Antonietta Mazzette  
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LA CURA COME PRINCIPIO REGOLATORE


Commento al libro curato da Fausto Carmelo Nigrelli



Antonietta Mazzette


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Nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria – periodo in cui si colloca la stesura del libro curato da Fausto Carmelo Nigrelli – Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19. Le tesi di dieci urbanisti (Quodlibet Studio, 2021) la crisi delle città italiane (ma non solo) è stata di portata tale da indurre molti studiosi ad ipotizzare il superamento dei modelli urbani prevalenti, sia negli aspetti strutturali – tipologie delle abitazioni private e degli spazi pubblici, distribuzione di servizi e dei sistemi viari, e così via – sia nelle modalità del lavorare e dello stare insieme. Ovvero, questi studiosi, da diversi punti di vista disciplinari, si sono chiesti sin da subito se l’emergenza sanitaria potesse costituire una sollecitazione a modificare i caratteri su cui si è basato in tempi recenti lo sviluppo urbano e molti sociologi – compresa chi scrive – per un verso, hanno indagato le esigenze sociali emergenti (attraverso survey e ricerche qualitative) (Mazzette, Pulino, Spanu 2021); per un altro verso, nelle loro riflessioni hanno espresso cautela nell’ipotizzare un cambiamento radicale, sostenendo invece che sarebbe stato il tempo a dirci se la necessità sociale allora registrata di perseguire l’obiettivo di raggiungere un giusto equilibrio tra economia urbana, natura e salute sarebbe stata stabile e duratura (in merito rinvio agli articoli contenuti nel numero monografico di SUR a cura di Alfredo Mela ed Elena Battaglini, 2022). Su questa linea si collocano anche i contributi al volume sopracitato degli urbanisti: Maurizio Carta, Fausto Carmelo Nigrelli, Alessandra Casu, Maria Chiara Tosi, Giovanni Caudo, Claudio Saragosa; Francesco Martinico e Paolo La Greca, Stefano Munarin, Francesco Domenico Moccia.

Nella fase attuale prevale un forte scetticismo nel ritenere che dall’emergenza sanitaria la politica anzitutto, ma anche la società e l’economia abbiano tratto degli insegnamenti finalizzati a correggere comportamenti sociali, economie e modelli organizzativi, nonostante la crisi sanitaria non si sia esaurita (tutt’al più la si è ‘nascosta’) e continui a sovrapporsi alla nota crisi ambientale (in primis quella derivante dal riscaldamento climatico) e a quella che nel frattempo si è palesata dopo l’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, in relazione all’approvvigionamento energetico e di beni essenziali, quali il grano e il mais. Nonostante il più che fondato scetticismo, è compito di chi studia questi temi insistere sulla necessità di “cambiare radicalmente approccio”, come scrive Nigrelli (16 e s.) e attuare «una visione di un’Italia “multiurbana”, capace di offrire la necessaria selezione delle risorse, l’indispensabile generazione di valore, l’efficace attivazione di opportunità di lavoro e di crescita della produttività insieme alla garanzia di salute e benessere degli abitanti e alla riduzione delle diseguaglianze».

Le linee tracciate dagli urbanisti che hanno partecipato alla stesura del volume sono molto interessanti e sollecitano, a loro volta, ulteriori riflessioni che per brevità in questa sede limiterò a due aspetti.

