costantemente raccolto questo tipo di pubblicazioni. È stato quindi un grande piacere ricevere il testo curato da Luciano Crespi, Atlante delle architetture e dei paesaggi dal 1945 a oggi in provincia di Varese. 200 luoghi da non perdere (Silvana Editoriale, 2023), trentatré anni dopo una sua precedente pubblicazione: Un secolo di architettura a Varese, curata con Angelo Del Corso e edita da Alinea.

Una peculiarità del libro è che non si limita a elencare e descrivere architetture con lo scopo di «promozione degli autori dei progetti» (Crespi, p.15), ma si propone di esplorare e raccontare il territorio inducendo a conoscerlo “dal vivo”, attitudine che in parte è stata persa – nota l’autore – a causa di Internet, Google e altro, strumenti senza dubbio importanti ma a volte pericolosi dal punto di vista della conoscenza. Nulla, infatti, può sostituire la visita reale, “dal vivo” appunto. A ciò si aggiunga che il testo si propone anche di riflettere, e farci riflettere, sulla percezione dei luoghi pubblici raccontando non solo gli interventi di riqualificazione dello spazio urbano ma documentando quelli «di trasformazione degli ambienti esistenti per destinarli a spazi culturali e museali» (Crespi, p.15).

Non dimentichiamoci che il libro non è titolato come guida ma come atlante, termine senza dubbio più evocativo che sottende viaggi e scoperte. Il sottotitolo recita «200 luoghi da non perdere», ove «da non perdere» si può intendere in due accezioni: che devono essere assolutamente visitate, non dimenticate - anche quelle non più esistenti - e anche che non possono essere danneggiate o distrutte. Io stesso nel 2003, dopo anni di ricerche, ho pubblicato un libro dedicato all’architettura moderna a Pavia e provincia dal 1925 al 1980 e alcuni itinerari su riviste cartacee e poi on line. Mi è capitato troppo frequentemente, dopo decenni di disquisizioni sul restauro del moderno, di trovare notevoli architetture, più o meno conosciute, devastate da interventi disastrosi di riqualificazione: alcune persino irriconoscibili. Questo, purtroppo, non solo nella provincia di Pavia. È necessario che sia assorbito da cittadini e istituzioni il concetto che queste opere devono essere adeguate ma nell’ambito di un restauro scientifico.

Inconsueta ma decisamente apprezzabile, anzi insostituibile letto il libro, la scelta di raggruppare cronologicamente le opere secondo la suddivisione della provincia in quattro aree. Altrettanto valida l’elencazione cronologica delle architetture, all’interno di ogni area, al fine di permettere la lettura di analogie e discrasie nel medesimo arco temporale. La scelta della soglia del periodo storico, dal 1945 ad oggi, è dettata dall’individuazione di un «momento cruciale dell’evoluzione dell’architettura» (Crespi, p.16). Ulteriore scelta è esercitata da Crespi, che precisa di non essere storico bensì progettista e docente di progettazione, fattore per me ineluttabile per chi scrive di architettura, nell’individuazione di duecento opere. La scelta non è basata seguendo le indicazioni di «un sistema editoriale monopolizzato da poche riviste, sulle quali puoi trovare spazio soltanto se sei amico del direttore» ma sulla base di valore e qualità dell’architettura «indipendentemente dall’appartenenza, o meno, a qualche scuola di pensiero o lobby accademica» (Crespi, p.19), fattori indubbiamente discrezionali e soggettivi ma decisamente autentici e imprescindibili.

Decisamente accattivanti i tre saggi di Lucano Crespi. Nel primo dedicato a Varese appaiono evidenti le analogie - al di là della presenza della montagna e del lago - con altre province nella successione storica dell’evoluzione di molte città dagli anni Cinquanta ad ora: le frequentazioni di luoghi paesaggisticamente eccelsi, in seguito perduti, nei giorni di festa; i programmi di ricostruzione e i due settenni INA-Casa; la progettazione di case che la borghesia colta affida ai migliori maestri; le successive bieche operazioni di occupazione del territorio da parte di una piccola borghesia “rampante”; la chiusura delle principali fabbriche; il declino della città con progetti di riqualificazione non all’altezza; alcuni concorsi con esiti non sempre positivi e molti recenti interventi ancora in fieri. Il secondo saggio è dedicato al “cantone” dei laghi con una conclusione dedicata alla ricerca a tutto campo volta all’identificazione e attribuzione di un’architettura notevole che, successivamente al vuoto iniziale di riscontri, è infine identificata. Questo racconto mi porta alla mente ricordi personali e analoghe difficoltose ricerche rivelatesi infine assai proficue. Il terzo testo affronta le particolarità e vicissitudini dei territori di Busto e Gallarate.