Il primo ha a che vedere con il riavvio della «capacità creativa, generativa e innovativa delle città in pieno Antropocene» (Carta, p. 23). Capacità minata, non da ultimo, dal progressivo indebolimento di tutto quel saper fare artigianale e industriale nei diversi settori produttivi e lavorativi a «favore di una globalizzazione predatoria» (Ibidem). Ebbene, a questo proposito è stata rilevata (mi riferisco specificamente ad alcune ricerche sociologiche) una consapevolezza sociale che i processi economici sempre meno ancorati al territorio abbiano reso le città più vulnerabili. D’altronde, ciò era emerso chiaramente durante l’iniziale fase acuta dell’epidemia, quando gran parte della popolazione italiana non poteva disporre dei più semplici dispositivi di sicurezza sanitaria (mascherine e igienizzanti) perché nei decenni precedenti la delocalizzazione di buona parte della produzione aveva portato l’Italia (ma in realtà quasi tutta l’Europa) a dipendere dalla produzione industriale di altri Paesi, soprattutto della Cina. Ma la non disponibilità di beni ha riguardato molti altri settori industriali, non solo quello sanitario, non ultimo perché per molti mesi si è interrotto il flusso delle persone e delle merci. Una consapevolezza sociale di ciò non equivale ad affermare che sia in atto un’inversione di rotta delle generali politiche economiche ed anche di quelle urbane. Eppure, vi è stata una crescita di pratiche, per lo più individuali, non sistemiche, orientate verso la sostenibilità, l’uso responsabile delle risorse e alcune forme volontarie di riduzione della mobilità, anzitutto dentro le città, ma anche in relazione all’affermarsi di specifiche forme di turismo cosiddetto di prossimità. Pertanto, se per un verso, la presenza di queste pratiche, seppure frammentarie, possono essere considerate un effetto anche della pandemia - nel senso che questa ha accelerato una loro diffusione -; per un altro verso, la loro a-sistematicità e per molti versi residualità deriva proprio dal fatto che c’è un grande assente, lo Stato. che Nigrelli chiama in causa quando sostiene che occorre «un Piano nazionale di riequilibrio territoriale, guidato e non solo coordinato dallo Stato centrale, con una prospettiva almeno ventennale e con una tappa fondamentale nel 2030 (in coerenza con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU) e occorrono piani di attuazione nei vari ambiti con obiettivi temporali intermedi e significativamente convergenti» (p. 45).

Il secondo aspetto riguarda la rivincita, per così dire, del quartiere e dei servizi di prossimità che troppo spesso sono stati trascurati anche dall’urbanistica: «Nel corso della quarantena le attività commerciali di vicinato, i servizi di prossimità e le reti di marciapiedi sono stati riscoperti e utilizzati con grande intensità da pedoni e ciclisti, investiti da flussi economici tanto consistenti quanto inconsueti, iniziando quasi una seconda vita e rivelandosi capaci di sopperire a molte delle carenze derivate dal confinamento» (Tosi, p. 73 e s.). Ma questa ‘rivincita’ ha riguardato soprattutto quelle parti della città dove gli abitanti risiedono stabilmente, per lo più le cosiddette ‘periferie storiche’ originariamente organizzate anche per offrire i servizi essenziali pubblici e privati (dai presidi sanitari alle scuole, dai negozi di vicinato agli spazi di uso collettivo). Così non è stato né per le periferie estreme e prive delle qualità urbane minime – quei ‘bordi’ che Koolhaas comprende nella città senza storia (2006: 27-31) – e neppure per le aree centrali di pregio sotto il profilo storico-architettonico dove negli ultimi decenni ha prevalso la presenza di popolazioni mobili e gentrificate (consumatori e turisti in primis). In queste ultime hanno dominato varie tipologie di abitare temporaneo, diversificate attività sociali ed economiche legate allo svago e all’intrattenimento, seguendo le note dinamiche descritte da John Hannigan (1998: 89) che hanno costituito il mainstream, almeno negli ultimi trent’anni, dell’economia urbana in quasi tutti i Paesi a sviluppo avanzato, compresa l’Italia. Dinamiche che hanno riguardato prima le città più avanzate - come Milano (Bovone 2002; Bovone Lunghi 2020) - e successivamente anche città di piccole dimensioni.

Durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria vi è stato un improvviso svuotamento delle aree urbane ormai abituate ad essere dense di presenze turistiche e di consumatori e questo fatto ha indotto molti studiosi a domandarsi se ci sarebbe stato un ripensamento critico del modello di sviluppo urbano che ha finora prevalso, magari applicando i noti Sustainable Development Goals dell’ONU in un’ottica di transizione ecologica (Romagosa: 2020; Della Corte, Doria, Doddo 2021). A distanza di circa tre anni sembra che il traumatico processo di svuotamento sia già stato archiviato e, allo stato attuale delle cose, non appaiono significativi cambiamenti e/o inversioni di rotta nelle agende delle amministrazioni locali, a parte l’idea della “città dei 15 minuti”, sbandierata più come slogan che come reale tentativo di modifica strutturale delle città tanto in termini organizzativi, quanto in termini di distribuzione delle risorse finanziarie ed umane. Il vuoto in queste aree, all’indomani della cosiddetta fase post-pandemica, si è di nuovo trasformato in un pieno, riempiendosi dei medesimi flussi di persone e di merci, senza ripensamenti critici sulla necessità di riportare abitanti stabili anche nelle aree centrali e a forte vocazione turistica, oltre gli abitanti temporanei. In definitiva, è come se la politica, l’economia e la società avessero riavvolto il nastro riportando il mondo urbano a com’era nella fase pre-pandemica. Basti pensare alle maggiori città italiane (in particolare Roma, Milano Venezia, Firenze e Napoli) che nella fase acuta dell’emergenza sanitaria hanno visto un brusco passaggio dall’overtourism all’undertourism, travolgendo il complessivo sistema economico su cui poggiavano, per poi riassestarsi nel 2022 verso rinnovate forme di overtourism.

Ciò ha trovato conferma in una nostra recente rilevazione sui flussi turistici collegati al fenomeno dell’Airbnb – questo fenomeno per impatto economico colloca l’Italia ai primi posti nel mondo – nel periodo che va dal gennaio 2019 all’agosto 2022 (Mazzette, Pulino, Spanu, in SUR, n. 129, 2022; ma vedi anche Mazzette, Spanu 2020). Ebbene, abbiamo potuto verificare che dopo il crollo del marzo del 2020 e una lenta ripresa fino al maggio del 2021, vi è stata un’impennata dei viaggiatori verso diverse città italiane, superando, seppure in modo differenziato a seconda della città coinvolta, il dato pre-pandemico. Dove si sono concentrati questi viaggiatori? Per l’appunto, in tutte quelle aree centrali svuotate nei decenni dai residenti stabili. Nulla è mutato quindi? No, elementi di cambiamento ve ne sono stati, ad esempio in relazione alla domanda di alloggi ad uso esclusivo, quando prima della pandemia era più marcata la domanda di alloggi in condivisione. Questo leggero scarto effettivamente può essere considerato un diretto esito della pandemia.

Per concludere, la parola ‘cura’ ricorre spesso nel volume, e non limitatamente alle esigenze sanitarie, anzi, viene utilizzata soprattutto come approccio alla soluzione della condizione conflittuale tra spazio fisico e spazio digitale, anche se, come chiosa Caudo (p. 91), «la cura si potrà dare solo nella relazione fisica e nello spazio fisico della città». Assumere questa parola così densa di contenuti e declinazioni come una sorta di ‘principio regolatore’ della condizione urbana, significa, in definitiva, rivedere i modi di vivere individuali e sociali e far sì che rientrino a pieno titolo nel concetto di ‘benvivere’, così come precisato dai sostenitori dell’economia civile (Becchetti, Conzo, De Rosa, Semplici 2022). Ma ciò comporterebbe necessariamente un dialogo permanente multidisciplinare. Insomma, dovrebbero cambiare non solo “le modalità di conversazione interna agli urbanisti”, prendendo spunto dal capitolo conclusivo di Moccia, ma anche quelle di scambio e interazione tra quanti si occupano di città e territori.

Antonietta Mazzette

 

 