Il contributo di Gian Luca Brunetti analizza con assai apprezzabile lucidità «Il caso Saronno», mentre alcuni scritti in coda al libro completano la visione complessiva anche con modalità “trasversali”. Due saggi ci permettono di conoscere architetti poco noti ai più: Luigi Vermi e Luciano Brunella nello scritto di Luigi Trentin, apparentemente opposti ma di fatto molto vicini anche in ragione di stima, frequentazioni e collaborazioni. Katia Accossato propone Enrico Castiglioni, Carlo Moretti e Vittorio Introini; nel saggio espone in conclusione una sorta di nota poetica assai suggestiva, descrivendo «tre opere “senza tempo” (…) in attesa di essere compiute» con un commovente «mi piacerebbe recarmi» o tornare a vedere le architetture con figli o mogli dei progettisti, al fine di discutere l’eventuale compimento o restauro dell’opera. Segue il testo di Marta Averna – Interni eloquenti il significativo titolo – che analizza il rapporto di Varese con l’architettura degli interni, secondo una accezione «prossima al sentire e al costituirsi dei suoi abitanti» e con il suo rapporto con Milano, declinando il tema con paragrafi dedicati al rapporto con l’industria, agli edifici a servizio della comunità, al fascino della provincia esercitato sui professionisti milanesi. In conclusione Debora Ferrari affronta il tema degli spazi dedicati all’arte e alla cultura spaziando da architetture e luoghi classici, a interventi di recupero finalizzati alla fruizione culturale, a categorie artistiche differenziate nel territorio, alle case e atelier di artisti o architetture di importanti rappresentanti della moda, ampliando lo sguardo con la definizione di «museo a cielo aperto» soprattutto con riferimento ai «Paesi dipinti», località e borghi ove le opere sono esposte all’esterno, «visitabili a ogni ora del giorno, con testimonianze pittoriche e scultoree» (Ferrari, p.204).

Veramente ampia e sorprendente è la quantità e qualità delle opere dei maestri presentati, molto noti, unitamente a professionisti colti - allievi dei maestri e allievi degli allievi - forse meno noti ma la cui conoscenza è irrinunciabile. A volte il confronto con numerose opere architettoniche attuali è impietoso. La cui regola fondamentale è stata non aderire assolutamente alle mode, fenomeni passeggeri e quindi non duraturi e attendibili. Basta passeggiare a Milano, ad esempio, in alcuni quartieri di nuova edificazione quali City Life o nei pressi di Porta Nuova per vedere opere di “archistar” assolutamente autoreferenziali che denotano l’adozione di linguaggi preconfezionati privi di rapporti e riferimenti con il contesto; quindi formalismo puro. Oppure architetture con volumi, forme, linguaggi e materiali che non colloquiano tra loro creando un caos visivo insopportabile. Poche opere - soffocate dagli edifici circostanti - si salvano. Al Portello, ad esempio, troviamo quartieri residenziali di qualità molto alta, accanto a “scatoloni” che architettura non sono o a “piazze” che in realtà sono altro.

In questo libro leggiamo che anche a Varese hanno operato «studi prestigiosi, ma forse meno disponibili degli studi locali a rinunciare al proprio “marchio di fabbrica”» (Crespi, p.32). Questa pratica è replicata in numerose provincie, con incarichi ad architetti o studi molto noti che replicano le proprie modalità di intervento evitando di confrontarsi realmente con il contesto. Non tutti ovviamente. Le amministrazioni, inoltre, in numerose provincie non riescono neppure a risolvere i costosi problemi di bonifica dei terreni della maggior parte di aree ex industriali; ogni progetto resta fermo al palo, a prescindere. Il problema è comunque esteso a livello internazionale. Non mi riferisco unicamente ad alcune “archistar” che già dalle prime opere replicano all’infinito il proprio “marchio” con nauseanti prove formaliste. Vedo continuamente pubblicati progetti di bravissimi noti progettisti e studi di architettura - sulle cui opere in molti ci siamo formati - che, forse a causa dell’eccessiva abbondanza di commesse e dell’incapacità di poterle gestire personalmente, replicano forme e linguaggi già troppe volte visti trapiantati asetticamente in differenti contesti, occasioni perse che non provocano alcuna emozione, a volte esclusivamente noia. Solo chi limita gli incarichi riesce ad esercitare un proficuo controllo sui progetti.