Riferimenti bibliografici

Becchetti L, Conzo G., De Rosa D., Semplici L. (2022), Rapporto sul ben-vivere delle province e dei comuni italiani 2022, ECRA, Roma
Bovone L. (2002). Riqualificazione urbana, produzione culturale e nuove imprenditorialità. Una ricerca sugli imprenditori culturali del quartiere Ticinese a Milano, in Bovone L., Rovati G., Mora E., Intraprendere cultura. Rinnovare la città, Milano: Angeli.
Bovone L., Lunghi C. (2020). Italia creativa. Condivisione, sostenibilità, innovazione, Donzelli editore. Roma
Della Corte V., Doria C., Oddo G. (2021). “The impact of Covid-19 on international tourism flows to Italy: evidence from mobile phone data”, in Questioni di economia e finanza, n. 647, Banca d’Italia – Eurosistema, pp. 4-32.
Hannigan J. (1998). Fantasy City, Routledge, London and New York
Koolhaas R. (2006), Junkspace, Quodlibet, Macerata
Mazzette A., Pulino D., Spanu S. (2021), Città e territori in tempi di pandemia. Insicurezza e paura, fiducia e socialità, FrancoAngeli, Milano.
Mazzette A., Pulino D., Spanu S. (2022), “Il turismo urbano in Italia. Tra crisi pandemica e tentativi di aggiramento: Il caso di alcune città metropolitane”, in SUR, 129.
Mazzette A., Spanu S. ( 2020), “Cambiamenti d’uso delle città tra turismo e politiche di rigenerazione: il caso delle abitazioni temporanee”, in SUR, 112.
Mela A., Battaglini E. (2022) (cur.), Concetti chiave e innovazioni teoriche della sociologia dell’ambiente e del territorio del dopo Covid-19, numero monografico di SUR, 127.
Romagosa F. (2020). “The Covid-19 crisis: Opportunities for sustainable and proximity tourism”, Tourism Geographies, Vol. 22:3, pp. 690-694.

 

N.d.C. - Antonietta Mazzette è professore ordinario di Sociologia dell’Ambiente e del territorio all’Università degli Studi di Sassari, Prorettrice per i Rapporti Università e Territorio e responsabile scientifica dell’Osservatorio sociale sullo sviluppo e la criminalità in Sardegna (OSCRIM). Presso lo stesso ateneo insegna Sociologia della città nel corso di Laurea in Comunicazione e professioni dell’informazione.

Tra i suoi numerosi scritti si segnalano: a cura di, La vulnerabilità urbana. Segni, forme e soggetti dell'insicurezza nella Sardegna Settentrionale (Liguori, 2003); a cura di, La città che cambia (F. Angeli, 2004); con Laura Bovone e Giancarlo Rovati, a cura di, Effervescenze urbane. Quartieri creativi a Milano, Genova e Sassari (F. Angeli, 2005); a cura, L'urbanità delle donne. Creare, faticare, governare ed altro (F. Angeli, 2006); con Emanuele Sgroi, La metropoli consumata. Antropologie, architetture, politiche, cittadinanze (F. Angeli, 2007); a cura di, Estranee in città. A casa, nelle strade, nei luoghi di studio e di lavoro (F. Angeli, 2009); a cura di, Esperienze di governo del territorio. Tra effetti perversi e prove di democrazia (GLF editori Laterza, 2011); a cura, Pratiche sociali di città pubblica (GLF editori Laterza, 2013); con Daniele Pulino, Gli attentati in Sardegna. Scena e retroscena della violenza (Cuec, 2016); a cura di, Dualismo in Sardegna. Il caso della criminalità (F. Angeli, 2019); con Silvia Mugnano, a cura di, Il ruolo della cultura nel governo del territorio (F. Angeli, 2020); con Sara Spanu, a cura di, Sassari. Tra declino e un futuro possibile (Rubbettino, 2020); con Daniele Pulino e Sara Spanu, Città e territori in tempi di pandemia. Insicurezza e paura, fiducia e socialità (F. Angeli, 2021); a cura di, Droghe e organizzazioni criminali in Sardegna. Letture sociologiche ed economiche (F. Angeli, 2021); con Raimondo Satta, a cura di, La famiglia in Gallura e Anglona. Una ricerca sociologica pre-pandemica in chiave sociale e religiosa (Rubbettino, 2021); a cura di, L'isola sotterranea. Tra violenza e narcomercato (F. Angeli, 2022).

Sui libri di Antonietta Mazzette, v. in questa rubrica i commenti di: Giandomenico Amendola, La città è fatta di domande (25 giugno 2021); Giampaolo Nuvolati, Per una riflessione olistica sul vivere urbano (17 febbraio 2022);

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

27 GENNAIO 2023

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
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Gli incontri

2021: programma/1,2,3,4
2022: programma/1,2,3,4
 
 

 

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2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi
2022: Pier Luigi Cervellati

 

 

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2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021: online/pubblicazione
2022: online/pubblicazione
2023:

P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia 2022)

A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi 2020)