Ulteriore problema. Il termine “sostenibilità” è ormai diventato un’altra moda imperante, ripetuta acriticamente in qualsiasi contesto: progetti, riviste, concorsi… È sufficiente piantare qualche albero, rivestire edifici con vegetazione o altri materiali traforati bucherellati stirati visti ormai in mille occasioni - peraltro adottati egregiamente nei migliori esempi -, perché l’edificio sia definito, appunto, sostenibile. In troppi casi l’esito architettonico latita e in molti esempi latita anche la sostenibilità, che risiede altrove. Inoltre la tecnologia, che ovviamente deve essere un mezzo e non un fine, troppo spesso diventa pervasiva, non ha scopo ma ci circonda e gli esiti sono formalisti e lontani dall’architettura. Questo anche in ambiti non architettonici. A mio giudizio, un numero molto alto di edifici non “resisterà al tempo”, come al contrario è capitato alla maggior parte degli edifici del Movimento Moderno, progettati in continuità con la storia, nonostante a volte l’assenza di interventi di manutenzione imprescindibili.

In ragione della qualità di opere del Movimento Moderno o contemporanee presentate, il libro provoca in chiunque lo legga un incontenibile desiderio di partire e “non perdere” - come recita il sottotitolo - architetture, spazi e luoghi di cui Varese e la sua provincia sono inaspettatamente ricche. Per questo il lavoro di Luciano Crespi rappresenta una tappa fondamentale per la documentazione e la conoscenza di un luogo di cui troppo a lungo ci siamo dimenticati.

Vittorio Prina

 

 

N.d.C. Vittorio Prina, architetto, dal 1989 svolge attività didattica presso varie sedi universitarie e attualmente insegna alla Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano. La sua attività di ricerca si è focalizzata sui temi della progettazione architettonica, della storia e della forma urbana, del restauro del contemporaneo, dei caratteri tipologici e morfologici dell’architettura, dell’analisi della morfologia urbana. È relatore in numerosi seminari e conferenze. Suoi progetti sono stati pubblicati su periodici nazionali e le sue pubblicazioni hanno ricevuto numerose recensioni.

Tra i suoi libri: con A. Piva, Franco Albini 1905-1977 (Electa, 1998); Sant’Agostino a Genova. Franco Albini - Franca Helg - Antonio Piva - Marco Albini (Sagep, 1992); con: L. Casali, C. Fraccaro, Gli arazzi della battaglia di Pavia (VGF, 1993); Pavia Moderna. Architettura moderna in Pavia e provincia 1925-1980 (Cardano, 2003); Franco Albini. Albergo Rifugio Pirovano a Cervinia (Alinea, 2005); Franca Helg. Casa a Galliate Lombardo (Alinea, 2006); Jan Duiker Sanatorio Zonnestraal a Hilversum (Alinea, 2006); Architettura e involucri complessi. Pelle, rivestimento, involucro, texture, tecnologia, leggerezza, metamorfosi, luce e spazio: sistemi innovativi dal dettaglio alla complessità urbana e ambientale (Maggioli, 2009); Cinema Architettura Composizione (Maggioli, 2009); Pier Paolo Pasolini. Teorema. I luoghi: paesaggio e architettura (Maggioli, 2010); Franco Albini Franca Helg. Casa Zambelli a Forlì (Alinea, 2010); Alvar Aalto. Progetto di complesso residenziale a Pavia. ‘Onde anomale’ lungo il fiume: spazio, architettura, territorio e innovazione (Gangemi, 2011); La casa dell’ossimoro. Abitazioni per i nomadi residenti (Maggioli, 2012); Incomincia una serie di strane e meravigliose vicende. Nuovi appunti per un Laboratorio di Progettazione Architettonica 1 (Maggioli, 2018); Frammenti di un discorso architettonico. Scritti brevi medi e lunghi 1991-2014 (Ponzio, 2022); Fantasie e studi (Ponzio, 2022); Schizzi di viaggio e studio (Ponzio, 2022); Schizzi di progetto (Ponzio, 2022).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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A. Bonaccorsi, La Storia dell'aerchitettura è la Storia, commento a: C. Olmi, Storia contro storie. Elogio del fatto architettonico, (Donzelli, 2023)

M. Venturi Ferriolo, La città vivente, commento a: S. Mancuso, Fitopolis, la città vivente (Laterza 2023)

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